Assistenza giudiziaria internazionale, sindacabile al Tar la decisione del Ministero
Si tratta di un provvedimento amministrativo discrezionale dunque sottoponibile al vaglio giurisdizionale per difetto di motivazione. Lo ha stabilito l'Adunanza plenaria del Consiglio di stato con la sentenza n. 15 del 2022
Sì alla sindacabilità dell'atto con cui il Ministero della Giustizia provvede sulle richieste di assistenza giudiziaria internazionale (articolo 723 c.p.p.). Si tratta infatti di un provvedimento amministrativo discrezionale che in quanto tale può essere sottoposto al vaglio del giudice amministrativo sotto il profilo del difetto di motivazione. Lo ha stabilito l'Adunanza plenaria del Consiglio di stato, chiamata a decidere in funzione nomofilattica, con la sentenza n. 15 del 2022 (Pres. Frattini - Est. Franconiero). Il massimo collegio, inoltre, si è direttamente pronunciato nel merito degli appelli accogliendoli. Ed ha annullato gli atti del Ministero per "insuperabile carenza di motivazione", in particolare riguardo ad una possibile violazione del principio del ne bis in idem.
La questione è partita da 6 richieste (nell'anno 2019) dell'India di notificazione delle citazioni a giudizio ai vertici di una società per rispondere di reati in pubbliche forniture al Governo straniero, con imputazioni di corruzione e riciclaggio. Per i medesimi fatti i manager sono stati p rocessati in Italia e assolti in via definitiva. A questo punto il Consiglio di Stato ha annullato gli atti del Ministero di accoglimento delle richieste del Governo indiano, affermando che Via Arenula non aveva motivato in ordine alle ragioni per cui aveva ritenuto di non esercitare il proprio potere di "blocco". Ciononostante, il Ministero della giustizia con ulteriori provvedimenti, emessi prima di questa sentenza, ha dato corso ad altre richieste del Governo straniero senza esporne le ragioni. Proposto ricorso, il Tar ha respinto le censure basate sul mancato rispetto del principio del ne bis in idem e la necessità della doppia incriminazione ed ha anche escluso che il Ministro fosse tenuto ad esternare le ragioni.
Al contrario, per l'Adunanza plenaria "è decisivo considerare che il Ministero esercita un potere discrezionale, in forza del quale è tenuto a valutare tutti i profili presi in considerazione dall'art. 723 c.p.p.". E la motivazione "deve essere contenuta nell'atto di accoglimento della richiesta formulata dallo Stato estero o va desunta per relationem da un precedente atto infraprocedimentale". Mentre nel caso specifico molte sono state le questioni legittimamente poste dalla difesa dei ricorrenti e del tutto ignorate.
Non è stato per esempio preso in considerazione il precedente "giudicato assolutorio" con il rischio concreto, dunque, di "porre discussione la sovranità statale", visto che "le medesime persone, già assolte, verrebbero nuovamente sottoposte ad un giudizio per i medesimi fatti, davanti all'autorità giudiziaria penale estera". Nella medesima direzione va anche la possibile violazione della necessità della "doppia incriminazione" con riguardo all'imputazione di riciclaggio formulata dall'autorità giudiziaria indiana, perché rivolta ai concorrenti nel reato di corruzione presupposta, in violazione dell'incompatibilità sancita invece dal diritto penale interno (art. 648-bis cod. pen.).
Tutte questioni sulle quali, prosegue la decisione, "non si riscontra nei provvedimenti impugnati alcuna presa di posizione sul piano motivazionale". Per i giudici dunque va affermato che "il difetto di motivazione esplicita degli atti con cui è stato dato seguito alle richieste di assistenza giudiziaria internazionale è sindacabile, sotto il profilo del difetto di motivazione, poiché come nel caso di specie, si è in presenza di un provvedimento discrezionale, che va adeguatamente motivato".