Alle sezioni unite la possibilità di portare il pranzo da casa nella mensa scolastica
Portarsi da casa il pranzo alla scuola elementare o media è un diritto o no? Il quesito resta aperto ancora una volta. Infatti oggi, con l'ordinanza interlocutoria n. 6972, la prima sezione civile della Cassazione ha deciso di non decidere, affinché la questione sia oggetto di più approfondita e ulteriore riflessione. Gli atti della causa sollevata da un nutrito gruppo di genitori contro il Comune di Torino sono stati rimessi al "Primo" Presidente affinché valuti se assegnarla alle sezioni Unite per comporre le diverse e distanti risposte che i giudici (ordinari e amministrativi) hanno fornito alla domanda. Punto dirimente della questione ora "sospesa" è se si tratti di esercizio di una libertà costituzionalmente garantita - e quindi intoccabile - mangiare a scuola un pasto diverso da quello del servizio mensa, ma nel locale refettorio e contemporaneamente a tutti gli altri bambini e ragazzi.
Le due tesi partono dal dato comune che scuola sia, non solo la didattica in senso stretto, ma anche la formazione e che in essa - se previsto - rientri anche il momento collettivo tra studenti, della consumazione del pasto. Però - come fanno notare il Comune di Torino e il Miur - il servizio mensa non è un obbligo per i Comuni e, se previsto, è sempre facoltativo per gli alunni, dietro pagamento della retta. Da qui si afferma, che allora la mensa non è parte costitutiva dell'offerta formativa scolastica. Non fruirne non sarebbe quindi discriminatorio o una palese lesione del diritto all'istruzione. Una posizione che tiene conto anche degli oneri finanziari, puntando il dito su un utilizzo parziale, ma non pagato, del servizio mensa scolastico: uso del locale refettorio, vigilanza al pasto dei minori e soprattutto problemi di responsabilità per l'eventuale rischio igienico-sanitario connesso all'introduzione di cibo personalizzato nell'ambito di un pranzo comune ed egualitario.
Il servizio sarebbe così totalmente a carico soltanto di chi ne fruisce appieno. Ciò che determinerebbe un'ingiusta sperequazione tra le famiglie. Rilievi che - si legge nell'ordinanza di Cassazione - non hanno incontrato il favore del Consiglio di Stato, che con la sentenza n. 5156 ha detto un netto sì al panino da casa. Ma nulla vieta a Miur e Comuni di stabilire delle regole, anche economiche, su questa domanda di fruizione personalizzata - e allo stesso tempo collettiva - della mensa. Punto lasciato aperto all'azione della Pa tanto dai giudici amministrativi quanto da quelli ordinari, investiti della questione. Anche la competenza sulla materia ha generato conflitti, ma proprio dalla definizione o meno della scelta alimentare come esercizio di libertà costituzionale dipende la giurisdizione del giudice ordinario.
Se, invece, dovesse prevalere l'idea che si tratti di servizio eventuale e aggiuntivo all'istruzione scolastica non è detto che resti inattaccabile la scelta «restrittiva radicale del Comune» di interdire tout court il pranzo portato da casa. La proporzionalità e la ragionevolezza delle scelte amministrative sono comunque oggetto di ricorso davanti al Tar, quando si contesta l'operato di enti locali e ministero espresso attraverso provvedimenti che sono esercizio della potestà pubblica. La risposta al quesito - che forse approderà alle sezioni unite - sulla legittimità e sulla natura della pretesa dei genitori alla cosiddetta "autorefezione" nell'orario e nei locali della mensa scolastica, potrebbe sciogliersi a favore della definizione di diritto soggettivo di alunni e genitori se pietra angolare della decisione sarà l'orientamento di Palazzo Spada dove ha definito "apodittico e irrispettoso" affermare, da parte del Comune, che il confezionarsi i pasti da sé potrebbe essere un comportamento alimentare scorretto. E anche dove fa notare che il rischio igienico-alimentare va valutato alla luce della prassi ammessa di portarsi la merenda che si vuole all'ora della ricreazione.
Corte di Cassazione – Sezione I – Ordinanza 11 marzo 2019n. 6972