Giustizia

Separazione carriere verso l’ok finale, poi il referendum

Nordio; entro metà aprile si terrà la consultazione ma non è un giudizio su Meloni

È attesa per giovedì l’approvazione in via definitiva, in quarta lettura, della riforma costituzionale che introduce la separazione delle carriere tra magistratura requirente e giudicante. Il passaggio segna la conclusione del percorso parlamentare, ma in base all’articolo 138 della Carta, l’assenza della maggioranza qualificata impone il ricorso a un referendum confermativo. Un passaggio che alimenta da subito lo scontro politico, con il centrodestra pronto a “festeggiare” in piazza e le opposizioni decise a promuovere una campagna per il “no”. Secondo il ministro della Giustizia Carlo Nordio, la consultazione popolare dovrebbe tenersi tra fine marzo e metà aprile.

Il Guardasigilli invita tuttavia ad abbassare i toni e a circoscrivere il confronto all’aspetto ordinamentale: “Mi auguro che sia una discussione pacata, puramente tecnica, sulla diversità tra la funzione del pm e del giudicante in attuazione del codice accusatorio – insiste parlando con i cronisti a palazzo Madama –. Mi auguro che venga tenuta in termini non polemici, aggressivi e soprattutto in termini non referendari in senso politico. Che non diventi un Meloni sì-Meloni no come è stato con Renzi”. Nordio anticipa inoltre la volontà di intervenire sulle intercettazioni dopo l’approvazione della riforma, e avverte la magistratura del rischio di “cadere nell’abbraccio mortale delle opposizioni”.

Per il Ministro, la politicizzazione del referendum comporterebbe effetti distorsivi qualunque sia l’esito: “Se vincesse la politica nei confronti di una magistratura che si fosse troppo esposta, comporterebbe un’umiliazione della magistratura che io non vorrei, da ex magistrato. Al contrario, se vincesse l’opposizione non sarebbe una vittoria dell’opposizione ma probabilmente la vittoria se la intitolerebbe la magistratura, e allora di nuovo avremmo una politica condizionata dalle procure della Repubblica”.

Sul fronte associativo, l’Associazione nazionale magistrati si prepara a costituire un comitato per sostenere il “no”. Il presidente Cesare Parodi collega direttamente l’esito del referendum alla legittimazione della dirigenza togata: “Se dovessimo perdere il referendum sulla giustizia male, per colpa mia, io dovrei pormi delle domande, dovrei dimettermi, sarebbe doveroso. Se uno ha un mandato dovrebbe riuscire a esser efficace”.

Le opposizioni contestano la riforma sul piano della garanzia dei diritti e dell’equilibrio tra poteri. “Cosa fa questa riforma – attacca Elly Schlein – per migliorare la vita degli italiani? Niente. Cosa fa questa riforma per migliorare il funzionamento della giustizia in Italia? Niente. Questa destra vuole incidere sugli equilibri che la Costituzione mette a garanzia dei diritti dei cittadini ed è questo che dobbiamo mettere al centro. Se un cittadino pensa che il giudice debba obbedire a chi governa, allora può votare a favore di questa riforma, se invece pensa che anche chi governa debba come tutti rispettare le leggi e la Costituzione, allora voterà no”.

Una posizione rilanciata da Giuseppe Conte: la riforma, sostiene, fa in modo “che i pm non diano fastidio al governo di turno”. E aggiunge: “Non solo voteremo no a questa riforma, ma faremo una campagna per far capire ai cittadini quanto è pericoloso il principio che si vuole perseguire. Questo è il disegno di Licio Gelli e di chi voleva mettere con la P2 i pm sotto controllo”.

Di segno opposto la valutazione di Azione, che legge nella riforma un riequilibrio dei pesi interni alla magistratura: “Questa riforma è giusta perché la magistratura oggi non è indipendente. Noi lo chiamiamo sistema Palamara”, afferma Carlo Calenda, che invita a “evitare un’armageddon per il quale chi è a favore della riforma vuole attuare in realtà un golpe antidemocratico”.

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