Professione e Mercato

Le vie per dire addio all’immobile inutile

di Angelo Busani e Franca Deponti

Il rustico cadente ereditato dal nonno, la piccola quota di un terreno sperduto in un territorio montano, la metà di un appartamento su cui si litiga intanto che le spese aumentano: anche in un Paese che ama più di ogni altro il “mattone” - l’80% degli italiani ha almeno una casa - capita che avere una proprietà o una comproprietà sia solo fonte di guai.

 Sempre più di frequente ci si imbatte in situazioni di immobili “fastidiosi” per i loro proprietari, non solo perché occorre pagare tasse e costi di manutenzione e occuparsi del loro lato burocratico, ma anche perché producono responsabilità civili (se non penali) in caso di danni a terzi, o sono a rischio sanzioni amministrativo-sanitarie. Si pensi all’albero del giardino incolto che cade su una proprietà vicina o al fabbricato che, a causa di un crollo, investe un passante.

Ma se questi immobili risultano invendibili, perché nessuno è disposto a comprarli neppure per un prezzo simbolico, una via d’uscita c’è: anche se l’affermazione sembra strana l’interessato può rinunciare alla quota di comproprietà o alla proprietà e disfarsene.

Come rinunciare all’immobile
Che cosa succede in pratica? La rinuncia alla quota di comproprietà provoca un’espansione del diritto degli altri comproprietari. La quota di comproprietà, infatti, è da concepire come un diritto sull’intero bene, compresso dalla presenza degli altri comproprietari, cosicché, venendo meno uno di essi, la quota degli altri “che resistono” si accresce automaticamente. Questi ultimi, anche se non gradiscono l’altrui rinuncia non possono impedirla, ma possono a loro volta rinunciare alla propria quota, e ciò fino a quando non resta che un unico proprietario.

Anche in questo caso, o comunque quando il proprietario del bene è uno solo fin dall’inizio, l’interessato può rinunciare al suo diritto con l’effetto che lo Stato diventa proprietario senza potersi opporre all’acquisizione. Lo dice il codice civile, all’articolo 827, anche se in qualche caso l’agenzia del Demanio ha cercato di porre dei dubbi su una prassi che si sta diffondendo e che ha sì l’effetto di “liberare” da costi e responsabilità il cittadino ex proprietario, ma dall’altro lato li accolla in qualche misura alla pubblica amministrazione.

Lo studio del Notariato
Una confortante assicurazione in questo senso arriva da uno studio del Consiglio nazionale del notariato (n. 216-2014/C del 21 marzo 2014), elaborato proprio a fronte della circostanza che, in questi anni di crisi, molti notai sono stati investiti dai clienti della questione di come liberarsi da proprietà non volute. In epoche precedenti, nelle quali le tasse locali erano di minore impatto e il tenore di vita migliore, il problema della proprietà fastidiosa si poneva raramente. Oggi, invece, che molti devono tagliare le spese inutili, anche la semplice chiamata alla cassa per il saldo Imu-Tasi che scade il 18 dicembre può indurre altre riflessioni. E a maggior ragione se l’immobile è solo un peso anche se - come può accadere per gli inagibili - le imposte fossero ridotte.

L’operazione-rinuncia, ovviamente, presenta anch’essa qualche costo, che dovrebbe però essere ammortizzato dal risparmio futuro. La rinuncia all’immobile o a una sua parte, infatti, è un atto che si stipula esclusivamente da un notaio, che poi lo registra al Catasto. Chi rinuncia paga l’imposta di donazione che varia a seconda dei casi. Nell’ipotesi di cessione del bene allo Stato l’aliquota è l’8 per cento. Se, invece, l’atto accresce la quota di un fratello, l’imposta è il 6% del valore con una franchigia di 100mila euro; per cugini e altri parenti è al 6 per cento.

Gli esempi su come trovare una soluzione

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©