Responsabilità

Cartella clinica lacunosa: non scatta la responsabilità, ma va tenuta presente

Altrimenti l'incompletezza verrebbe a giovare proprio a colui che, con inadempimento al proprio obbligo di diligenza, ha dato corso a tale incompletezza. Lo ha affermato il tribunale di Cosenza

di Francesco Lauri

Nella cartella clinica la presenza di omissioni che siano tali da rendere impossibile l'individuazione del nesso di causalità materiale non conduce automaticamente a ritenere adempiuto l'onere probatorio da parte del paziente che adduce di essere stato danneggiato, pur dovendosene tenersene ampiamento conto, altrimenti l'incompletezza verrebbe a giovare proprio a colui che, con inadempimento al proprio obbligo di diligenza, ha dato corso a tale incompletezza. Lo ha affermato il tribunale di Cosenza con sentenza 23 maggio 2023 n. 914.

Il fatto
Avuto riguardo alla vicenda sottoposta al suo giudizio – sintetizzabile nella richiesta di risarcimento danni formulata nei confronti di un'azienda ospedaliera per responsabilità contrattuale (art. 1228 c.c.) ed extracontrattuale (art. 2043 c.c.) da malpractice medica – il Tribunale di Cosenza tratteggia in sentenza diversi profili di tale responsabilità e, tra questi, in particolare quello della rilevanza della cattiva tenuta della cartella clinica.

La decisione del Tribunale di Cosenza
La corretta redazione e conservazione della cartella clinica è sintomatico di diligenza professionale del medico e, di conseguenza, nell'ipotesi opposta -di cattiva e lacunosa tenuta di detto documento- opera un sistema sanzionatori piuttosto grave (con profili penali, disciplinari e, infine, civili).

Procedendo con ordine è opportuno rilevare che la cartella clinica redatta da un medico di un ospedale pubblico è caratterizzata dalla produttività di effetti incidenti su situazioni giuridiche soggettive di rilevanza pubblicistica, nonché dalla documentazione di attività compiute dal pubblico ufficiale che se ne assume la paternità. Trattasi di un atto pubblico che esplica la funzione di diario del decorso della malattia e di altri fatti clinici rilevanti, sicché i fatti devono esservi annotati contestualmente al loro verificarsi.

Ne deriva -secondo la giurisprudenza penale- che tutte le modifiche, le aggiunte, le alterazioni e le cancellazioni integrano falsità in atto pubblico, punibili in quanto tali; né rileva il movente, ossia l'intento che muove l'agente, atteso che tali fattispecie sono connotate dal dolo generico e non dal dolo specifico (Cass. pen., sez. V, 26 novembre 1997, n. 1098). Integra, in particolare, il reato di falso materiale in atto pubblico (anche) l'alterazione di una cartella clinica mediante l'aggiunta, in un momento successivo, di una annotazione, ancorché vera, non rilevando, infatti, a tal fine, che il soggetto agisca per ristabilire la verità, in quanto la cartella clinica acquista carattere definitivo in relazione a ogni singola annotazione ed esce dalla sfera di disponibilità del suo autore nel momento stesso in cui la singola annotazione viene registrata (Cass. pen., sez. V, 22 ottobre 2018, n. 55385).
In altre parole, la cartella clinica costituisce un documento in cui le annotazioni devono avvenire contestualmente al loro verificarsi (Cass. pen., sez. V, 21 aprile 2023, n. 17170).

Analogamente alla cartella clinica redatta da un medico ospedaliero, anche la scheda operatoria è un atto che attesta sia le fasi e le modalità di svolgimento dell'attività chirurgica, sia lo svolgimento della stessa secondo le competenze dei sanitari ivi impegnati nell'ambito della struttura ospedaliera e ai fini a essa pertinenti (Cass. pen., sez. V, 1 marzo 2011, n. 23255); di conseguenza, la falsa attestazione contenuta nella scheda operatoria integra il delitto di falsità ideologica commessa da pubblico ufficiale in atto pubblico (Cass. pen., sez. V, 20 aprile 2023, n. 16933).

Venendo ora, pur brevemente, ai cennati profili disciplinari è da rilevare che l'art. 26 del Codice di deontologia medica espressamente prevede che il medico redige la cartella clinica, quale documento essenziale dell'evento ricovero, con "completezza, chiarezza e diligenza" tutelandone la riservatezza. Le eventuali correzioni – secondo tale disposizione – devono essere motivate e sottoscritte.

Quanto al suo contenuto, il medico deve riportare nella cartella clinica i dati anamnestici e quelli obiettivi relativi alla condizione clinica e alle attività diagnostico-terapeutiche a tal fine praticate; deve registrare il decorso clinico assistenziale nel suo contestuale manifestarsi o nell'eventuale pianificazione anticipata delle cure nel caso di paziente con malattia progressiva, garantendo la tracciabilità della sua redazione.

Il medico, infine, sempre secondo il dettato della citata disposizione codicistica, registra nella cartella clinica i modi e i tempi dell'informazione e i termini del consenso (o dissenso) della persona assistita o del suo rappresentante legale anche relativamente al trattamento dei dati sensibili, in particolare in casi di arruolamento in protocolli di ricerca. Infine, il Dpr 27 marzo 1969 n. 128 (Ordinamento interno dei servizi ospedalieri), all'art. 7, prescrive che il primario "è responsabile della regolare compilazione delle cartelle cliniche, dei registri nosologici e della loro conservazione, fino alla consegna all'archivio centrale".

Venendo poi al sistema della responsabilità civile, e del riparto dell'onere probatorio, deve affermarsi, preliminarmente, che la lacunosa tenuta della cartella clinica da parte dei sanitari non può pregiudicare il paziente, cui, per il principio di vicinanza della prova, è dato ricorrere a presunzioni se sia impossibile la prova diretta a causa del comportamento della parte contro la quale doveva dimostrarsi il fatto invocato (v. Trib. Napoli, sez. VIII, 9 marzo 2023, n. 2540; App. Catania, sez. I, 22 luglio 2022, n. 1592; App. Torino, sez. I, 30 marzo 2022, n. 352; Trib. Imperia, 22 aprile 2021, n. 277). Tali principi operano non solo ai fini dell'accertamento della colpa del medico, ma anche in relazione alla stessa individuazione del nesso eziologico fra la sua condotta e le conseguenze dannose subite dal paziente (Cass. civ., sez. III, 31 marzo 2016, n. 6209; Cass. civ., sez. III, 27 aprile 2010 n. 10060).- Con la precisazione che l'incompletezza della cartella clinica è una circostanza di fatto che il Giudice ben può utilizzare per ritenere dimostrata l'esistenza di un valido nesso causale tra l'operato del medico e il danno patito dal paziente solo quando, proprio tale incompletezza, abbia reso impossibile accertare il relativo nesso eziologico, e il medico abbia comunque tenuto una condotta pur solo astrattamente idonea a cagionare il danno (Cass. civ., sez. III, 21 novembre 2017, n. 27561, Cass. civ., sez. III, 14 novembre 2019, n. 29498).

L'incompletezza della cartella ha ricadute, cioè, quando va a innestarsi in un contesto specifico che è proprio la fonte della sua rilevanza (Cass. civ., sez. III, ord., 20 novembre 2020, n. 26428). La conformazione della condotta del sanitario, nel senso di astratta idoneità alla causazione dell'evento dannoso, è logicamente il primo fattore da vagliare, mentre soltanto se la condotta del sanitario sia astrattamente, ovvero assolutamente, inidonea a causarlo, non occorre alcuna ulteriore indagine fattuale (Trib. Lecce, 7 luglio 2022, n. 2103; Cass. civ., sez. III, 23 marzo 2018, n.7250).

La valenza dell'incompletezza della cartella, attraverso il mezzo presuntivo che integra il riflesso del principio della vicinanza probatoria, si risolve coerentemente a favore di chi deduce di essere stato danneggiato, giacché, diversamente, la stessa finirebbe per favorire proprio chi, in violazione del proprio dovere di diligenza, ha determinato quella lacuna, diversamente ostativa al riconoscimento della sua responsabilità.

In conclusione può affermarsi che «il medico ha l'obbligo di controllare la competenza e l'esattezza delle cartelle cliniche e dei relativi referti allegati, la cui violazione comporta la configurazione di un difetto di diligenza rispetto alla previsione generale contenuta nell'art. 1176, secondo comma, cod. civ. e, quindi, un inesatto adempimento della sua corrispondente prestazione professionale» (Cass. civ., sez. III, 18 settembre 2009 n. 20101). Di talché, in presenza di «vuoti temporali» ed omissioni nella compilazione della documentazione sanitaria, il paziente che agisce in giudizio contro una struttura o un medico può, per provare la fondatezza delle accuse, ricorrere a «presunzioni» di responsabilità del convenuto (Trib. Santa Maria Capua Vetere, sez. III, 22 luglio 2022, n. 2948).

ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI
■ Conformi
• Trib. Napoli, sez. VIII, 9 marzo 2023, n. 2540
• App. Catania, sez. I, 22 luglio 2022, n. 1592
Difformi
Nessuno


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