Professione e Mercato

Così la parcella dell’avvocato accoglie l’equo compenso

di Valentina Maglione e Filippo Martini

Arriva l’equo compenso per gli avvocati. Ma le novità - introdotte dal decreto fiscale, il Dl 148/2017, e in vigore dal 6 dicembre scorso - come impatteranno sulle parcelle?

Per tentare una stima degli effetti, Il Sole 24 Ore del Lunedì ha elaborato un esempio, riferito a un caso concreto che può finire sulla scrivania di un avvocato. È stata considerata, in particolare, una controversia per il risarcimento del danno da incidente stradale, in cui la compagnia assicurativa dell’automobilista chiamato in causa si rivolge a un avvocato per la difesa in giudizio.

È lo stesso decreto fiscale, del resto, a precisare che le tutele per l’equo compenso coprono le prestazioni professionali rese a favore di banche, assicurazioni, grandi imprese e pubbliche amministrazioni: vale a dire quei committenti che, sfruttando la propria posizione dominante, sono in grado di imporre ai professionisti compensi e condizioni stabilite in via unilaterale.

Per ipotizzare quale potrebbe essere il compenso «equo» nelle tre ipotesi, i calcoli sono stati fatti sulla base dei «parametri» previsti dal decreto ministeriale 55/2014, del quale il ministero della Giustizia ha avviato una revisione per dettagliare, tra l’altro, i compensi che spetterebbero agli avvocati che seguono le procedure stragiudiziali di mediazione e negoziazione assistita: lo schema di decreto di modifica è stato inviato nei giorni scorsi al Consiglio di Stato.

Il decreto ministeriale indica i compensi da riconoscere agli avvocati per le attività svolte, che variano in base a diversi criteri, a partire da quello del valore e della complessità della pratica da seguire. È uno strumento di riferimento (soprattutto) per i magistrati, chiamati a stabilire la parcella nei casi in cui legale e cliente non riescano a trovare un accordo. Non si tratta, quindi, di una riedizione delle “vecchie” tariffe minime, che i clienti e i professionisti dovevano rispettare e che sono state abrogate ormai 11 anni fa dal decreto Bersani.

Il calcolo della parcella è stato fatto utilizzando i «parametri» perché sono uno dei criteri a cui il decreto fiscale fa riferimento per determinare il compenso «equo» per l’avvocato, vale a dire «proporzionato alla quantità e alla qualità del lavoro svolto», al «contenuto» e alle «caratteristiche» della prestazione resa. È vero che i parametri non sono l’unico “aggancio” individuato. Il decreto infatti dettaglia anche alcune clausole «vessatorie», che determinano un significativo squilibrio contrattuale a carico del professionista: queste clausole possono essere dichiarate nulle dal giudice se impugnate entro due anni dalla loro sottoscrizione; e il meccanismo riporta ai «parametri» perché è tenendo conto di questi ultimi che il magistrato determinerà il compenso.

È chiaro che, in molti casi, le parcelle calcolate sulla base dei «parametri» sarebbero decisamente più elevate di quelle riconosciute ai professionisti dalle convenzioni proposte dai clienti “forti”. Resta da capire quanto i valori ritenuti «equi» di riferimento saranno in grado di condizionare il mercato. È vero, infatti, che i professionisti hanno la possibilità di contestare in giudizio le clausole vessatorie e i compensi troppo bassi. D’altro canto, però, chi lavora abitualmente con un cliente “forte” rischia di non avere comunque il potere contrattuale per chiedere una parcella più elevata; e arrivare alla contestazione del compenso in giudizio equivale, in molti casi, a chiudere i rapporti per il futuro.

I casi pratici e le parcelle

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