Professione e Mercato

Anche l’esame è da riformare: gli studi pagano i costi dei ritardi

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di Valeria Uva

Dicembre negli studi legali è un mese difficilissimo anche per via dell’esame di stato» Giovanni Lega, presidente di Asla che riunisce oltre 120 grandi studi legali associati, ma anche fondatore e managing partner di Lca, punta il dito non solo contro la staticità del corso di laurea in giurisprudenza, ma anche sulla fase successiva, quella dell’esame di stato per l’abilitazione, che tradizionalmente si svolge a dicembre e a giugno (appena conclusa l’ultima tornata).

«I ragazzi devono prepararsi per le prove - precisa - in Lca concediamo due mesi di study leave, la media è comunque almeno 45 giorni, vuol dire da ottobre fare a meno di 10-15 tirocinanti».

Come impatta quindi l’esame negli studi legali?
Basta fare due conti: tra scritto e orale sono almeno 4 mesi di assenza nei 18 mesi di tirocinio, che, giustamente, sono anche retribuiti. A volte di più perché non è detto che si superi al primo colpo. Per lo studio è un grosso contraccolpo, per i ragazzi è un allontanamento dal mondo del lavoro nel momento in cui è più importante apprendere.

Cosa pensa dell’esame in sé? 
Come il corso di laurea anche l’esame è pensato solo per l’avvocato “classico” dedicato solo al contenzioso in tribunale. Una figura anacronistica, visto il calo dei ricorsi. La maggior parte dei ragazzi faranno altro, soprattutto consulenza d’affari, peraltro su tematiche che sia l’Università che l’esame trascurano come il cyberlaw, la privacy o il fintech.

Il mancato aggiornamento ha un costo per chi ospita i praticanti.
Notevole. Ma del resto “allevare” i giovani è un investimento, anche sociale, molto importante. In Lca offriamo una vera e propria road map che tra formazione e coaching dura 4-5 anni. Destiniamo a questo il 10% del budget annuale, con una spesa media tra i 5mila e i 10mila euro a ragazzo. Ma lo facciamo perché vogliamo che restino sempre con noi.

Cosa manca nella formazione dei neolaureati per inserirsi nelle law firm?
Come dicevo, c’è poca attenzione ai temi attuali: si può dedicare una intera lezione all’enfiteusi, ormai rara, e ignorare per cinque anni l’impatto delle tecnologie sul diritto. Per non parlare dello studio dell’inglese, che è assente. Il metodo è spesso ancora nozionistico e non legato ai casi che i ragazzi affronteranno. Come Asla abbiamo proposto un triennio comune e poi due anni di specializzazione.

È solo una questione di nuove materie da inserire?
No. Ormai è indispensabile per un avvocato essere formato sul piano delle soft skill: chiediamo abilità nel public speaking e nella negoziazione, capacità di lavorare in gruppo. Competenze difficili da trovare nei nostri Atenei.

Cosa possono fare da subito le Università?
Aprirsi di più all’esterno. Molte università hanno iniziato a partecipare alla moot court di Vienna, competizione mondiale in cui si simulano processi o arbitrati. Ebbene vediamo che questi ragazzi si ritrovano poi con una marcia in più.

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