Amministrativo

Consiglio di Stato e Tar: le principali decisioni della settimana

La selezione delle pronunce della giustizia amministrativa nel periodo compreso tra il 16 e il 20 maggio 2022

di Maurizio De Giorgi

Nel corso di questa settima il Consiglio di Stato è chiamato a pronunciarsi in tema di riparto dell’onere della prova nel condono edilizio, di lottizzazione abusiva, di tutela dell’ambiente, di competenze dell’Aifa e infine di obbligo di concludere un contratto di diritto pubblico. Da parte loro i tribunali amministrativi trattano i temi della responsabilità civile della Pa, dell’offerta anomala nelle gare pubbliche, dell’accesso civico generalizzato, dell’allocazione sul territorio dei ripetitori di telefonia mobile e, infine, dei tetti di spesa sanitaria.

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EDILIZIA E URBANISTICA

Condono edilizio - Abuso edilizio - Epoca di realizzazione - Onere della prova. (Cc, articolo 2697; Dlgs 2 luglio 2010 n. 104, articolo 64)
Si afferma in sentenza che, in materia di condono edilizio, l’onere della prova circa l’effettiva ultimazione delle opere entro la data utile grava integralmente sulla parte privata, senza possibilità alcuna di inversione con aggravio a carico della Pa, dovendosi negare rilevanza a dichiarazioni sostitutive di atto di notorietà o a semplici dichiarazioni rese da terzi, in quanto non suscettibili di essere verificate. La dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà non è applicabile nel processo amministrativo in quanto la stessa (mezzo surrettizio per introdurre la prova testimoniale) non possiede alcun valore probatorio e può, al più, costituire un mero indizio che, in mancanza di altri elementi gravi, precisi e concordanti, non è idoneo a scalfire l'attività istruttoria dell'Amministrazione. E così non può il richiedente il condono limitarsi a mere allegazioni documentali a sostegno delle proprie affermazioni, trasferendo il suddetto onere di prova contraria in capo all'amministrazione; sul richiedente, in altre parole,  grava il pieno onere della prova circa la data di ultimazione delle opere, in modo da non lasciare alcun dubbio al riguardo, trattandosi di elemento essenziale per l’ammissibilità della sua istanza. Nelle controversie in materia edilizia, soggette alla giurisdizione del G.A., i principi di prova oggettivi concernenti la collocazione dei manufatti tanto spazio, quanto tempo, si rinvengono nei ruderi, nelle fondamenta, nelle aerofotogrammetrie, nelle mappe catastali. Se poi, in via generale, è vero gravano a carico della P.A. stringenti doveri di vigilanza e controllo del territorio, nonché di repressione degli abusi edilizi, è anche vero che solo l’interessato (che peraltro può non coincidere con chi abbia materialmente realizzato la costruzione) può fornire quegli inconfutabili atti e documenti in grado di radicare una certezza ragionevole circa l’epoca di realizzazione del manufatto; il tutto anche in ossequio al principio di vicinanza della prova (articolo 2697 del Cc; articolo 64 Dlgs. n. 104/2010).
Consiglio di Stato, sezione VI, 16 maggio 2022 n. 3841

EDILIZIA E URBANISTICA
Lottizzazione abusiva - Illecito permanente - Operatività.
(Dpr 6 giugno 2001 n. 380, articolo 30)
Osserva in sentenza il Consiglio di Stato come in ipotesi di illecito edilizio, e in particolare di lottizzazione abusiva (art. 30 D.P.R. n. 380/2001), il Legislatore abbia individuato sanzioni aventi una loro applicazione cadenzata nel tempo che consente al privato di adempiere al provvedimento demolitorio al fine di evitare l'estrema conseguenza della perdita della proprietà. Al tempo stesso è da evitare una lettura generalizzata ed espansiva della lottizzazione, i cui effetti sono estremamente severi. La lottizzazione abusiva opera in modo oggettivo e indipendentemente dall'animus dei proprietari interessati i quali, se del caso, possono far valere la propria buona fede nei rapporti interni con i propri danti causa; a differenza dell’abuso edilizio, presuppone un insieme di opere, o di atti giuridici, che comportano una trasformazione urbanistica, o edilizia, dei terreni a scopo edificatorio intesa come conferimento all’area di un diverso assetto territoriale, attraverso impianti di interesse privato e di interesse collettivo, tali da creare una nuova maglia di tessuto urbano; è una fattispecie di particolare gravità cui sono connesse conseguenze sia amministrative, sia penali, sia civilistiche. La natura permanente degli esiti della lottizzazione abusiva rende tale tipologia di illecito urbanistico-edilizio soggettivamente trasferibile propter rem e sanzionabile in capo a tutti coloro che siano divenuti titolari dei terreni abusivamente lottizzati e, vieppiù, che abbiano goduto di costruzioni eseguite sine titulo su tali terreni, così concorrendo attivamente alla prosecuzione della fattispecie. L’interesse protetto dalla norma dell’art. 30 cit. è quello di garantire un ordinato sviluppo urbanistico del tessuto urbano, in coerenza con le scelte pianificatorie dell’amministrazione. La diversa conformazione materiale che deriva dall’attività di lottizzazione abusiva, se non rimossa, da un lato, impedisce la realizzazione del diverso progetto urbanistico stabilito dagli organi preposti al governo del territorio, dall’altro, impone l’adeguamento delle infrastrutture esistenti o la realizzazione di nuove per far fronte al carico urbanistico derivante dalla medesima lottizzazione.
Consiglio di Stato, sezione VI, 17 maggio 2022 n. 3851

AMBIENTE E TERRITORIO

Tutela - Associazioni ambientaliste. (Costituzionale, articoli 9, 32; legge 8 luglio 1986 n. 349, articoli 13, 18)
In questa sentenza si tratta il tema della tutela ambientale e così, dunque, della protezione degli interessi diffusi, ossia adesposti, che, pur non consentita in via teorica a causa della mancata sussistenza del requisito della differenziazione che tradizionalmente qualifica la posizione giuridica di interesse legittimo, è stata tuttavia sin dagli anni settanta dello scorso secolo assicurata attraverso il riconoscimento dell'esistenza di un interesse legittimo di natura collettiva imputabile ad un ente che, in forza del possesso di alcuni requisiti individuati dalla giurisprudenza (effettiva rappresentatività, finalità statutaria, stabilità e non occasionalità, in taluni casi collegamento con il territorio) diviene idoneo ad assumerne la titolarità. Il Consiglio di Stato sottolinea come il Giudice, all’esito di una verifica della concreta rappresentatività, possa ammettere all’esercizio dell’azione anche associazioni non iscritte, secondo il criterio del cd “doppio binario” che distingue tra la legittimazione ex lege delle associazioni di protezione ambientale di livello nazionale riconosciute – ex artt. 13, 18 L. n. 349/1986 - (che non necessita di verifica) e la legittimazione delle altre associazioni. Quest’ultima deve essere accertata nel caso concreto con riguardo alla sussistenza di tre presupposti: gli organismi devono perseguire statutariamente in modo non occasionale obiettivi di tutela ambientale, devono possedere un adeguato grado di rappresentatività e stabilità e devono avere un’area di afferenza ricollegabile alla zona in cui è situato il bene a fruizione collettiva che si assume leso. La tutela dell’ambiente (della biodiversità e degli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni), preordinata alla salvaguardia dell'habitat nel quale l'uomo vive, è imposta da precetti costituzionali (artt. 9 e 32 Cost.) e assurge a valore primario ed assoluto quale espressione della personalità individuale e sociale. L’ambiente rileva non solo come paesaggio, ma anche come assetto del territorio, comprensivo di ogni suo profilo, e finanche degli aspetti scientifico-naturalistici.
Consiglio di Stato, sezione IV, 17 maggio 2022 n. 3885

SANITA’ E BIOETICA
Farmaci -
Aifa - Competenze. (Legge 24 novembre 2003 n. 326, articolo 48)
Il Consiglio di Stato afferma, in punto di diritto, il principio secondo cui le Regioni non possono sovrapporre la propria valutazione tecnica ad una valutazione di appropriatezza, prescrivibilità e rimborsabilità già compiuta dall’AIFA  (Agenzia Italiana del Farmaco) a livello nazionale, in quanto attinente ai livelli essenziali di assistenza. In particolare, il complesso delle disposizioni legislative dedicate a regolare la materia attribuisce esclusivamente all’AIFA le funzioni relative al rilascio dell’autorizzazione all’immissione in commercio dei medicinali, alla loro classificazione, alle relative indicazioni terapeutiche, ai criterî delle pertinenti prestazioni, alla determinazione dei prezzi, al regime di rimborsabilità e al monitoraggio del loro consumo. Tali competenze devono essere qualificate come esclusive, nel senso che le suddette funzioni – legislative ed amministrative – spettano solo all’autorità statale restando così preclusa alle Regioni la previsione, sia in via legislativa che amministrativa, di un regime di utilizzabilità e di rimborsabilità contrastante e incompatibile con quello stabilito, in via generale, e sulla base dei pareri emessi dalla competente Commissione consultiva tecnico-scientifica, dall’AIFA a livello nazionale. Il farmaco, d’altronde, è uno strumento per la tutela della salute, con la conseguenza che l’accesso allo stesso deve essere inteso come diritto fondamentale dell’individuo e della collettività ragion per cui il Legislatore  ( art. 48 L. 24 novembre 2003, n. 326) ha assegnato all’AIFA il compito di redigere l'elenco dei farmaci rimborsabili dal SSN, sulla base dei criteri di costo ed efficacia, stabilendo, peraltro, meccanismi di sconto sul prezzo dei farmaci rimborsabili, al fine del contenimento della spesa farmaceutica a garanzia, nella misura più ampia possibile, del diritto alla salute mediante l'inserimento del maggior numero di farmaci essenziali nell'elenco di quelli rimborsabili dal SSN. Il diritto traccia dunque un quadro in cui l’inserimento dei farmaci in fascia A (a totale carico del SSN) appare unicamente finalizzato a garantire il diritto degli utenti a fruire di terapie farmacologiche gratuite, quando esse siano “essenziali” o riguardino malattie croniche, contemperandolo con la facoltà dello Stato di adottare misure economiche indirizzate al controllo della spesa farmaceutica.
Consiglio di Stato, sezione III, 18 maggio 2022 n. 3929

CONTRATTI PUBBLICI
Contratto di diritto pubblico - Obbligo di concludere il contratto.
(Cc, articolo 2932)
Il Consiglio di Stato è chiamato a stabilire se ai fini della stipula di un contratto di servizio per attivare la gestione di una farmacia comunale, in conseguenza del rifiuto della parte privata, la P.A. possa chiedere ed ottenere una decisione giudiziale ex art. 2932 c.c.. Trattasi del rimedio civilistico previsto al fine di ottenere l’esecuzione specifica dell’obbligo di concludere un contratto, che è applicabile non solo nelle ipotesi di contratto preliminare non seguito da quello definitivo, ma anche in qualsiasi altra ipotesi dalla quale sorga l’obbligazione di prestare il consenso per il trasferimento o la costituzione di un diritto, sia in relazione ad un negozio unilaterale, sia in relazione ad un atto o fatto dai quali detto obbligo possa sorgere ex lege. Avendo la sentenza ex art. 2932 c.c. natura costitutiva e, in quanto tale, producendo essenzialmente gli effetti finali corrispondenti al programma negoziale definito dalle previsioni delle parti raccolte nel contratto preliminare, non può essere pronunciata se tali effetti non siano sufficientemente delineati già dalle parti. Orbene avuto riguardo a detto contratto di servizio per la gestione della farmacia comunale si è ritenuto che la cornice generale dello stesso fosse compiutamente determinata oltre che pacificamente nota ai soggetti che avevano preso alla procedura di evidenza pubblica per la scelta del socio privato di maggioranza per la composizione della società mista pubblico-privata di gestione della medesima farmacia. Di fronte alla indisponibilità alla sottoscrizione di un qualunque tipo di contratto di servizio, il Comune è dovuto ricorrere all’unico rimedio giuridico che l’ordinamento gli offre in un simile caso e cioè la declaratoria dell’esistenza di un obbligo a contrarre (non essendovi stata, nella specie, una dichiarazione di decadenza). Ben può dunque utilizzarsi l’istituto di cui all’art. 2932 c.c. in quanto, in una procedura prevista dal diritto pubblico, è sufficiente accertare che vi era un obbligo della parte di sottoscrivere un contratto di diritto pubblico, senza che questo comporti la verifica della sussistenza di tutti i presupposti che la giurisprudenza civile ha individuato, per poter fare uso dell’istituto.
Consiglio di Stato, sezione III, 20 maggio 2022 n. 3987

RESPONSABILITÀ E RISARCIMENTO

Responsabilità civile della Pa - Conclusione del procedimento - Ritardo inerzia della Pa (Cc, articoli 1227 e 2043; legge 7 agosto 1990 n. 241, articolo 2-bis)
Osserva in sentenza il G.A. di Roma come l’inosservanza del termine per la conclusione di una procedura concorsuale costituisca condizione necessaria, ma non sufficiente, a fondare un obbligo risarcitorio della P.A ex art. 2 bis, I, L. n. 241/1990. Tale disposizione prevede, invero, la possibilità di risarcimento del danno da ritardo/inerzia dell'amministrazione nella conclusione del procedimento amministrativo non già come effetto del ritardo in sé e per sé, bensì per il fatto che la condotta (dolosa o colposa) inerte (o tardiva) dell'amministrazione sia stata causa di un danno prodottosi nella sfera giuridica del privato. Tale danno, del quale l’interessato deve fornire la prova sia sull'an che sul quantum, deve essere riconducibile, secondo la verifica del nesso di causalità, al comportamento inerte ovvero all'adozione tardiva del provvedimento conclusivo del procedimento, da parte dell'amministrazione. La fattispecie di responsabilità per inosservanza dolosa o colposa del termine fissato per la conclusione del procedimento, in particolare, è inquadrabile nel modello aquiliano ex art. 2043 c.c. Incombe, quindi, sul ricorrente l'onere di dimostrare la sussistenza di tutti gli elementi tipici della fattispecie sussumibile sotto la disciplina dell’art. 2043 c.c., tra cui il nesso di causalità tra illegittimità della condotta e danno, l'elemento soggettivo, nel senso che l'attività illegittima deve essere imputabile alla P.A a titolo di dolo o colpa, previa verifica dell’effettiva spettanza del bene della vita che il privato intende acquisire alla propria sfera giuridica attraverso l'esercizio del potere e l'emanazione del provvedimento amministrativo richiesto. In applicazione di tali coordinate ermeneutiche la valutazione del dolo o colpa della P.A. non può essere fondata soltanto sul dato oggettivo del superamento del termine di conclusione del procedimento amministrativo, essendo necessario verificare se il comportamento della P.A abbia travalicato i canoni della correttezza e della buona amministrazione, ovvero se sia stato caratterizzato da negligenza, omissioni o errori interpretativi di norme, ritenuti non scusabili.
Tar Lazio, Roma, sezione V, 17 maggio 2022 n. 6199

APPALTI

Offerta anomala - Discrezionalità della Pa - Tutela giurisdizionale.   (Dlgs 12 aprile 2016 n. 50, articolo 97)
In punto di diritto afferma il Tar Bari, adito in materia di gare pubbliche, che, in via generale, le valutazioni in ordine alla congruità delle offerte sospette di anomalia sono espressione di discrezionalità tecnica, sindacabile in sede giurisdizionale solo in caso di macroscopica illogicità o di erroneità fattuale tali da rendere palese in modo evidente l’inattendibilità complessiva dell’offerta. La verifica di non anomalia ha natura globale e sintetica e non può avvenire, per poste distinte, ovvero in modo atomistico e analitico, al fine di rintracciare isolate incongruenze o instillare dubbi comunque opinabili. Vuol dirsi cioè che, se anche singole voci di prezzo o, per meglio dire, singoli costi, non abbiano trovato immediata e diretta giustificazione, non per questo l'offerta deve essere ritenuta inattendibile, dovendosi, invece, tener conto della loro incidenza sul costo complessivo del servizio per poter arrivare ad affermare che tali carenze siano in grado di rendere dubbia la corrispettività proposta dall'offerente e validata dalla stazione appaltante. Al tempo stesso la determinazione della soglia di anomalia, costituendo (al ricorrere delle condizioni all'uopo previste dal Legislatore) il presupposto per l'esercizio del potere escludente della stazione appaltante nei confronti delle offerte che presentano ex art. 97, VIII, D.Lgs. n. 50/2016 «una percentuale di ribasso pari o superiore alla soglia di anomalia individuata ai sensi del comma 2 e dei commi 2-bis e 2-ter», non può non essere informata a criteri di rigorosa osservanza del dettato normativo, senza che, in sede applicativa (ed in primo luogo ai fini della individuazione delle offerte che si collochino in corrispondenza o al di sotto della soglia medesima), residuino spazi per valutazioni di carattere discrezionale della Pa, se non, eventualmente, in punto di troncamento-arrotondamento delle relative cifre decimali
Tar Puglia, Bari, sezione II, 18 maggio 2022 n. 717

TRASPARENZA AMMINISTRATIVA

Accesso civico generalizzato - Operatività - Limiti. (Dlgs 25 maggio 2016 n. 97; Dlgs 14 marzo 2013 n. 33, articolo 5-bis, 12; legge 7 agosto 1990 n. 241, articolo 22)
Osserva il Tar Sardegna come l’istituto dell’accesso civico generalizzato (ex D.Lgs. n. 97/2016) rafforza la tutela della trasparenza dell’azione amministrativa mediante una disciplina che si aggiunge a quella che prevede gli obblighi di pubblicazione (artt. 12 ss. D.Lgs. n. 33/2013) e alla più risalente disciplina di cui agli artt. 22 ss. L. n. 241/1990, in tema di accesso ai documenti; esso ha lo scopo precipuo di favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche e di promuovere la partecipazione al dibattito pubblico. La valorizzazione, con l’introduzione di tale istituto, del principio della massima ostensione nell’ambito di un nuovo modo di concepire il rapporto tra cittadini e potere pubblico, improntato a trasparenza e accessibilità dei dati e delle informazioni, non comporta tuttavia che esso possa estendersi fino al punto da legittimare un controllo generalizzato, generico e indistinto del singolo sull’operato della P.A.. Invero, il Legislatore, pur avendo introdotto nel 2016 il nuovo istituto dell’accesso civico generalizzato, espressamente volto a consentire l’accesso di chiunque a documenti e dati detenuti dai soggetti indicati, permettendo quindi per la prima volta l’accesso (ai fini di un controllo) diffuso alla documentazione in possesso delle Amministrazioni (e degli altri soggetti indicati nella norma) e privo di un manifesto interesse da parte dell’accedente, ha voluto comunque tutelare interessi pubblici e privati che potessero essere messi in pericolo dall’accesso indiscriminato. A tal fine il Legislatore ha operato, per un verso, mitigando la possibilità di conoscenza integrale e indistinta dei documenti detenuti dall’ente introducendo dei limiti all’ampio accesso (art. 5-bis, commi 1 e 2, del d.lgs. n. 33/2013) e, per altro verso, mantenendo in vita l’istituto dell’accesso ai documenti amministrativi e la relativa disciplina speciale dettata dalla L. n. 241/1990 (evitando di novellare la benché minima previsione contenuta nelle disposizioni da essa recate), anche con riferimento ai rigorosi presupposti dell’ostensione, sia sotto il versante della dimostrazione della legittimazione e dell’interesse in capo al richiedente, sia sotto il versante dell’inammissibilità delle richieste volte ad ottenere un accesso diffuso.
• Tar Sardegna, Cagliari, 18 maggio 2022, n. 319

INTERNET E TELECOMUNICAZIONI

Telefonia mobile - Impianti - Allocazione sul territorio. (Dlgs 1° agosto 2003 n. 259, articoli 86, 90; legge 22 febbraio 2001 n. 36)
Il Tar Milano, intervenuto in merito ad una vicenda nella quale un comune aveva individuato un’unica ristrettissima area del suo territorio per la localizzazione degli impianti di telefonia mobile, sottolinea come alle regioni e ai comuni sia consentito individuare criteri localizzativi di tali impianti (anche espressi sotto forma di divieto) quali ad esempio il divieto di collocare antenne su specifici edifici (ospedali, case di cura ecc.) mentre non è loro consentito introdurre limitazioni alla localizzazione, consistenti in criteri distanziali generici ed eterogenei. Non è quindi possibile, per tali enti, dettare prescrizioni di distanze minime da rispettare nell'installazione degli impianti dal perimetro esterno di edifici destinati ad abitazioni, a luoghi di lavoro o ad attività diverse da quelle specificamente connesse all'esercizio degli impianti stessi, come anche dal perimetro di ospedali, case di cura e di riposo, edifici adibiti al culto, scuole ed asili nido nonché di immobili vincolati, di parchi pubblici, parchi gioco, aree verdi attrezzate ed impianti sportivi (art. 8 L. n. 36/2001). E così la scelta di individuare un'area ove collocare gli impianti in base al criterio della massima distanza possibile dal centro abitato non può ritenersi legittima, costituendo un limite alla localizzazione (non consentito) e non un criterio di localizzazione (consentito). La potestà attribuita all'amministrazione comunale di individuare aree dove collocare gli impianti è condizionata peraltro dal fatto che l'esercizio di tale facoltà deve essere rivolto alla realizzazione di una rete completa di infrastrutture di telecomunicazioni, tale da non pregiudicare l'interesse nazionale alla copertura del territorio e all'efficiente distribuzione del servizio. D'altronde, la normativa vigente attribuisce carattere prioritario all'esigenza di assicurare la realizzazione di infrastrutture di telefonia mobile, tanto che, ai sensi del D.Lgs. n. 259/2003, le stesse sono considerate opere di "pubblica utilità" e "sono assimilate ad ogni effetto alle opere di urbanizzazione primaria" (artt. 86, III, e 90, I), potendo essere collocate in qualsivoglia zona del territorio comunale, e a prescindere dalla sua destinazione funzionale, in modo che sia realizzato un servizio capillare.
• Tar Lombardia, Milano, sezione II, 19 maggio 2022, n. 1153

SANITA’ E BIOETICA

Accreditamento sanitario - Tetti di spesa - Rideterminazione.
Il Tar Salerno tratta il tema della spesa sanitaria nel regime dell’accreditamento avuto riguardo ad una vicenda nella quale  non era in discussione l’aspetto quantitativo dei tetti di spesa, bensì l’aspetto qualitativo dei medesimi, vale a dire la ripartizione delle risorse disponibili, in modo da renderla il più possibile aderente alle esigenze dell’utenza, contestualmente soddisfacendo l’interesse delle strutture private accreditate a vedere massimizzati i propri ricavi. Si pone, in altre parole, il problema di valutare la rilevanza della tutela dell’affidamento del singolo operatore del settore sanitario in situazioni di ripartizione della spesa. Sul punto è principio consolidato quello secondo cui la fissazione, in corso d'anno, di tetti di spesa che dispiegano i propri effetti anche sulle prestazioni già erogate non può considerarsi, in quanto tale, illegittima: da un lato, è fisiologico che la definizione dei budget intervenga nel corso dell'anno, dopo l'acquisizione dei dati finanziari di riferimento; dall'altro, la riduzione dei tetti di spesa nel tempo costituisce un’eventualità tutt'altro che remota e imprevedibile, che impone agli operatori di improntare alla dovuta cautela il proprio comportamento fino alla fissazione definitiva dei tetti.  Ciò vale, a ben vedere, solo con riferimento ad una riduzione postuma dei limiti quantitativi del budget, non invece per le modifiche qualitative - come quelle relative alla determinazione delle categorie di prestazioni remunerabili e al regime della loro remunerazione - che sono al di fuori delle possibilità di previsione, ed impattano, pertanto, sull'affidamento delle strutture. La Asl è dunque vincolata dalle disposizioni di programmazione regionale ed anche nei suoi confronti si impone la tutela dell'affidamento dell'operatore, il quale deve poter orientare le proprie scelte imprenditoriali sulla base di un dato certo e tendenzialmente stabile riguardo al volume delle prestazioni erogabili in regime di accreditamento e delle remunerazioni ottenibili con risorse pubbliche. Ed allora, in tema di fissazione dei tetti di spesa sanitaria pubblica, l'atto programmatorio regionale, nell'imporre restrizioni con valenza di fatto retroattiva, non può non effettuare un attento bilanciamento degli interessi contrapposti tra i quali campeggiano in primo piano, da un lato, il diritto degli assistiti ad una fruizione di prestazioni sanitarie adeguate alle necessità terapeutiche nonché, dall'altro, l'affidamento e la tutela delle legittime aspettative degli operatori delle strutture private accreditate che, per realizzare una gestione improntata alle regole di mercato, ispirano la loro condotta ad una logica imprenditoriale, che consenta un margine di lucro indispensabile per la stessa sopravvivenza dell'impresa.
Tar Campania, Salerno, sezione III, 19 maggio 2022 n. 1215

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