Professione e Mercato

Avvocati, la mancata partecipazione all'udienza è illecito deontologico istantaneo

Lo ha chiarito il Consiglio Nazionale Forense con la sentenza n. 107 del 25 giugno 2022

di Francesco Machina Grifeo

Rischia un anno di sospensione della professione il legale che non si presenta in udienza senza addurre alcun impedimento. È questa, infatti, la sanzione irrogata dal Consiglio Nazionale Forense (pres. f.f. Greco, rel. Di Maggio) con la sentenza n. 107 del 25 giugno 2022 chiarendo tuttavia che, ai fini della prescrizione, tale illecito ha natura "istantanea e non permanente".

L'avvocato si era difeso sostenendo di avere assistito la cliente partecipando all'udienza di convalida dell'arresto, ottenendo l'applicazione della misura cautelare degli arresti domiciliari, e di aver poi presentato istanza di revoca della misura, accolta dal Tribunale. Successivamente però non aveva più avuto sue notizie, né era stato più contattato dalla cliente. La donna avrebbe ripreso a telefonargli "soltanto a seguito dell'azione intrapresa dalla parte civile per ottenere l'esecuzione delle statuizioni civili".

Deduzioni neppure prese in considerazione dal Cnf che sul punto si è rifatto alla decisione del Consiglio di disciplina che aveva ritenuto provata la responsabilità disciplinare del ricorrente e, in applicazione dell'articolo 26 comma 3 cod. deont., aumentata la sanzione disciplinare ai sensi dell'articolo 22 comma 2 lettera b) stesso Codice, "attesa la gravità del caso", aveva applicato la sanzione disciplinare della sospensione dall'esercizio dell'attività professionale per 12 mesi.

In difetto di un legittimo impedimento, dunque, spiega il Cnf, pone in essere un comportamento deontologicamente rilevante il difensore che, per "non scusabile e rilevante trascuratezza" (articolo 26 cdf), non partecipi all'udienza né nomini un proprio sostituto processuale o di udienza, a nulla rilevando, peraltro, l'eventuale assenza di concrete conseguenze negative o addirittura la presenza di vantaggi per il proprio assistito giacché ciò non varrebbe a privare di disvalore il comportamento negligente del professionista.

È stata invece accolta parzialmente (solo per alcune udienze) la doglianza la relativa alla prescrizione dell'azione disciplinare, considerato che "l'illecito deontologico in parola ha natura istantanea e non permanente". Sul punto il Cnf, con la sentenza n. 106, sempre del 25 giugno scorso ha chiarito che, in tema di prescrizione, occorre distinguere tra le violazioni deontologiche aventi carattere istantaneo da quelle che si concretizzano in una condotta protratta nel tempo, poiché per le prime il dies a quo del termine prescrizionale è rappresentato dalla commissione del fatto, mentre per le seconde esso va individuato nella data di cessazione della condotta medesima. Una violazione deontologica, spiegava ancora la decisione, deve essere considerata di carattere istantaneo se la lesione avviene, si consuma e diviene irreparabile già con la commissione del fatto dannoso, mentre è invece di carattere permanente se il pregiudizio al valore protetto cessa col venir meno della condotta (conseguentemente, nel caso affrontato, il mancato pagamento di somme dovute a terzi così come l'omessa informazione al cliente sullo stato della pratica costituivano illeciti permanenti/continuati in quanto omissivi).

Il Cnf ha infine chiarito anche che nel caso di plurime condotte materiali aventi autonomo rilievo deontologico, non trova applicazione in via analogica la disciplina sulla "continuazione" prevista dall'articolo 81 c.p. (che si riferisce agli illeciti penali) e dall'articolo 8, comma 2, della legge n. 689/1981 (che si riferisce alle infrazioni amministrative in materia di previdenza ed assistenza).

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