Civile

Al curatore l’amministrazione del patrimonio separato della società

Autonomia strutturale inalterata al netto del passivo della società

Filippo D’Aquino

Il legislatore non ha inciso sull’istituto del patrimonio destinato a uno specifico affare (articolo 2447-bis, Codice civile). Poco utilizzato nella prassi, è uno strumento introdotto dalla riforma del diritto commerciale del 2003 e integrato nella liquidazione concorsuale dal Dlgs 5/2006, con la previsione di una separazione patrimoniale tra massa dei creditori della società e creditori particolari del patrimonio separato, i quali non hanno azione nei confronti della società salvo casi particolari.

È stata mantenuta la differenza tra patrimonio di destinazione «operativo» o industriale (articolo 2447-bis, lettera a, Codice civile) - quale universalità di beni e rapporti giuridici destinati a garantire la realizzazione di un dato affare - e patrimonio di destinazione «finanziario», disciplinato dall’articolo 2447-bis, lettera b, Codice civile. Il primo continua a recare una specifica disciplina di carattere gestorio in caso di insolvenza della società (articoli 262, 263), il secondo – risolvendosi in un contratto di finanziamento – è trattato quale rapporto pendente (articolo 176).

Il patrimonio di destinazione operativo costituisce per il diritto concorsuale un centro di imputazione di interessi privo di soggettività giuridica (analogamente ai Fondi comuni di investimento gestiti dalle Sgr: Cassazione, 12062/2019) e non assoggettabile a liquidazione giudiziale; ciò lo distingue dalle società partecipate, che mantengono autonomia soggettiva rispetto alla società madre.

Anche in caso di insolvenza del patrimonio destinato, in assenza di autonomia soggettiva e non potendosi far ricorso alla liquidazione giudiziale, i creditori particolari del patrimonio destinato vanno soddisfatti secondo le regole civilistiche, senza procedere alla formazione di uno stato passivo (come avviene in caso di fallimento in estensione dei soci di società di persone).

Allo stesso modo, l’insolvenza della società non determina – a differenza di quanto accade nel patrimonio di destinazione finanziaria (articolo 176) – lo scioglimento del patrimonio separato, che mantiene la propria autonomia strutturale, la cui gestione, per il principio dello spossessamento del debitore, passa al curatore con gestione separata rispetto al patrimonio della società madre (articolo 262, comma 1).

Non è stato chiarito se e in che modo l’amministrazione del patrimonio contempli anche la prosecuzione dell’attività di impresa e se, in questo caso, debba seguirsi la disciplina dell’esercizio provvisorio o dell’affitto di azienda della liquidazione giudiziale. L’esercizio provvisorio appare in contrasto con il fatto che nel caso del patrimonio separato l’attività caratteristica prosegue in default, mentre nella liquidazione giudiziale l’attività di impresa cessa all’atto dell’apertura della procedura.

Inoltre, va osservato che l’opzione dell’esercizio provvisorio investirebbe il curatore di un’attività di impresa nell’interesse di soggetti che non sono creditori concorsuali, laddove l’interesse dei creditori della liquidazione insorgerebbe mediatamente solo al momento dell’apprensione del residuo attivo una volta liquidati i creditori particolari. Appare, pertanto, preferibile il ricorso alla gestione accessoria (affitto di azienda), secondo la disciplina degli atti di straordinaria amministrazione della procedura madre, con autorizzazione attribuita agli organi della procedura.

In virtù delle finalità liquidatorie della procedura concorsuale, il curatore procede alla cessione del patrimonio separato. Questa liquidazione avviene tramite procedure competitive (stante il rinvio recettizio dell’articolo 262, comma 2, all’articolo 216), dovendo il curatore ottimizzare il valore de residuo una volta liquidati i creditori particolari. Il riferimento contenuto nella norma alla conservazione della «funzione produttiva» del patrimonio destinato fa ritenere preferibile una liquidazione aggregata dei beni in luogo di cessioni atomistiche, purché questo rientri nell’interesse dei creditori sociali.

Rimane irrisolta la questione della natura della liquidazione del patrimonio, ossia se essa costituisca o meno vendita forzata (con purgazione dei gravami). Questa natura è incompatibile col fatto che il patrimonio separato non è assoggettato alle regole del concorso (non vi è uno stato passivo dei creditori particolari) e con l’assenza di un rinvio alle norme in materia di vendita forzata. Non sarebbe, quindi, possibile una vendita dell’azienda con purgazione dei debiti del patrimonio separato o dei gravami insistenti sugli immobili del patrimonio, stante anche l’omesso rinvio all’articolo 214.

All’attivo derivante dal residuo di liquidazione del patrimonio si aggiunge l’azione revocatoria prevista dall’articolo 167 (già articolo 67-bis, legge fallimentare), nei confronti di atti che abbiano inciso sul patrimonio destinato e che abbiano provocato un pregiudizio al patrimonio della società madre. Si pensi a un contratto vantaggioso per un contraente del patrimonio separato che però abbia sottratto risorse alla società madre. Il curatore può esercitare quest’azione di massa a condizione che provi la conoscenza nel contraente dello stato di insolvenza, oltre che il pregiudizio per la società.

È dubbio se l’azione revocatoria possa riguardare la delibera di costituzione del patrimonio separato, ove fosse stato costituito quando la società era già insolvente, non essendo quest’atto propriamente un atto di destinazione patrimoniale.

Ulteriore dubbio investe gli effetti della revocatoria, ossia se si producano in favore del patrimonio sociale, benché indirettamente inciso dall’atto oggetto di revocatoria o, come appare più ragionevole, in favore del patrimonio destinato, direttamente inciso dall’atto depauperatorio.

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