Aliquota Iva al 22 per cento solo per l’acqua minerale
Le cessioni di acqua non minerale scontano l’aliquota agevolata Iva del 10% e non, invece, quella ordinaria del 22%.A confermare questo principio è la Ctr Emilia Romagna con la sentenza 1545/2019 che ha confermato la pronuncia di primo grado di annullamento dell’avviso di accertamento impugnato. La delicatezza della questione, su cui è stata anche promossa più d’una interrogazione parlamentare (inter alia C 4-13248, C 5-12454) merita alcune notazioni.
Va premesso che le acque in commercio si distinguono, per origini e caratteristiche, in acque minerali, di sorgente e destinate al consumo umano. In passato, le cessioni di tali tipologie di acqua erano assoggettate all’aliquota agevolata del 10% in quanto ritenute tutte collocabili nell’ambito di applicazione del n. 81, tabella A, parte III, allegata al Dpr 633/72. Poi, con il decreto legge 261/90 le cessioni di acqua minerale vennero espunte e assoggettate al regime ordinario che comportò una differente aliquota Iva in funzione del tipo di acqua ceduto (22% per le acque minerali e 10% in tutti gli altri casi).
In questo contesto, l’agenzia delle Entrate aveva ritenuto di poter estendere in via interpretativa l’aliquota ordinaria alle cessioni di acqua non minerale, limitando l’aliquota agevolata al solo servizio di erogazione di acqua effettuato dai soggetti gestori della rete idrica pubblica (risoluzione 11/14) sulla base della considerazione per cui la disciplina amministrativa del mercato delle acque minerali e sorgive (Dlgs 176/11) avrebbe equiparato in termini economici le diverse tipologie di acqua in commercio, privando di ragionevolezza l’esistente differenziazione del trattamento Iva e giustificando l’agevolazione per il solo servizio pubblico.
Sulla base di tali presupposti l’agenzia delle Entrate aveva fondato l’avviso di accertamento oggetto del contenzioso incardinato dalla società dinnanzi ai giudici tributari emiliani.
La società ricorrente aveva eccepito la contrarietà dell’interpretazione del Fisco sia alla normativa Ue sia a quella nazionale, non solo sostenendo l’infondatezza e irrilevanza del giudizio di equiparabilità economica svolto dalle Entrate, ma evidenziando che proprio la normativa amministrativa invece aveva mantenuto la distinzione tra le varie tipologie d’acqua, confermandone la persistente importanza, e che, quindi, anche da un punto di vista Iva tale distinzione doveva essere mantenuta.
Il collegio emiliano, nel solco della giurisprudenza di primo grado formatasi a partire dalla sentenza della Ctp Bologna 1232/2016, ha sconfessato l’interpretazione dell’Agenzia, spiegando che doveva essere rigettata proprio perché contraria al dettato normativo dal momento che «il Dpr 633/72 nella tabella A parte terza, beni e servizi soggetti all’aliquota del 10% al n. 81 prevede «acqua, acqua minerali» e non fa distinzione fra acqua potabile normale, acqua di sorgente e/o acque minerali, il Dl 261/90 articolo 5, comma3, e il Dlgs 176/11 hanno assoggettato ad aliquota normale unicamente le cessioni di acque minerali, e/o di sorgente, nel caso di specie la cessione risulta essere di acqua potabile normale».
Sotto altro profilo, tale pronuncia conferisce maggiore fondatezza ad eventuali richieste di rimborso dell’Iva pagata dai contribuenti in ossequio alla “erronea” interpretazione del fisco. A tal fine, sarà utile valutarne l’opportunità avendo riguardo alla posizione complessiva del contribuente.
A titolo esemplificativo, andrà valutato se il termine entro cui esercitare il diritto di rimborso sia spirato nonché se, sulla scorta dell’insegnamento della Corte di giustizia ( 454/98 del 19 settembre 2000) fatto proprio dalla giurisprudenza di legittimità domestica (Cassazione 4020/2012), sia stato rispettato il principio di neutralità dell’imposta e se l’Iva chiesta a rimborso non sia stata oggetto di detrazione da parte del committente.