Famiglia

L'avarizia ossessiva e il regime pervasivo di risparmio domestico integrano il reato di maltrattamenti

E' il principio espresso dalla Sesta Sezione Penale della Suprema Corte e non si riscontrano precedenti

di Valeria Cianciolo

Nel delitto di maltrattamenti in famiglia non rientrano soltanto le percosse, le lesioni, le ingiurie, le minacce e le privazioni e le umiliazioni imposte alla vittima, ma anche gli atti di disprezzo e di offesa alla sua dignità, che si risolvano in vere e proprie sofferenze morali come pure l'imposizione di una condotta di vita familiare fortemente influenzata al "risparmio domestico", accompagnata da un controllo spasmodico del coniuge tale da sconfinare in un vero e proprio regime, da causare alla persona offesa uno stato di ansia e frustrazione.
E' questo il principio espresso dalla Sesta Sezione Penale della Suprema Corte (sezione VI, sentenza 17 febbraio 2023, n. 6937 – Pres. Di Stefano, Cons. Rel. Giordano) e sul punto, non si riscontrano precedenti. L'avarizia e la taccagneria arricchiscono dunque, il quadro dei maltrattamenti la cui condotta - non sempre agevole da individuare con precisione, considerata la genericità del verbo utilizzato dal legislatore - che può essere attiva (percosse, ingiurie, minacce, umiliazioni, sopraffazioni) o anche omissiva (privazione di cibo, di assistenza, di cure), è integrata da atti ripetuti di vessazione fisica o morale, i quali singolarmente considerati possono anche non integrare un reato. Comunque sia, si tratta di condotte che causano una situazione di destabilizzazione psicologica, nervosa ed emotiva, oppure uno stato di prostrazione e di avvilimento tale da rendere abitualmente dolorose e mortificanti le relazioni intercorrenti con l'agente, fonte di uno stato di disagio continuo e incompatibile con normali condizioni di esistenza.
L'estensione per via giurisprudenziale dell'ambito di applicazione del reato di maltrattamenti, testimoniato dalla stessa sentenza in commento, indica lo spostamento di accento dalla tutela della famiglia come istituzione, in virtù della quale il delitto in esame era stato collocato nel Titolo XI, alla tutela della persona, in particolare del soggetto debole nell'ambito di un contesto di possibile sopraffazione.
Nel caso in esame, la moglie, persona offesa, aveva riferito le modalità ossessive e di controllo del "risparmio domestico" imposte dal marito che erano sconfinate per la loro pervasività ad un livello, tale da causare alla persona offesa uno stato di ansia e frustrazione. I comportamenti andavano dall'utilizzo di solo due strappi di carta igienica al recupero, per il reimpiego, in una bacinella dell'acqua utilizzata per lavarsi il viso o per fare la doccia, che la moglie poteva fare solo una volta a settimana. Tutti atteggiamenti accompagnati da frasi denigratorie e mortificanti che hanno reso la moglie, donna solare e aperta, in una persona chiusa e umiliata
La difesa dell'imputato, aveva argomentato che, in una situazione conflittuale quale quella che si era venuta a determinare fra i coniugi una situazione conflittuale e che pertanto gli episodi riportati come le condizioni di risparmio intollerabili, erano inidonei a configurare il delitto di maltrattamenti non avendo rilievo penale.
Il clima di ossessivo controllo ed isolamento in cui il marito aveva costretto la moglie - "fin dall'inizio della loro convivenza e progressivamente aggravatosi dopo il matrimonio" e che hanno confermato le angherie, i soprusi e le violenze poste in essere dall'imputato nei confronti della moglie e dalla donna confidate alle amiche" - sono elementi che riferiscono fatti anche risalenti nel tempo a comprova della abitualità dei comportamenti dell'imputato.
Sul punto, è noto il principio per il quale l'abitualità nel reato di maltrattamenti in famiglia può essere integrato anche nel caso in cui il compimento di più atti, delittuosi o meno, che determinino sofferenze fisiche o morali, vengano posti in essere in lasso temporale non necessariamente prolungato, a condizione che la protrazione della condotta sia comunque idonea dar luogo ad uno stato di vessazione e soggezione dei familiari conviventi vittima del reato (cfr. Cass. Pen., Sez. VI, 19 dicembre 2012, n. 25183, in CED; Cass. Pen., Sez. III, 22 novembre 2017, n. 6724).
La sentenza richiama anche l'articolo 143 cod. civ. che evoca il principio di solidarietà coniugale e di comunione di vita, in forza del quale ciascun coniuge deve apportare all'altro sostegno morale, materiale ed economico. Ma il sostegno è parimenti reciproco ed assoluto, nel senso che ad esso non possono essere apposte condizioni, graduazioni ovvero differenze e comunque, non esclude che, una volta che siano soddisfatte le prioritarie esigenze familiari, ciascun coniuge possa disporre liberamente dei suoi redditi (Cass. 3 febbraio 1995, n. 1321). Nel caso in esame, sia la moglie che il marito godevano di un proprio stipendio.
Con il matrimonio i coniugi possono stabilire uno stile di vita, improntato al rigoroso risparmio, ma deve trattarsi, comunque, di uno stile di vita condiviso e certamente, non imposto. "Men che mai in quelle che sono le minimali e quotidiane esigenze di vita in casa e accudimento personale", osserva la Suprema Corte.

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