Famiglia

Accordi prematrimoniali non sempre colpiti da nullità

I giudici devono esaminarli per verificare se coinvolgono diritti indisponibili o no

di Giorgio Vaccaro

I patti prematrimoniali, raggiunti tra marito e moglie per regolare gli aspetti economici legati (soprattutto) alla fine del matrimonio, non sono validi. Questo perché hanno causa illecita, dato che i diritti e i doveri che nascono dal matrimonio non sono disponibili (articolo 160 del Codice civile). Ma i giudici, a cui si rivolgono i coniuge in lite, anziché ignorare del tutto questi accordi, devono esaminarli per valutare se coinvolgono effettivamente diritti indisponibili oppure no.

L’accordo

È l’orientamento che emerge dalle più recenti pronunce della Cassazione in tema di patti prematrimoniali. Da ultimo, con l’ordinanza 11012 del 26 aprile 2021, la Suprema corte ha affermato che «in tema di soluzione della crisi coniugale, ove in sede di separazione i coniugi, nel definire i rapporti patrimoniali già tra loro pendenti e le conseguenti eventuali ragioni di debito - credito portate da ciascuno, abbiano pattuito anche la corresponsione di un assegno dell’uno a favore dell’altro, da versarsi vita natural durante, il giudice del divorzio, chiamato a decidere sull’an dell’assegno divorzile, dovrà preliminarmente provvedere alla qualificazione della natura dell’accordo inter partes, precisando se la rendita costituita (e la sua causa aleatoria sottostante) “in occasione” della crisi familiare sia estranea alla disciplina inderogabile dei rapporti tra coniugi in materia familiare, perché giustificata per altra causa, e se abbia fondamento il diritto all’assegno divorzile (che comporta necessariamente una relativa certezza causale soltanto in ragione della crisi familiare)».

La Cassazione esprime quindi la specifica indicazione di “salvare” i patti di natura economica che regolano i rapporti di dare-avere tra i coniugi quando derivano da un rapporto che è estraneo al divieto di legge.

Così, ad esempio, già con la sentenza 8109 del 2000 la Cassazione ha affermato che non è nullo l’accordo transattivo, anche se parzialmente trasfuso nella separazione consensuale, già raggiunto tra marito e moglie al solo scopo di porre fine a una controversia di natura patrimoniale, tra gli stessi insorta, senza alcun riferimento, esplicito o implicito, al futuro assetto dei rapporti economici conseguenti alla eventuale pronuncia di divorzio.

L’impatto sull’assegno

La Cassazione, nell’ordinanza 11012/2021, respinge le conclusioni della Corte d’appello, che ha confermato l’assegno divorzile alla moglie senza tenere separato, né precisare, «il profilo della definizione dei rapporti patrimoniali già pendenti fra le parti e della eventuale conseguente regolamentazione delle ragioni di debito-credito (comprendenti la cessione di azienda - o di una quota di essa - e il patto di non concorrenza), rispetto a quello relativo alla spettanza dell’assegno di divorzio» secondo i criteri elaborati dalla Suprema corte in tema.

In buona sostanza, dunque, occorre esaminare la natura degli accordi tra i coniugi, salvaguardando quelli che hanno causa e origine in pattuizioni non limitative del principio dell’indisponibilità dei diritti connessi alla crisi del matrimonio. Il riconoscimento, o meno, di un eventuale assegno divorzile deve essere rimesso a uno specifico, prudente, apprezzamento del giudice, con un’analisi che deve tenere conto dei principi espressi dalla sentenza 18287/2018 delle Sezioni Unite; una valutazione, riservata al Tribunale, che deve valorizzare il concetto di diritti indisponibili alle parti.

In una crisi matrimoniale, infatti, troppe sono le criticità e le pressioni che una parte può subire per poter essere in grado di tutelare autonomamente il suo futuro destino economico. Per questo l’indisponibilità prevista dalla legge appare una tutela ancora attuale, anche alla luce della funzione assistenziale e in pari misura compensativa e perequativa riconosciuta all’assegno divorzile dalle Sezione Unite. Principio di diritto che, in modo speculare, trova la sua applicazione nel divieto dei patti prematrimoniali, posto per evitare ogni pregiudiziale rinuncia o accordo che possa poi non essere attuale al momento della crisi, con conseguenze drammatiche per la parte debole del rapporto.

I PRECEDENTI

1) Separazione

No al patto per il divorzio
Gli accordi con i quali i coniugi, in sede di separazione, stabiliscano pattuizioni di contenuto patrimoniale, in vista di un futuro ed eventuale divorzio, sono invalidi per illiceità della causa perché stipulati in violazione del principio fondamentale, espresso dall’articolo 160 del Codice civile, che sancisce la radicale indisponibilità dei diritti in materia matrimoniale.
Cassazione, sentenza 2224 del 30 gennaio 2017


2) Divorzio futuro

Nulla la rinuncia alle somme
Non sono validi gli accordi tra coniugi che escludono per il futuro di poter chiedere emolumenti in sede di divorzio: questi sono nulli per illiceità della causa; la corresponsione di una “una tantum” può avvenire soltanto in sede di divorzio.
Cassazione, ordinanza 22401 del 6 settembre 2019


3) Le modalità

Sì all’assegno al figlio
In tema di accordi stipulati in vista del divorzio è valido quello stipulato tra i coniugi per la disciplina della modalità di corresponsione dell’assegno di mantenimento (da versare direttamente al figlio) purché si pervenga a un miglioramento degli assetti concordati davanti al giudice.
Cassazione, ordinanza 5065 del 24 febbraio 2021

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