Penale

All’Aise l’attività d’informazione verso l’estero

di Alberto Cisterna

La legge 43/2015 ha riscritto in parti importanti l'impianto processuale del decreto legge antiterrorismo. È bene chiarire che la correzione di alcune disposizioni era ineludibile e ha tenuto conto delle indicazioni emerse durante le audizioni. Mentre l'inserimento di altre norme, più o meno circoscritte alle sole indagini antiterrorismo, potrebbe avere ricadute più rilevanti.
L'asse dell'intervento messo in campo dal Parlamento (in realtà dalla sola Camera dei deputati in ossequio alla struttura sostanzialmente monocamerale delle leggi di conversione) si è concentrato su una sorta di nuovo statuto della prova informatica e telematica. È, infatti, il settore delle comunicazioni quello in cui le addizioni parlamentari appaiono di maggiore ampiezza e, inevitabilmente, affiorano tendenze ipogarantiste che erano già emerse nel testo coniato dal Governo.

Le garanzie funzionali e di tutela del personale e delle strutture dei servizi di informazione - La novità che sorprende si annida praticamente in un anfratto della legge di conversione, laddove l'articolo 8 è stato interpolato con l'aggiunta di un comma 2- bis per effetto del quale è affidato all'Aise (il servizio segreto per la sicurezza all'estero) «il compito di svolgere attività di informazione, anche mediante assetti di ricerca elettronica, esclusivamente verso l'estero, a protezione degli interessi politici, militari, economici, scientifici e industriali della Repubblica italiana».

Echelon made in Italy - La locuzione «assetti di ricerca elettronica» ha un'evidente coefficiente di indeterminatezza, ma par chiaro che il comparto “estero” dei servizi di informazione potrà dotarsi di apparecchiature e svolgere attività che siano indirizzate ad acquisire dati, conversazioni, comunicazioni che si svolgano fuori dal territorio nazionale. Per farlo è da immaginare occorrerà una complessa struttura tecnica che consenta la penetrazione dei sistemi informativi allocati in altri paesi.

La norma, probabilmente, punta ad allineare l'attività degli apparati nazionali a quella di altre strutture di intelligence che vengono impiegate «a protezione degli interessi politici, militari, economici, scientifici e industriali» dei rispettivi Paesi.

Il dato di novità, e per alcuni versi sorprendente, è che questa attività di penetrazione informativa sarà svolta a partire dall'Italia «verso l'estero» e con il solo obbligo per il presidente del Consiglio dei ministri di informare «il Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica con cadenza mensile circa le attività di ricerca elettronica».
Naturalmente il riferimento alla protezione degli interessi economici, scientifici e industriali lascia presagire il rafforzamento di interlocuzioni con le aziende e i centri di ricerca nazionali onde offrire loro un contributo di informazioni circa le iniziative di governi o competitor stranieri. Una forma di guerra elettronica a bassa intensità dagli esiti, francamente, imprevedibili in un paese come l'Italia.

Integrazione della disciplina dei reati concernenti l'uso e la custodia di sostanze esplodenti - Accanto a questo ci colloca il disposto del nuovo articolo 234-bis del Cpp per effetto del quale «È sempre consentita l'acquisizione di documenti e dati informatici conservati all'estero, anche diversi da quelli disponibili al pubblico, previo consenso, in quest'ultimo caso, del legittimo titolare».

Le acquisizioni all'estero - Sul punto è bene ricordare l'orientamento espresso dalla Corte di cassazione secondo cui «non c'è dubbio che quando il documento rappresenti un atto descrittivo o narrativo, lo stesso può fungere da prova solo qualora la dichiarazione documentata abbia rilevanza innanzitutto essa stessa come fatto, e non quando abbia rilevanza esclusivamente come rappresentazione di un fatto, come dichiarazione, perché in questa ultima ipotesi, essa va acquisita e documentata nelle forme del processo; in altre parole, è inammissibile la prova quando con il documento si vuole accertare il fatto attestato nella dichiarazione, perché ciò può avvenire soltanto introducendola nel processo come testimonianza» (così in motivazione Cassazione sezione II, 4 ottobre 2007 n. 38871).
Questo per sgombrare il campo dalla possibilità di adoperare con efficacia di prova da imprecisate fonti estere documenti che in realtà contengano valutazioni, asserzioni, dichiarazioni che, nel processo penale, devono necessariamente soggiacere al vaglio del contraddittorio.

Il problema, comunque, si pone da qualche tempo per la fase delle indagini preliminari ove si assiste a una progressiva e inarrestabile cartolarizzazione delle fonti di prova trasformate sempre in più in consulenze tecniche del pubblico ministero, schede informative, elaborazioni di dati sottratte a qualsivoglia controllo prima del dibattimento.

Dal testo del nuovo articolo 34-bis del Cpp traspare la possibilità che questi documenti e dati informatici (vengono in mente, a prima lettura, i tabulati di traffico telefonico o telematico di gestori esteri ovvero visure societarie o estratti di conti correnti) possano essere adoperati «anche (se) diversi da quelli disponibili al pubblico».

Il che pone due questioni:
•la prima è che certo la norma non deroga al vigente sistema di cooperazione in ambito europeo e internazionale che già consente la rapida circolazione di prove documentali di questo genere;
•la seconda è che, fuori da quest'ambito di cooperazione rafforzata, è da ritenere si debba sempre ricorrere alla rogatoria verso l'estero per traslare nel fascicolo processuali i «documenti e dati informatici» di cui si discute.
Resta da considerare se le procedure di acquisizione di questo materiale debbano osservare gli standard che, nel nostro ordinamento, sono fissati dagli articoli 254-bis e 352, comma 1-bis, del Cpp per le acquisizioni «informatiche, telematiche e di telecomunicazione», tra le quali figurano la garanzie di conformità agli originali e quella di immodificabilità del dato.
Parimenti deve ritenersi che non potranno avere ingresso - in caso di documenti “riservati” - quegli atti che, sebbene provvisti del consenso all'utilizzo da parte del «legittimo titolare», siano comunque assimilabili quanto al loro contenuto ai documenti anonimi di cui all'articolo 240 del Cpp.
Insomma tutto ciò che proviene dall'intelligence e dalla cooperazione tra servizi di informazione non potrà certo transitare nel processo penale.

Intercettazioni e tabulati - Come si diceva la legge 43/2015 ha disegnato un nuovo statuto delle prove captative e di quelle documentali (i tabulati) che a esse si associano.
Innanzitutto il Parlamento ha, con coerenza, dilatato l'ambito delle intercettazioni preventive di cui all'articolo 226 delle disposizioni di attuazione del Cpp in direzione dei reati di terrorismo di cui all'articolo 51, comma 3-quater, del Cpp, consentendone - tuttavia - l'esecuzione da parte delle forze di polizia solo nel caso in cui si tratti di acquisire «notizie concernenti la prevenzione» dei reati di terrorismo «commessi mediante l'impiego di tecnologie informatiche o telematiche».
È impellente l'esigenza di contenere l'operatività delle microcellule eversive che si costituiscono e addestrano valendosi delle connessioni con siti internet fondamentalisti, ma non si intende perché non si possano autorizzare da parte del procuratore distrettuale delle semplici intercettazioni telefoniche per prevenire reati di terrorismo.
Il testo della disposizione, infatti, pare sul punto restrittivo almeno che non si voglia intendere che sia consentito eseguire captazioni telefoniche per impedire reati di terrorismo «commessi mediante l'impiego di tecnologie informatiche o telematiche». Un modo quanto meno bizzarro di regolare la questione.

Parimenti rilevante è l'inserzione, sempre nel corpo dell'articolo 226 delle disposizioni di attuazione del Cpp, di un comma 3-bis in virtù del quale «in deroga a quanto previsto dal comma 3, il procuratore può autorizzare, per un periodo non superiore a ventiquattro mesi, la conservazione dei dati acquisiti, anche relativi al traffico telematico, esclusi comunque i contenuti delle comunicazioni, quando gli stessi sono indispensabili per la prosecuzione dell'attività finalizzata alla prevenzione di delitti di cui al comma 1».
La norma generale, ossia il comma 3, prevede una serie di adempimenti dopo lo svolgimento delle attività preventive regolate dalla norma, tra i quali ha notevole importanza il fatto che «il procuratore, verificata la conformità delle attività compiute all'autorizzazione» che egli rilascia, «dispone l'immediata distruzione dei supporti e dei verbali» delle operazioni di intercettazione o di acquisizione dei dati di traffico.
Il nuovo comma deroga espressamente a questa regola di garanzia della privacy abilitando le forze di polizia, in assetto di prevenzione, a conservare i tabulati fino a 24 mesi dalla loro acquisizione.

Già la materia delle intercettazioni preventive si presta a gravi perplessità e non ha sempre avuto una gestione cristallina (attesa la mancanza di un controllo giurisdizionale in capo al gip), consentire ora la data retention per due anni dei dati di traffico telefonico e telematico appare solo un'inutile accumulazione di informazioni presso gli uffici di polizia.

Se, ai sensi dell'articolo 132 del codice privacy, i dati di traffico telefonico devono essere cancellati dopo due anni e quelli di traffico telematico dopo un anno (ma vedi oltre dopo la legge in esame), non si intende per quale ragione le forze di polizia - ove dopo la distruzione dei supporti necessitino nuovamente di quelle informazioni - non debbano reiterate la richiesta di acquisizione al procuratore distrettuale e debbano, invece, accedere a una propria banca dati in cui quelle informazioni sono custodite.

Con la particolarità che mentre i dati telematici a disposizione dell'autorità giudiziaria sono cancellati dopo un anno, quelli così custoditi restano a esclusiva disposizione delle forze di polizia per due anni e, per il divieto di cui al comma 5 dell'articolo 226 citato, «non possono essere utilizzati nel processo penale» o, meglio, non potrebbero a questo punto.
Visto che pare difficile ipotizzare che non si ceda, se necessario, alla tentazione di prelevare nei data base delle forze di polizia quel che il pubblico ministero non può più acquisire presso i gestori.

Conservazione dei dati di traffico telefonico e telematico - La modifica probabilmente più importante all'assetto delle acquisizioni di traffico telefonico e telematico è dato dal nuovo articolo 4-bis della legge 43/2015 che contiene le nuove «Disposizioni in materia di conservazione dei dati di traffico telefonico e telematico».
L'incipit della disposizione dovrebbe essere rassicurante, poiché afferma esplicitamente che questa deroga alle prescrizioni dell'articolo 132 del codice privacy è consentita «al fine di poter agevolare le indagini esclusivamente per i reati di cui agli articoli 51, comma 3-quater, e 407, comma 2, lettera a) c.p.p», (come dire quasi tutti i serious crimes previsti nel nostro ordinamento).
La circostanza che si parli di indagini non esclude, ovviamente, che queste acquisizioni possano confluire nella fase del giudizio, altrimenti si sarebbe costruito un ibrido, a metà strada tra le attività preventive e quelle propriamente giudiziarie, di difficile comprensione e di ancor più complessa collocazione sistematica.

Secondo questo nuovo statuto di conservazione i dati relativi al traffico telefonico effettuato a decorrere dalla data di entrata in vigore della legge di conversione (21 aprile 2015) sono conservati dal fornitore fino al 31 dicembre 2016 per finalità di accertamento e repressione dei reati.
Per le medesime finalità i dati relativi al traffico telematico effettuato a decorrere dalla data di entrata in vigore della legge di conversione, esclusi comunque i contenuti della comunicazione, sono conservati dal fornitore fino al 31 dicembre 2016.
I dati relativi alle chiamate senza risposta, effettuate a decorrere dalla data di entrata in vigore della legge di conversione, trattati temporaneamente da parte dei fornitori di servizi di comunicazione elettronica accessibile al pubblico oppure di una rete pubblica di comunicazione, sono conservati fino al 31 dicembre 2016. Le disposizioni in questione cessano di applicarsi a decorrere dal 1° gennaio 2017.

A prescindere dall'eccentricità di quest'ultima disposizione, totalmente superflua alla luce del regime temporale più volte enunciato («fino al 31 dicembre 2016»), una lettura più attenta della norma desta qualche perplessità.

Le due finalità - L'articolo 4-bis enuncia due finalità che sono tra loro tutt'altro che coese. Non è chiaro, infatti, se il nuovo regime di data retention è utilizzabile «al fine di poter agevolare le indagini esclusivamente per i reati di cui agli articoli 51, comma 3-quater, e 407, comma 2, lettera a) c.p.p.» - così come si legge nel citato esordio - ovvero se la conservazione debba avvenire «per finalità di accertamento e repressione dei reati», per giunta senza alcun riferimento al titolo del reato per cui si procede.
Nozione, questa della «repressione», decisamente più ampia e che, ad esempio, potrebbe abilitare all'acquisizione di questi dati anche la procura nazionale antimafia e antiterrorismo ai sensi dell'articolo 371-bis, comma 3, lett. a), del Cpp secondo cui il procuratore nazionale «ai fini (...) della repressione dei reati provvede all'acquisizione e all'elaborazione di notizie, informazioni e dati attinenti alla criminalità organizzata».

Ma la circostanza più sorprendente è che il nuovo stato d'eccezione, regolato dall'articolo 4-bis della legge 43/2015, ha finito per comprimere piuttosto che dilatare la possibilità di acquisire i dati di traffico telefonico e proprio nelle indagini di cui si discute.
Infatti si legge che sono conservati sino al 31 dicembre 2016 i dati relativi al traffico telefonico «effettuato a decorrere dalla data di entrata in vigore della legge di conversione (come detto il 21 aprile 2015)», ma questo comporta che il range temporale più favorevole dell'articolo 132 del codice privacy (due anni) sarà compresso a praticamente un anno e otto mesi e via via a stringersi sino alla totale distruzione alla data del 31 dicembre 2016.
Per essere più chiari se, come recita la norma, «i dati relativi al traffico telefonico effettuato a decorrere dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto sono conservati dal fornitore fino al 31 dicembre 2016» questo sta letteralmente a significare che per tutto il traffico telefonico che si sviluppa a partire dal 21 aprile 2015 i termini si accorciano man mano che ci si avvicina alla data di scadenza.

Per cui, per esempio, i dati di traffico del 30 dicembre 2016 dovranno essere cancellati il giorno dopo o quelli del 31 dicembre 2015 dopo appena un anno, anziché nei due previsti dal citato articolo 132 del codice privacy.
Se così fosse le conseguenze sarebbero davvero difficili da immaginare.
Mentre è vero che per il traffico telematico e le chiamate senza risposta la nuova data del 31 dicembre 2016 rappresenta una nuova deadline, ma solo - quanto ad esempio al traffico telematico - sino al 31 dicembre 2015, poiché svoltata quella data i termini di conservazione saranno più brevi di quelli dell'articolo 132.
I nuovi poteri del procuratore nazionale antimafia - La legge di conversione ha assegnato al procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo il potere di proposta in materia di prevenzione patrimoniale, argomento intorno al quale per anni si erano registrate oscillazioni e resistenze di vario genere.
La norma, tuttavia, anche in questo caso non brilla per chiarezza poiché, nell'annoverare il Pna tra i soggetti titolari del potere di proposta ai sensi dell'articolo 17 del codice antimafia, precisa che l'azione patrimoniale potrà essere messa in campo «nell'esercizio delle funzioni previste dall'articolo 371-bis», ossia di quelle di coordinamento investigativo.
È probabile che la precisazione non abbia alcun reale significato prescrittivo, ma si limiti a suggerire la necessità di evitare duplicazioni con gli altri soggetti parimenti abilitati all'azione di prevenzione patrimoniale (procuratori distrettuali, direttore della Dia e questori).
A parte alcuni significativi aggiustamenti in tema di colloqui investigativi dei servizi di informazione (articolo 6) e di collaborazioni di giustizia (articolo 6-bis), la norma certo più significativa per la nuova procura nazionale è data dall'articolo 9 della legge che ha sostituito l'articolo 117, comma 2-bis, del Cpp stabilendo che il procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo, nell'ambito delle sue funzioni accede al registro delle notizie di reato, al registro di cui all'articolo 81 del codice antimafia e delle misure di prevenzione, nonché a tutti gli altri registri relativi al procedimento penale e al procedimento per l'applicazione delle misure di prevenzione. Il procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo «accede, altresì, alle banche di dati logiche dedicate alle procure distrettuali e realizzate nell'ambito della banca di dati condivisa della Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo».

La possibilità di acquisire e consultare i registri delle intercettazioni è il vero passo in avanti che quell'ufficio compie nella direzione di un reale coordinamento delle indagini e del collegamento con le procure distrettuali; soprattutto se si considera la costante ritrosia degli uffici periferici a permettere una tale forma di verifica.
A questo si aggiunge la possibilità, sempre per il procuratore nazionale, di «In relazione ai procedimenti per i delitti di cui all'art. 51, comma 3-quater, ossia di terrorismo, di avvalersi dei servizi centrali e interprovinciali delle forze di polizia e impartisce direttive intese a regolarne l'impiego a fini investigativi, ottenuta con un'interpolazione dell'articolo 371-bis del Cpp.
Si trattava di sanare la disparità che il decreto legge aveva previsto tra organi di polizia antimafia e organi antiterrorismo, inizialmente sottratti alle interlocuzioni con la procura nazionale.

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