Penale

Ai fini del reato di maltrattamento degli animali vale anche l'incuria

immagine non disponibile

di Pietro Alessio Palumbo

Ai fini della condanna per maltrattamento degli animali assumono rilievo non soltanto quei comportamenti che offendono il comune sentimento di pietà verso gli animali, ma anche quelle condotte che incidono sulla sensibilità psico-fisica dello animale stesso, procurandogli dolore e afflizione. Con la recente sentenza n°14734/2019, la Corte di Cassazione affronta una vicenda che riguardando asini da soma sembra d'altri tempi, coniugando tuttavia una prospettiva novella: una spinta di diritto vivente verso una nuova visione della posizione giuridica soggettiva dell'animale.

Le circostanze censurate - Il Tribunale di prime cure aveva affermato la responsabilità penale dell'imputato poiché nella sua qualità di titolare di una azienda agricola deteneva alcuni asini in condizioni incompatibili con la loro natura, producendo ad essi gravi sofferenze. Gli asini presentavano evidenti difficoltà deambulatorie. Un asinello neppure era più in grado di reggersi sulle zampe.

Le coordinate valutative - A giudizio della Corte, configurano reato di maltrattamento di animali non soltanto quei comportamenti che offendono il comune sentimento di compassione verso gli animali destando ripugnanza per la loro aperta crudeltà, ma anche quelle condotte che incidono sui sensi dell'animale, producendogli dolore. Non solo le sevizie, le torture o le crudeltà caratterizzate da dolo quindi, ma anche incuria che reca danno agli animali quali esseri senzienti capaci di percepire gli stimoli del male (parimenti alle attenzioni amorevoli). La configurabilità dell'ipotesi di animali in condizioni incompatibili con la loro natura non può quindi prescindere dall'elemento della sofferenza che deve risultare da un'adeguata prova. Se fosse sanzionabile la semplice detenzione degli animali in condizioni contrastanti con la di essi natura, di per sé sola e dunque in assenza di concreta sofferenza, qualsivoglia detenzione a prescindere dal luogo, dalle modalità, dalla durata e dagli scopi della stessa, si porrebbe per ciò stesso in contrasto col precetto penale, dal momento che si tradurrebbe in una privazione della libertà dell'animale e quindi contrasterebbe con la natura dell'animale stesso, impulsivamente orientato a vivere in libertà dall'uomo.
Per altro verso, l'elemento della incompatibilità naturalistica della detenzione conferisce al reato la necessaria determinatezza, così ottemperando al principio di legalità. In altre parole il requisito della sofferenza fisica o psichica, esprime con chiarezza la scelta di considerare gli animali come esseri viventi suscettibili di tutela diretta e non mediata sol perché oggetto del sentimento di pietà nutrito dagli esseri umani verso di loro. In questa ottica il concetto di inutile sofferenza non risponde a una visione antropocentrica della sofferenza animale (la pietà), ma a un'esigenza di determinatezza della fattispecie altrimenti esposta alle sensibilità soggettive dei consociati e dello stesso giudice. Nel caso di specie, si pone in evidenza come agli animali, era impedita o, comunque, resa particolarmente difficoltosa la deambulazione, tanto che uno di essi non riusciva neppure più ad alzarsi dal carro utilizzato per trasportare gli animali al lavoro, esponendoli tutti a grossi rischi durante l'alpeggio, dovendosi muovere su un terreno non piano. La detenzione in tali condizioni, per la Corte deve ritenersi certamente inconciliabile con la natura degli animali e foriera di sofferenze inaccettabili.
A ben guardare la condotta crudele consiste non solo nel cagionare all'animale sofferenze senza alcuna necessità, ma anche nel sottoporre lo stesso ad una condizione di vita che, non risultando necessaria alle esigenze della custodia e dell'allevamento, gli cagioni martirio. Di talché, come nel caso di specie, anche la detenzione di un animale in condizioni tali da costringerlo a una postura innaturale, tale da impedire o rendere assai difficile la deambulazione o il mantenimento di una posizione eretta, integra reato di maltrattamento degli animali. Ciò perché la crudeltà, concettualmente presuppone l'assenza di un giustificato motivo del soggetto agente: la disumanità è di per sé caratterizzata dall'assenza di una causa proporzionata o dalla spinta di un motivo intollerabile.
Rientrano nella fattispecie le condotte che si rivelino crudeli in quanto espressione di significativa insensibilità umana. Comportamento questo che non necessariamente richiede il preciso scopo di infierire apertamente sull'animale. Devesi aggiungere che determinare sofferenza non comporta necessariamente che si cagioni una lesione all'integrità fisica dell'animale, potendo la sofferenza consistere in meri patimenti interiori dello stesso. Infine la Corte stigmatizza la forza dell'arresto ermeneutico con il rigetto della richiesta, avanzata dal difensore dell'imputato, di esclusione della punibilità per supposta particolare tenuità dei fatti.

Corte di Cassazione – Sezione III – Sentenza 4 aprile 2019 n. 14734

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©