Comunitario e Internazionale

Diritto d’autore sui contenuti digitali, di nuovo battaglia al Parlamento Ue

di Alberto Magnani

Bruxelles torna a scaldarsi sulla riforma del copyright. Mercoledì prossimo, il 12 settembre l’Europarlamento, riunito in plenaria a Strasburgo, voterà il via libera ai nuovi emendamenti e al mandato negoziale per proposta di direttiva sul cosiddetto Digital single market (2016/0280/COD), diventata nota soprattutto per le sue misure a tutela del diritto d’autore.

L’Eurocamera aveva respinto a luglio il testo emendato dalla Commissione giuridica con 318 no, 278 sì e 31 astenuti, riaprendo la partita e congelando il verdetto fino alla riunione della settimana prossima. A scatenare turbolenze sono le modifiche agli articoli 11 e 13, dove si fissano gli obblighi di retribuire gli autori per i contenuti diffusi (articolo 11) e di bloccare il “caricamento” di contenuti protetti da copyright (articolo 13). Oggi scadono i termini per presentare le nuove modifiche e far arrivare in aula l’ultima versione del testo, in un clima che si annuncia incadescente.

Ma cosa cambierebbe con i due articoli incriminati? L’articolo 11 è diventato noto come «link tax», anche se non è prevista alcuna forma di tassazione sui collegamenti ipertestuali. La proposta imporrebbe ai paesi Ue di garantire agli editori di «ottenere una giusta e proporzionata remunerazione per l’uso digitale delle loro pubblicazioni dai provider di informazioni», cioè le piattaforme come i social newtork o i motori di ricerca. Resta libero l’utilizzo di contenuti per ragioni non commerciali, mentre si raccomanda agli editori di riconoscere agli autori una «quota adeguata dei proventi supplementari percepiti».

L’articolo 13, sempre dopo l’emendamento della Commissione giuridica, impone alle piattaforme online di «siglare contratti di licenza con i proprietari dei diritti, a meno che questi non abbiano intenzione di garantire una licenza o non sia possibile stipularne». In assenza di un accordo, gli stessi fornitori di servizi online devono predisporre «misure appropriate e proporzionate che portino alla non disponibilità di lavori o altri argomenti che infrangano il diritto d’autore o diritti correlati».

Il voto di luglio era stato appesantito dalle pressioni istituzionali dei colossi tech, come Google e Facebook, accusati dal leader dei socialdemocratici, Udo Bullmann di essersi spinti a «gravi minacce» verso gli eurodeputati. La plenaria del 12 rischia di degenerare in un’atmosfera simile, anche perché l’attività di lobbying è entrata in azione da settimane.

Da un lato c’è la cosiddetta industria culturale, dagli editori alle case discografiche, interessata a una misura che consentirebbe di monetizzare la diffusione di propri contenuti online. L’appello congiunto della Federazione italiana editori giornali e dell’Enpa (l’associazione degli editori europei), lanciato ieri, si accoda a una lunga serie di iniziative simili da parte di gruppi editoriali, musicali e cinematografici. Di recente Europe for creators, un movimento di sostegno alla categoria dei «creativi», ha stimato che l’assenza di regole fa perdere al settore una media di 260 milioni l’anno solo in Italia.

Dall’altro resiste il pressing delle piattaforme digitali, contrarie a una direttiva che colpirebbe nel vivo un modello di business incardinato sull’intermediazione di contenuti generati da terzi. I nomi ricorrenti sono quelli di Google, Facebook e Amazon, anche grazie a un imponente dispiegamento di lobbisti nelle istituzioni. Ma arrivano voci discordi anche da associazioni di categoria come Confindustria digitale, scettica sugli esiti di una riforma che «presenta gravi criticità, frutto di una discussione impostata come se ci fosse una sfida in atto tra detentori del copyright e grandi piattaforme digitali».

Del resto il quadro è tutt’altro che omogeneo anche fra gli stessi gruppi politici dell’Europarlamento. Se si esclude la famiglia dei Popolari europei, orientata al sì fin dal voto di luglio, il resto dell’emiciclo si prepara a frizioni interne. Fra le forze meno coese ci sono i Socialisti&Democratici, come testimonia lo scontro dell’ultima plenaria fra gli eurodeputati italiani del Pd (favorevoli) e i membri di sigle più a sinistra come Liberi&Uguali e Possibile.

L’articolo 11 della direttiva, dopo l’emendamento della Commissione giuridica, impone agli Stati membri di garantire agli editori di «ottenere una remunerazione equa e proporzionata per l’utilizzo digitale delle loro pubblicazioni di carattere giornalistico, da parte dei prestatori di servizi della società dell’informazione». Il vincolo non si estende però «all’uso legittimo privato e non commerciale delle pubblicazioni» da parte dei singoli utenti, non riguarda i collegamenti ipertestuali e non può essere esercitato retroattivamente. Inoltre, si impone alle aziende di riconoscere agli autori una «quota adeguata» del valore aggiunto generato dai propri contenuti

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