Società

Società di persone, nullo l’atto «fuori» dall’oggetto sociale

di Angelo Busani ed Elisabetta Smaniotto

È nullo e, quindi, inefficace l’atto compiuto dall’amministratore di una società di persone (ad esempio, il rilascio di una fideiussione) se non rientra nell’oggetto sociale. Lo ha stabilito la Cassazione con la sentenza n. 14254 dell’8 luglio 2020, la quale invita a rileggere, perché necessitante di una precisazione, la precedente giurisprudenza di legittimità (vale a dire la sentenza 25409/2016).

La sentenza 14254/2020, dopo aver rammentato che alle società di persone non si può applicare per analogia (nello stesso senso, Cassazione 4774/1999) la normativa della società per azioni (contenuta negli articoli 2384 e 2384-bis del codice civile, i quali sostanzialmente escludono l’invalidità dell’attività compiuta in eccedenza rispetto all’oggetto sociale) prospetta tre casi:

1) viene effettuata un’attività, come il rilascio di una fideiussione, prevista espressamente nella clausola dell’oggetto sociale secondario. Ad esempio, dopo l’indicazione dell’attività principale della società – in ipotesi, la produzione di scarpe – l’oggetto sociale contiene un’espressione del tipo: «La società può contrarre finanziamenti, prestare garanzie, reali e personali, anche a favore di terzi». È questa la fattispecie esaminata nella decisione n. 14254;

2) viene effettuata un’attività (in ipotesi: la vendita di tutti gli immobili sociali, consistente dunque in una «sostanziale liquidazione» della società) in presenza di un oggetto sociale che la prevede, ma solo leggendolo in senso assai lato (ad esempio: «Compiere qualsiasi attività immobiliare e ogni altra operazione ordinaria e straordinaria occorrente per il raggiungimento dello scopo sociale»). È questa la fattispecie esaminata nella precedente decisione n. 25409;

3) viene effettuata un’attività strumentale all’oggetto sociale, formalmente da esso non contemplata: ad esempio viene preso in locazione un opificio o viene contratto un mutuo per finanziare l’acquisto di un macchinario da parte di una società il cui oggetto sociale è l’esercizio della produzione di scarpe.

In quest’ultima ipotesi, è ovvio che non si pone alcun tema di eccedenza dell’attività compiuta rispetto all’oggetto sociale, in quanto la sua evidente strumentalità permette di considerarla effettuata in perfetta armonia con l’oggetto sociale.

Nel primo caso, la sentenza 14254 afferma che non ci può essere discussione: se una data attività è menzionata nell’ambito della clausola dell’oggetto sociale come ancillare rispetto all’oggetto principale, il suo compimento non genera problemi di invalidità. Occorre dare «rilievo preminente al dato della formale indicazione dell’atto nell’oggetto sociale, senza rimandare ad una verifica in concreto della strumentalità, mediante un accertamento che sarebbe decisamente arduo per il terzo e che introdurrebbe elementi di persistente incertezza circa l’efficacia di singoli atti, pur astrattamente previsti nell’oggetto sociale».

Sulla base di questo principio deve, dunque, essere riletta la sentenza 25409/2016, nella quale venne deciso che occorre, caso per caso, valutare la strumentalità dell’atto compiuto rispetto all’oggetto sociale e discenderne l’invalidità se il giudizio di strumentalità è negativo. Tuttavia, in quella fattispecie, questo ragionamento servì alla Cassazione per invalidare un’attività sostanzialmente liquidatoria del patrimonio sociale invece compiuta ritenendola rientrante nell’oggetto sociale (così formulato: «Compimento di attività immobiliare»). Concludendo:

- se un’attività è prevista espressamente nella clausola dell’oggetto sociale, il suo compimento è lecito perché se ne presume la congruenza con l’oggetto della società, a meno che non sia provata (con onere della prova a carico della società) la sua “non strumentalità”;

- se un’attività non è prevista nell’oggetto sociale, ma è a esso evidentemente strumentale, non si pone il tema della sua illiceità.

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