Penale

Azienda sequestrata per mafia, ricorribile la cessazione dell'attività

Lo ha stabilito la Cassazione, sentenza n. 28922/2020, accogliendo sotto questo profilo il ricorso di uno degli esponenti del clan Spada di Ostia

di Francesco Machina Grifeo

Sì alla possibilità di impugnare il provvedimento del Tribunale di approvazione del "programma di gestione" della azienda sequestrata per mafia. Lo ha stabilito la II Sezione penale della Cassazione, sentenza n. 28922 depositata il 19 ottobre, accogliendo sotto questo profilo il ricorso di uno degli esponenti del clan Spada di Ostia.

Sarà dunque la Corte di appello di Roma a dover confermare o meno il decreto del Tribunale di Roma, Sezione misure cautelari di prevenzione, che ha disposto la cessazione dell'attività della pizzeria "Lo Sfizio", l'estinzione della ditta individuale, la cancellazione della partita Iva e del codice fiscale, oltre alla vendita di tutti i beni mobili rinvenuti in occasione del sequestro.

Per la Cassazione infatti il principio del doppio grado di giurisdizione, di cui agli articoli 10 e 27 del Codice Antimafia, «deve ritenersi applicabile anche con riferimento al decreto del tribunale che in sede di gestione abbia disposto la cessazione dell'attività e la vendita dei beni strumentali». Parere favorevole lo ha espresso anche la Procura generale che ha concluso per la riqualificazione del ricorso in appello con la trasmissione degli atti.

Per arrivare al punto, la Suprema corte richiama i principi affermati dalla sentenza n. 46898/2019, quando chiamata a pronunciarsi a Sezioni unite sulla impugnabilità con ricorso per Cassazione del provvedimento di diniego della misura del Controllo giudiziario, richiesto ex articolo 34 - bis, comma 6, del Dlgs n. 159/2011, ha superato l'orientamento di legittimità che considerava la misura dell'Amministrazione giudiziaria non presidiata da mezzi di impugnazione, ritenendo invece applicabile, anche in tale ipotesi il principio del doppio grado di impugnazione.

Del resto, prosegue il ragionamento, la stessa giurisprudenza, con il ricorso all'interpretazione analogica, aveva posto rimedio ad una discrasia di legge relativa alla impugnabilità della confisca. La confisca, adottata in via ordinaria, infatti, risultava appellabile e ricorribile per Cassazione ai sensi dell'articolo 27 del Codice Antimafia, mentre per quella adottata all'esito del controllo dell'articolo 34 del Codice Antimafia non era previsto alcun mezzo di impugnazione.

La Corte di legittimità, con un'interpretazione costituzionalmente conforme, aveva riconosciuto l'appellabilità e la ricorribilità per Cassazione anche per tale ultima misura, prima dell'intervento del legislatore che, recependo l'orientamento giurisprudenziale, «ha dapprima integrato il comma 7 dell'articolo 34 e successivamente, con la legge n. 161/2017, interamente riscritto l'art. 34 inserendo al comma 6 la previsione dell' impugnazione con il doppio grado di giudizio, riferita sia alla confisca conseguente all'amministrazione giudiziaria che a quella intervenuta a seguito del controllo giudiziario adottabile nello stesso contesto».

Le S.U. hanno quindi ritenuto che le decisioni del Tribunalin tema di controllo giudiziario, al pari di quelle sulla ammissione all'amministrazione giudiziaria, appartenenti ad un unico sotto-sistema, debbano andare soggette al mezzo di impugnazione "generale" previsto dal Dlgs n. 159 del 2011, articolo 10 .

Ed oggi , muovendo da "tali pri ncipi", la Corte ha affermato il principio del doppio grado di giudizio anche riguardo al decreto che dispone la cessazione dell'attività.

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©