Civile

Decadenza del marchio mai usato, utilizzabili anche le presunzioni semplici

Devono però fondarsi su elementi gravi, precisi e concordanti

di Selene Pascasi

Provare la nullità o la decadenza del titolo di proprietà industriale spetta a chi lo impugna ma, considerate la difficoltà e talora l’impossibilità per il terzo di fornire piena prova che un marchio non sia stato mai usato, in nessun tempo e in nessun luogo, sarà possibile avvalersi di ogni mezzo e quindi anche di presunzioni semplici. Ciò, purché si fondino su elementi gravi, precisi e concordanti.

Lo afferma il Tribunale di Roma con la sentenza n. 8662 del 1 giugno 2022. Nel sostenerlo, il giudice ricorda che per l’articolo 24 del Codice della proprietà industriale (Dlgs 30/2005) il marchio deve formare – per i prodotti o servizi per cui è registrato ed entro cinque anni dalla registrazione – oggetto di uso effettivo o da parte del titolare o con il suo consenso. Varranno, dunque, anche permessi difformi dalla concessione propria della licenza. E, salvo un valido motivo, l’uso non andrà sospeso per un quinquiennio. Pertanto, a “salvare” il marchio dalla decadenza per non uso potrà essere anche l’iniziativa di soggetti diversi dal titolare del diritto di privativa sempre che questi non dissenta (Cassazione 18647/2010).

Inoltre, prosegue il Tribunale, provare la nullità o decadenza del titolo di proprietà industriale spetta a chi impugna il titolo ma per superarne gli scogli è concesso un temperamento. Difatti, per l’articolo 121 del Codice di procedura civile, la prova che il marchio non sia mai stato usato in nessun tempo e luogo può fornirsi con ogni mezzo incluse le presunzioni semplici cioè le conseguenze che il giudice trae da un fatto noto per risalire ad uno ignoto basandosi su dati gravi, precisi e concordanti.

Criteri pertinenti alla vicenda, nata dalla decisione della società titolare di un marchio usato per la creazione e vendita di abbigliamento e accessori – registrato in Cina ed in altri 40 paesi – di citare lo stilista con cui aveva collaborato. Era venuta a sapere, spiega, che l’uomo aveva registrato in Italia un marchio analogo senza, però, mai usarlo né personalmente né tramite società a lui riconducibili. Di qui, la richiesta di dichiararlo decaduto. L’ex consulente ribatte: avevano pattuito di commercializzare la produzione in Cina ed in Italia e di registrare il marchio ciascuno nella propria nazione.

Il Tribunale, esaminata la faccenda, boccia la domanda della società. Aveva portato al processo, sottolinea, elementi insignificanti che non potevano valere neanche come presunzioni semplici. Anzi, l’aver avviato una sorta di partenariato equivaleva ad aver rilasciato un consenso all’uso del marchio che ormai ne impediva la decadenza.

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