Civile

Furto nelle cassette di sicurezza bancarie: vale la prova per presunzioni del contenuto

di Cecilia Buresti

In caso di furto in cassette di sicurezza, nell’impossibilità per il cassettista di dare prova diretta dell’esistenza e del valore degli oggetti contenuti nelle cassette, la somma dovuta dalla banca a titolo di risarcimento può essere determinata in base a circostanze presuntive. Il Tribunale di Torino, con la sentenza resa il 29 luglio 2019 (giudice Martinat), ha condannato un noto istituto bancario a risarcire il danno subito da un cassettista facendo affidamento sulla buona fede di quest’ultimo nel dichiarare il contenuto della cassetta al momento del furto.

La questione
Il giudizio è stato instaurato da un cliente titolare di una cassetta di sicurezza presso la banca, il cui contenuto (contanti, gioielli e preziosi) è stato sottratto in occasione di un furto con scasso nel caveau della banca. In generale, la banca risponde per l’idoneità e la custodia dei locali e per l’integrità della cassetta, salvo il caso fortuito, che difficilmente è riconosciuto nel caso di furto con scasso.

L’attore ha chiesto di essere risarcito dell’intero danno patrimoniale patito (consistente nel valore dei beni sottratti) nonché di quello non patrimoniale (quest’ultimo stimato in base al grande valore affettivo dei gioielli per molto tempo appartenuti alla famiglia dell’attore).

La sentenza
Quanto alla la prova del danno - che incombe sul danneggiato - nella decisione il Tribunale ha ricordato che essa è assai difficile poiché l’elemento tipico del contratto di concessione in uso delle cassette di sicurezza è la segretezza delle operazioni di deposito. In considerazione di tale intrinseca difficoltà, il Tribunale ha ritenuto raggiunta la prova del contenuto della cassetta sulla base di elementi presuntivi e cioè: la tempestività della denuncia alla polizia con specifica indicazione dei beni sottratti (contante, preziosi e gioielli); la condizione economica di agiatezza personale e della famiglia del correntista, compatibile con il possesso di preziosi; la circostanza che il cassettista avesse subito in precedenza un furto in casa, dal che si è ritenuto ragionevole che egli avesse deciso di custodire i preziosi in una cassetta di sicurezza; infine, alcune foto che ritraevano i preziosi in questione e le testimonianze complessivamente escusse concordanti nell’affermare che l’attore custodisse contanti e preziosi nella cassetta di sicurezza.

La prova presuntiva
Questa decisione si colloca nel trend giurisprudenziale, che, a fronte dell’oggettiva difficoltà di raggiungere una prova storica in ordine all’esistenza e alla consistenza dei beni depositati nella cassetta di sicurezza al momento del furto, ammette il ricorso alla prova presuntiva come mezzo esclusivo del convincimento del giudice.

Nel caso esaminato, ad esempio, dalle condizioni abbienti del cassettista si è desunta in via presuntiva la circostanza che nella cassetta di sicurezza fosse depositato denaro contante. L’esistenza di ritratti fotografici in cui l’attore e i suoi familiari indossavano alcuni gioielli ha consentito di ritenere sufficientemente provato che questi gioielli fossero in effetti custoditi in cassetta. Anche la tempestività della denuncia alla polizia giudiziaria, contenente un elenco circostanziato dei beni sottratti, è stata ritenuta circostanza di fatto valida a far presumere la presenza dei beni nella cassetta di sicurezza.

Il valore dei gioielli è stato poi desunto, con l’ausilio di esperti, dalle fotografie stesse.
In definitiva, dunque, nella acclarata impossibilità di formare una prova piena, il Tribunale ha scelto il favor per il danneggiato, consentendogli di superare i limiti oggettivi della sua posizione processuale ricorrendo all’istituto della presunzione.

Tribunale di Torino, sentenza resa il 29 luglio 2019

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