Penale

Irretroattiva la riforma dell’accesso al concordato in appello

La Cassazione ha da una parte sottolineato la portata delle novità introdotte anche per questo istituto dalla riforma del processo penale e dall’altra ne ha affermato la portata non retroattiva

di Giovanni Negri

Concordato in appello più esteso, ma non retroattivo. La Cassazione, con la sentenza n. 9188 della Sesta sezione penale ha da una parte sottolineato la portata delle novità introdotte anche per questo istituto dalla riforma del processo penale e dall’altra ne ha affermato la portata non retroattiva.

La Corte ha così ricordato innanzitutto che , con la riforma in vigore dallo scorso 30 dicembre, la possibilità di concordare con l’accusa l’accoglimento di alcuni motivi di appello non ha ormai più limiti sia sul versante oggettivo dei reati di particolare gravità, sia su quello soggettivo della preclusione per la dichiarazione di delinquenza abituale.

Un intervento il cui effetto complessivo è che l’istituto del concordato in appello può ora trovare applicazione in tutti i giudizi di secondo grado, indipendentemente dal titolo del reato oggetto del processo.

Quanto però alla eventuale applicazione retroattiva, a giudizi di secondo grado antecedenti il 30 dicembre, la conclusione della Cassazione è negativa. Sul punto, sottolinea la sentenza, va ricordata l’assenza di un’esplicita disciplina transitoria, a differenza di quanto invece stabilito per altre materie come le condizioni di procedibilità.

Di conseguenza deve trovare applicazione la regola generale del tempus regit actum, con l’effetto per cui l’allargamento nell’accesso al concordato può scattare solo nei processi di appello che si sono svolti a partire dal 30 dicembre, «senza possibilità di un’applicazione retroattiva nei processi nei quali il giudizio di secondo grado sia stato già definito».

Del resto, ricorda la Cassazione, questa conclusione è in linea con quanto già affermato in passato per altri istituti di natura processuale, quando eventuali modifiche non sono accompagnate da un’indicazione specifica, come nel caso della sospensione del processo con messa alla prova.

Non serve alla difesa richiamarsi agli orientamenti della Corte costituzionale in materia di giudizio abbreviato e di reati ostativi alla concessione dei benefici penitenziari. Nel primo caso, infatti, nella lettura della Cassazione, la Consulta, ha spiegato come il principio di retroattività sancito dall’articolo 7 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo si riferisce al rapporto tra un fatto e una norma sopravvenuta, di cui è incerta l’applicabilità. Inoltre, il rito abbreviato ha come conseguenza inevitabile uno sconto della pena, effetto che, nel contesto del concordato in appello è solo eventuale.

Fuori luogo poi il richiamo alla pronuncia della Corte costituzionale sui reati ostativi che ha piuttosto una rilevanza nella fase di esecuzione della pena a fronte di un cambiamento normativo intervenuto.

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