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Contratti di durata e abuso del diritto, tra recesso e tutela dell'affidamento dell'imprenditore nell'affitto d'azienda

In materia di affitto d'azienda, la valutazione sulla correttezza o l'abusività delle modalità di esercizio del diritto di recesso da parte del concedente è ulteriormente influenzata dalla funzione economica e sociale del contratto stesso, consistente nel trasferimento della piena disponibilità di un complesso produttivo

di Luca D'Addesio*

L'esercizio del diritto di recesso nell'ambito dei contratti di durata costituisce fonte di notevoli problematiche applicative e interpretative.

Sono molteplici i casi pratici nei quali lo scioglimento unilaterale del vincolo contrattuale oscilla tra esercizio lecito di una facoltà prevista dalla legge o dall'accordo dei contraenti e abuso del diritto, atto a cagionare uno sproporzionato sacrificio degli interessi della controparte nonché una effettiva lesione dell'affidamento dell'altro contraente nella prosecuzione del rapporto.

Il contraente che intende sciogliersi dal vincolo negoziale è infatti tenuto al rispetto di quei canoni di correttezza e buona fede di cui agli artt. 1175 e 1375 cod. civ., che operano non solo sul piano della formazione ed esecuzione del vincolo negoziale, quanto anche sul complessivo asseto di interessi convenuto dalle parti stesse.

In materia di affitto d'azienda, la valutazione sulla correttezza o l'abusività delle modalità di esercizio del diritto di recesso da parte del concedente è ulteriormente influenzata dalla funzione economica e sociale del contratto stesso, consistente nel trasferimento della piena disponibilità di un complesso produttivo.

Lo scioglimento unilaterale del contratto non può infatti considerarsi conforme a un criterio di correttezza e buona fede ove le concrete modalità di esercizio mettano a repentaglio l'attività svolta dell'imprenditore/affittuario per l'esercizio dell'impresa nonché gli investimenti effettuati per la conservazione del complesso produttivo.

Sul tema peculiare delle conseguenze di un recesso abusivo nell'affitto d'azienda non si riscontrano particolari pronunce della giurisprudenza di legittimità e di merito. Per avere un quadro organico sulla questione è quindi necessario analizzare i principi elaborati per altri tipi contrattuali di durata, quali la concessione di vendita e l'appalto.

Esemplare, al riguardo, è la sentenza Cass. Civ., Sez. III, n. 20106 del 18.9.2009 (cosiddetto caso Renault), che si pone quale leading case in materia di rapporti tra esercizio del recesso e abuso del diritto.

La Renault nell'ambito della riorganizzazione della propria rete vendita in Italia, tra il 1992 ed il 1996 comunicava il proprio recesso dai contratti di concessione di vendita (di durata media di circa dieci anni) a quasi 200 dealer italiani.

Il recesso veniva esercitato in conformità con il termine di preavviso di un anno previsto dai contratti di concessione di vendita, tuttavia senza alcuna motivazione a suo supporto (c.d. recesso ad nutum).

I concessionari revocati lamentavano la contrarietà a buona fede dell'esercizio del recesso, che avrebbe frustrato il loro legittimo affidamento nella prosecuzione del rapporto, ingenerato dal fatto che Renault aveva loro imposto minimi di vendita e nuovi investimenti, e sostenevano, d'altro canto, che lo scopo dello scioglimento del vincolo non fosse la riorganizzazione della rete vendita, bensì quello di sostituire i concessionari esistenti con alcuni ex dirigenti Renault.

La Cassazione accoglieva la tesi difensiva dei Concessionari revocati, sancendo la facoltà del giudice del merito di intervenire in senso modificativo e integrativo, in forza della clausola generale di buona fede, sul contenuto dell'accordo negoziale, qualora fosse necessario al fine di garantire l'equo contemperamento degli interessi delle parti.

In buona sostanza, la Cassazione ha affermato che il riconoscimento al contraente del potere di recedere non è condizione sufficiente per ritenere l'esercizio di tale potere legittimo, poiché i canoni generali di correttezza e buona fede presidiano non solo la formazione del vincolo contrattuale, bensì anche la sua interpretazione ed esecuzione.

Il principio di diritto enunciato ha poi trovato conferma in pronunce successive, che hanno recepito la linea interpretativa elaborata dalla Cassazione per il caso Renault.

Da ultimo, si segnala la sentenza della Corte d'Appello di Milano Sezione 4 Civile Sentenza 17 novembre 2020 n. 2957, in materia di appalto, che ha statuito che nell'ipotesi in cui il contratto preveda il diritto di recesso ad nutum in favore di una delle parti, il giudice del merito non può esimersi dal valutare se l'esercizio di tale facoltà sia stato effettuato nel rispetto delle regole di correttezza e di buona fede cui deve improntarsi il comportamento dei contraenti, atteso che la mancanza di buona fede nell'esecuzione del contratto può rivelare un vero e proprio abuso del diritto, con cui il contraente persegue scopi diversi e ulteriori rispetto a quelli originari predeterminati dal legislatore o dall'accordo negoziale.

In definitiva, aderendo ai principi di diritto elaborati dalla giurisprudenza nell'ambito dei rapporti di durata – applicabili, lato sensu, anche al tipo negoziale dell'affitto d'azienda – l'affittuario, il cui legittimo affidamento nella prosecuzione del contratto sia stato frustrato dal recesso ad nutum azionato dal concedente, potrà sempre richiedere al giudice un vaglio sulla correttezza dell'esercizio di tale facoltà, al fine di valutare se il contegno tenuto dal concedente nasconda una condotta abusiva, le cui conseguenze dannose, ove provate ed accertate, dovranno essere integralmente risarcite nel loro ammontare, comprensivo della perdita subita e del mancato guadagno, commisurato al fatturato che l'affittuario avrebbe realizzato, a fronte degli investimenti operati, nell'ipotesi in cui l'affitto fosse proseguito sino alla scadenza pattuita nel contratto.

* di Luca D'Addesio, Associate di B&C Legal

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