Società

Opportunità di inserimento di clausole contrattuali 231 in caso di subappalto, ATI, joint venture

La corretta predisposizione e applicazione di clausole c.d. "231", che vincolino e consentano di verificare l'operato di terzi, costituisce un paradigma specifico di effettività ed efficacia del modello organizzativo. L'inserimento di queste clausole assume particolare rilievo in caso di subappalto, ATI e joint venture

di Alberto Giuliani*

Nelle best practices per l'implementazione e l'attuazione dei Modelli Organizzativi ai sensi del D.Lgs. 231/2001, è invalso il ricorso a clausole c.d. "231" volte ad ottenere l'impegno della controparte contrattuale all'osservanza dei principi e delle norme contenuti all'interno del Codice Etico e dei compliance programs adottati dall'Ente.

Si verifica la frequente assunzione da parte degli stakeholders esterni all'organizzazione dell'Ente di un'obbligazione contrattuale a duplice contenuto: da un lato, sorge in capo al destinatario un obbligo di non facere, in particolare il divieto di porre in essere fatti integranti gli elementi costitutivi di taluno dei reati presupposto individuati dal D.lgs. 231/2001, ovvero contrari ai principi ed alle norme contenute nel Codice Etico, nel Modello Organizzativo e nelle ulteriori policies aziendali ivi richiamate.

Per altro verso, l'impegno della controparte contrattuale assume un contenuto "positivo" di facere, che si sostanzia nell'obbligo di dar corso ad adempimenti specifici ed attuare procedure imposte dall'ente quali misure di prevenzione degli illeciti che divengono vere e proprie prestazioni accessorie all'interno del contratto.

Tra esse, in particolare, vi è il dovere di inoltrare flussi informativi periodici volti a rafforzare la capacità dell'ente di intercettare ed ottenere una più efficace e tempestiva disclosure di condotte e fatti che nell'ambito dell'operatività aziendale e delle interferenze con il soggetto esterno potrebbero condurre alla commissione di illeciti ed introdurre profili di responsabilità in capo all'ente.

L'inadempimento a tali obbligazioni è sanzionato da meccanismi specifici, quali la sospensione dell'esecuzione del contratto, la risoluzione, il recesso, l'applicazione di penali, che determinano la sostanziale estensione dell'ambito di applicazione del sistema disciplinare di cui all'art. 6 co. 2 lett. e) D.Lgs. 231/2001 anche nei confronti delle controparti contrattuali e di altri stakeholders esterni interessati.

Le clausole c.d. "231" e, più in generale, il sistema disciplinare rispondono ad una funzione preventiva e rientrano nel più ampio novero delle misure organizzative specifiche volte al trattamento ed alla mitigazione del rischio di commissione dei reati presupposto di cui agli artt. 24 e seguenti del D.Lgs. 231/2001.

L'implementazione del Modello Organizzativo secondo canoni risk-based transita, in particolare, attraverso l'individuazione delle aree e dei processi aziendali per cui sussista il rischio di commissione di taluno dei reati presupposto e delle possibili modalità di attuazione concreta dei relativi elementi tipici [1].

L'output di tale assessment deve riportare una mappatura esaustiva e coerente con il contesto operativo esterno ed interno dell'ente, in grado di evidenziare i profili concreti di possibile consumazione degli illeciti dai quali possa derivare la responsabilità amministrativa.

La corretta inventariazione dei processi aziendali e l'analisi dei rischi potenziali di commissione dei reati costituiscono poi il presupposto per l'adozione di un sistema di protocolli articolato in principi generali, regolamentazioni specifiche e meccanismi di controllo estesi anche nei confronti dei soggetti esterni all'ente.

Per tali motivi, il giudizio di "rimproverabilità" a carico dell'ente risiede nella verifica della corretta attuazione di un'analisi dei rischi esaustiva e della conseguente ed efficace predisposizione di sistemi di prevenzione e controllo in grado di intercettare il verificarsi di fatti, anche ad opera di terzi, integranti gli elementi costitutivi di taluno dei reati presupposto individuati dal D.Lgs. 231/2001 [2].

Il mancato assolvimento di tali compiti determina la c.d. "colpa di organizzazione", alla quale è ancorata l'affermazione della responsabilità amministrativa dell'ente.

Si tratta, in particolare, di una "colpa normativa" disegnata, sulla scia di un onere nell'adozione dei modelli organizzativi e gestionali, su un difetto della diligenza esigibile in un quadro normativo dalle spiccate finalità preventive [3].

Se da un lato l'ente è tenuto a definire nel Codice Etico e nei protocolli di parte generale e speciale i principi e le norme di fair business e corretto agire che orientino l'azione dei propri stakeholders apicali e subordinati, al contempo esso deve attuare un'azione di compliance e monitoraggio volta ad intercettare fatti e condotte che, in ragione della violazione di norme di legge o regolamentari, interne o esterne all'organizzazione aziendale, possano integrare gli elementi tipici di un illecito ricompreso nel novero dei reati presupposto.

Ai fini del superamento del giudizio di idoneità ed efficace attuazione, il Modello Organizzativo presuppone, in altri termini, una solida componente di controllo: è emblematico il riferimento contenuto nelle Linee Guida per la costruzione di modelli di organizzazione, gestione e controllo – parte generale elaborate da Confindustria (edizione giugno 2021), secondo cui "il sistema disciplinare completa e rende effettivo il modello organizzativo, il cui fine è evitare che vengano commessi reati, non reprimerli quando siano già commessi" [4].

Ed ancora: "le società tenute al rispetto delle diverse normative dovrebbero valutare l'opportunità di predisporre o integrare tali procedure tenendo conto delle peculiarità sottese a ciascuna di esse, portando a sintesi gli adempimenti, individuando le modalità per intercettare e verificare gli eventi economici e finanziari dell'impresa nell'ottica del corretto agire " [5].

La corretta predisposizione e applicazione di clausole c.d. "231", che vincolino e consentano di verificare l'operato di terzi, costituisce pertanto paradigma specifico di effettività ed efficacia del modello organizzativo, del quale esprime il grado di attuazione nei confronti degli stakeholders esterni coinvolti.

In tale prospettiva, assume particolare importanza la corretta identificazione dei soggetti coinvolti nei processi sensibili, anche se esterni al contesto o all'organizzazione interna dell'ente. Tra essi vanno, in particolare, ricompresi anche i collaboratori esterni e gli altri soggetti che intrattengano rapporti contrattuali con l'ente, quali partner commerciali, agenti di commercio, appaltatori, subappaltatori e fornitori [6].

Il modello organizzativo potrà ritenersi idoneo ed efficacemente attuato, con la conseguente esimente dalla responsabilità, unicamente laddove vi sia prova dell'azione di verifica da parte dell'ente e della previsione di misure contrattuali nei confronti di tali soggetti volte a contrastare fatti e condotte non compliant, suscettibili di determinare la consumazione dei reati presupposto [7] .

Tale azione di prevenzione e controllo assume particolare significato con riferimento ai reati colposi, ad esempio di omicidio e lesioni personali colpose commesse con violazione della normativa antinfortunistica (art. 25-septies D.Lgs. 231/2001) laddove, al fine di escludere la responsabilità prevista dal D.Lgs. 231/2001, vi è la necessità di monitorare costantemente l'efficace attuazione ed il rispetto di decisioni, procedure e regole cautelari indicate dai soggetti titolari di posizioni di garanzia, quali il datore di lavoro, i dirigenti, i preposti, da parte dei sottoposti e dei soggetti esterni per i quali si determino rischi c.d. da "interferenza".

L'affermazione della responsabilità dell'ente in relazione al fatto proprio di stakeholders esterni postula, in ogni caso, l'accertamento della sussistenza dei requisiti oggettivi dell'interesse o vantaggio individuati dall'art. 5 D.Lgs. 231/2001 [8] .

In particolare, il criterio dell'interesse esprime una valutazione teleologica del reato, secondo un apprezzamento ex ante, mentre il requisito del vantaggio è valutabile ex post, quale beneficio anche non patrimoniale derivato in capo all'ente [9].

L'assenza di un interesse costituisce un "limite negativo" della fattispecie, che esclude la riferibilità dell'illecito all'ente. In tali ipotesi "si verificherebbe una sorta di rottura del rapporto di immedesimazione organica, ragion per cui il fatto commesso, pur tornando di fatto a vantaggio della societas, non potrebbe più ritenersi come fatto suo proprio. In tale evenienza, si tratterebbe di un vantaggio meramente fortuito, come tale non attribuibile alla volontà della persona giuridica".

I compliance programs adottati dall'ente devono, pertanto, essere in grado, anche attraverso l'introduzione di clausole c.d. "231", di mitigare il rischio di commissione di illeciti ed escludere la sussistenza di un potenziale interesse o vantaggio rispetto ai fatti ed alle condotte riferibili agli stakeholders esterni, attraverso la necessaria verifica delle tipologie di soggetti interessati e delle interferenze rispetto ai singoli processi ed attività aziendali.

L'opportunità della previsione di clausole 231 nell'ambito di contratti di A.T.I., joint venture e subappalto

Il fenomeno dell'introduzione di clausole contrattuali c.d. "231" si verifica con particolare incidenza nelle ipotesi di contratti di appalto e subappalto e di raggruppamenti temporanei di impresa (RTI o ATI) ovvero joint ventures volte a porre in essere specifici progetti e operazioni commerciali mediante l'apporto specialistico ed il concorso di più soggetti e persone giuridiche.

In particolare, la costituzione di un raggruppamento temporaneo di imprese determina l'instaurazione di una fattispecie contrattuale complessa, fondata sul conferimento di un mandato di rappresentanza irrevocabile da parte degli enti c.d. "mandatari" ad altra società "capogruppo-mandataria", che per l'effetto è legittimata ad operare in nome e per conto dell'ATI nei rapporti con il committente o la stazione appaltante ed i terzi e le cui decisioni producono effetti giuridici direttamente nei confronti delle imprese mandanti, sino al perdurare del vincolo associativo [10].

La costituzione del raggruppamento temporaneo di impresa non dà luogo ad un nuovo ed autonomo soggetto giuridico: la sussistenza dei profili di responsabilità amministrativa ai sensi del D.Lgs. 231/2001 deve essere valutata con riferimento a ciascuno degli enti aderenti all'associazione, in relazione ai reati commessi nel proprio interesse o vantaggio dai rispettivi soggetti apicali o subordinati, quale espressione del c.d. principio di immedesimazione organica e funzionale dell'autore del reato rispetto all'ente collettivo, che postula l'imprescindibile collegamento dell'ente alla oggettiva realizzazione del reato.

Il Modello Organizzativo adottato da ciascuno degli enti aderenti all'associazione deve, nondimeno, contemplare un'analisi puntuale dei profili di rischio concreti derivanti dall'operatività aziendale che tengano conto dell'adesione al raggruppamento temporaneo di impresa, nonché degli effetti delle interferenze delle condotte poste in essere dagli stakeholders esterni, facenti parte dell'associazione.

Tanto vale con particolare riferimento alle imprese mandanti che dovranno individuare clausole c.d. "231" dedicate nei confronti della "capogruppo-mandataria", dotata dei poteri di rappresentanza ed in grado di produrre, con il proprio comportamento, effetti giuridici direttamente nella sfera delle singole imprese aderenti al raggruppamento temporaneo. Del pari, l'impresa mandataria dovrà presidiare la liceità e correttezza del comportamento e delle decisioni espresse dalle mandanti, di cui si renda rappresentante in forza del predetto conferimento di procura.

L'effettività del rischio del riconoscimento di una responsabilità estesa all'intera compagine facente parte del raggruppamento di imprese è stata affermata dalle Sezioni Unite con una decisione in materia cautelare reale e segnatamente di sequestro preventivo ai fini di confisca ai sensi dell'art. 53 D.Lgs. 231/2001, in ipotesi di commissione del reato presupposto di truffa (art. 640 cod. pen.) nel contesto di un'associazione di imprese aggiudicataria di un appalto pubblico.

La Corte di Cassazione ha, in particolare, stabilito che in tale fattispecie deve "applicarsi il principio solidaristico che informa la disciplina del concorso nel reato e che implica l'imputazione dell'intera azione delittuosa e dell'effetto conseguente in capo a ciascun concorrente" [11].

In virtù di tale principio, la Corte ha riconosciuto la responsabilità di tutte le imprese componenti il raggruppamento temporaneo ai sensi del D.Lgs. 231/2001, attesa anche l'insussistenza di specifici presidi organizzativi e preventivi volti a disciplinare gli aspetti di compliance ed i rischi sottesi ai rapporti interni tra gli enti [12].

Sul fronte dell'applicazione della cautela reale, "perduta l'individualità storica del profitto illecito, la confisca di valore può pertanto interessare indifferentemente ciascuno dei concorrenti anche per l'intera entità del profitto accertato, non essendo esso ricollegato all'arricchimento di uno piuttosto che di un altro soggetto coinvolto, bensì alla corresponsabilità di tutti nella commissione dell'illecito, senza che rilevi il riparto del relativo onere tra i concorrenti, che costituisce fatto interno a questi ultimi".

In tale prospettiva, l'adozione di meccanismi di prevenzione e controllo da parte dell'ente, tra i quali l'introduzione di clausole c.d. " 231 ", diviene, pertanto, imprescindibile per un efficace governo del rischio di commissione dei reati presupposto e per conseguire gli effetti esimenti dalla responsabilità amministrativa.

Le clausole c.d. " 231 " assumono analoga importanza con riferimento ai rapporti di appalto e subappalto, con particolare riguardo alle fattispecie connesse ai reati di omicidio e lesioni personali colpose con violazione della normativa antinfortunistica ed ai reati ambientali.

La costituzione di rapporti di appalto o subappalto determina in particolare l'insorgere di possibili interferenze tra i soggetti apicali e subordinanti appartenenti ai singoli enti coinvolti e richiede un approfondito processo valutativo che consideri in modo specifico le ipotesi di concorso del reato ed i rischi di commissione degli illeciti di cui al D.Lgs. 231/2001 nell'ambito delle attività disciplinate dal contratto.

Un primo aspetto da esaminare attiene alla completa individuazione dei soggetti apicali e subordinati, anche esterni all'ente, che possano coinvolgere la responsabilità dell'ente.

Con riferimento alla prevenzione dei reati di omicidio e lesioni personali colpose, il novero dei soggetti sottoposti a controllo è particolarmente ampio e coincide con tutti i lavoratori rientranti nell'ambito di applicazione del D.Lgs. 81/2008 e destinatari dei relativi obblighi di protezione [13] .

Al contempo, tale analisi non può, invero, esaurirsi nell'adempimento delle valutazioni dei rischi previste dalla normativa in materia di tutela della salute e sicurezza sul lavoro: la giurisprudenza ha ampiamente chiarito che "i documenti di valutazione dei rischi non possono in alcun modo costituire un surrogato di un modello organizzativo e gestionale".
Il sistema di prevenzione della responsabilità amministrativa da reato degli enti collettivi "è stato invece congegnato per scopi diversi, anche se mediatamente sempre a favore dei lavoratori, e che per questo risulta strutturato normativamente con precipue ramificazioni attuative, ben marcate e polivalenti
".

Ne deriva, pertanto, che non potrà considerarsi idoneo o sufficiente il Modello Organizzativo che contenga meri richiami al Documento di Valutazione dei Rischi (DVR) o, con riferimento ai rapporti con i soggetti esterni all'organizzazione, al Documento di Valutazione dei Rischi da Interferenza (DUVRI).

L'ente deve prevedere strumenti specifici atti a garantire il rispetto di norme, prescrizioni e protocolli in materia di salute e sicurezza sul lavoro, ambiente e nelle altre materie interessate dal rischio di commissione di taluno dei reati presupposto, anche tramite l'inserimento di clausole contrattuali contenenti sanzioni a carico degli stakeholders inadempienti o responsabili del verificarsi degli illeciti [14].

Le tipologie ed i requisiti delle clausole c.d. "231"

In relazione alla tipologia ed al contenuto delle clausole c.d. "231", non sussistono modelli o paradigmi obbligatori aventi portata generale.

Tali clausole dovranno, invero, essere modulate sulla base della specificità del rapporto contrattuale di riferimento tra l'ente ed i singoli stakeholders esterni, al fine di soddisfare nel concreto le esigenze di prevenzione e controllo alle quali è deputato nel suo complesso il sistema disciplinare [15].

In una prospettiva generale, anche alla luce della prassi applicativa, è comunque possibile ricondurre le clausole c.d. "231" a quattro categorie, distinte per contenuto e finalità.

In primo luogo devono essere considerate le clausole volte alla qualifica dello stakeholder esterno: esse prevedono l'impegno a carico del fornitore, subappaltatore o partner di provvedere all'adozione di un proprio modello organizzativo ai sensi del D.Lgs. 231/2001, condizione che diviene requisito di gradimento e per la partecipazione al raggruppamento di imprese o ancora per l'affidamento in appalto o subappalto di determinati progetti o commesse.

Assumono poi rilievo le clausole a contenuto precettivo: è frequente la previsione di specifici obblighi comportamentali a carico di subappaltatori, partner in ATI e joint ventures ed altri stakeholders esterni tra cui ad esempio l'impegno ad operare nel rispetto di principi contenuti nel Codice Etico o nel Modello Organizzativo dell'ente o, ancora, il dovere di attuare procedure ed istruzioni operative contenute nella parte speciale del sistema preventivo. Si tratta di clausole volte ad imporre alle controparti contrattuali elevati standard di compliance con l'obiettivo di intercettare possibili violazioni di regole cautelari e garantire un efficace apparato organizzativo a contrasto della commissione dei reati individuati dal D.Lgs. 231/2001.

Per risultare efficaci, tali clausole presuppongono la piena conoscenza da parte del terzo di procedure, prassi e regolamenti oggetto delle prescrizioni imposte dall'ente. Quest'ultimo dovrà quindi consegnare agli stakeholders interessati copia del modello organizzativo ed in particolare dei protocolli di parte speciale applicabili dei quali pretenda l'attuazione, dandone idonea pubblicità [16].

Una terza categoria è rappresentata dalle clausole a contenuto informativo. Esse disegnano una rete di flussi informativi che la controparte contrattuale, sia essa fornitore, subappaltatore, partner nell'ambito di un raggruppamento temporaneo di imprese, è tenuto a garantire nei confronti dell'ente.

Tali flussi informativi possono essere articolati mediante la richiesta di compilazione periodica di check-list o questionari o ancora nella comunicazione di c.d. "red flag" o comunque di fatti ed elementi inerenti la gestione aziendale e/o l'esecuzione del contratto attorno ai quali potrebbe gravitare il rischio di commissione di taluno dei reati presupposto.

A presidio dell'effettivo e puntuale adempimento di tali obblighi è posta un'ulteriore categoria di clausole c.d. "231" che svolge una funzione sanzionatoria e deterrente [17].

Tra esse si annoverano le condizioni sospensive o risolutive dell'efficacia del contratto connesse al verificarsi di determinate condotte ovvero clausole penali volte a sanzionare condotte non compliant ed in particolare il mancato rispetto di norme etero o autodeterminate dall'ente, quali procedure, istruzioni operative e prassi rivolte alla prevenzione degli illeciti.

Nell'ambito del raggruppamento temporaneo di impresa, le clausole risolutive possono determinare lo scioglimento parziale del contratto nei confronti della mandataria o mandante responsabile della violazione o della commissione di un reato ricompreso nel catalogo di cui al D.Lgs. 231/2001, ovvero far sorgere il diritto in capo alle consociate di provvedere alla sostituzione o all'inibizione dell'attività di tale controparte contrattuale.

I criteri volti ad orientare la scelta delle tipologie di clausole da preferire nei confronti di un determinato stakeholders devono essere rinvenuti nei risultati dell'analisi del rischio ed in particolare nella mappatura delle potenziali condotte e interferenze del terzo che potrebbero determinare la consumazione di un illecito e coinvolgere la responsabilità dell'ente ai sensi del D.Lgs. 231/2001.

Le clausole c.d. "231" dovranno poi prevedere dei meccanismi di modulazione della sanzione sulla base della gravità e della reiterazione della violazione riscontrata, condizione che può essere raggiunta tramite la previsione di più clausole sanzionatorie azionabili secondo una sequenza che rispecchi la progressione del disvalore delle condotte poste in essere dal terzo.

Un paradigma di riferimento per definire tale meccanismo potrebbe ad esempio essere costituito dal ricorso ai criteri di dosimetria della pena previsti dall'art. 133 cod. pen., al verificarsi dei quali esprimere con maggiore o minore intensità la risposta sanzionatoria nei confronti degli stakeholders coinvolti.

Conclusioni

In definitiva, il ricorso a clausole c.d. "231" nell'ambito dei rapporti contrattuali con i terzi costituisce una modalità di trattamento e contenimento del rischio di commissione dei reati presupposto di cui al D.Lgs. 231/2001.
L'opportunità di tale sistema disciplinare e di controllo specifico risiede nell'esigenza di assicurare l'idoneità ed efficace attuazione del Modello Organizzativo in particolare nei confronti degli stakeholders esterni e dei rischi derivanti dalle interferenze di costoro nella sfera giuridica dell'ente, introducendo prescrizioni, flussi informativi e meccanismi sanzionatori tali da escludere la sussistenza di alcun interesse o vantaggio dell'ente in relazione ai fatti dei terzi.
L'impostazione delle singole clausole dovrà, infine, rispondere alle specificità del rapporto contrattuale, specialmente in materia di raggruppamento temporaneo di imprese, alla luce del conferimento alla "capogruppo-mandataria" di poteri di rappresentanza e produzione di effetti giuridici, nonché di appalto e subappalto, prescrivendo il rispetto di norme di legge ed autoregolamentari volte ad assicurare un elevato grado di compliance rispetto alla normativa di riferimento.

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*A cura dell'Avv. Alberto Giuliani – Partner 24 ORE Avvocati

[1] V. sul punto Linee Guida per la costruzione di modelli di organizzazione, gestione e controllo – Parte Generale, ed. giugno 2021, p. 39, secondo cui vi sono due fasi principali nelle quali il sistema di prevenzione dei rischi 231 dovrebbe articolarsi: a) l'identificazione dei rischi potenziali, "ossia l'analisi del contesto aziendale per individuare in quali aree o settori di attività e secondo quali modalità si potrebbero astrattamente verificare eventi pregiudizievoli per gli obiettivi indicati dal decreto 231"; b) la progettazione del sistema di controllo, "i.e. la valutazione del sistema esistente all'interno dell'ente per la prevenzione dei reati ed il suo eventuale adeguamento, in termini di capacità di contrastare efficacemente, cioè ridurre ad un livello accettabile, i rischi identificati".
[2] V. Tribunale Trani sez. Molfetta, sent. 11 gennaio 2010 (ud. 26 ottobre 2009) secondo cui "l'incasellamento preferibile, desumibile da una interpretazione sistematica dell'articolato, conduce alla previsione di una "colpa normativa" disegnata, sulla scia di un onere nell'adozione dei modelli organizzativi e gestionali, su un difetto della diligenza esigibile in un quadro normativo dalle spiccate finalità preventive. La Cassazione ha spiegato che la mancata adozione di tali modelli, in presenza dei presupposti oggettivi e soggettivi sopra indicati, è sufficiente a costituire quella rimproverabilità di cui alla Relazione Ministeriale al decreto legislativo e non a caso ha tenuto a precisare che in tale concetto di rimproverabilità è implicata una forma nuova, normativa, di colpevolezza per omissione organizzativa e gestionale".
[3] V. Tribunale Trani sez. Molfetta cit.
[4] Circa il ruolo del sistema disciplinare ai fini del giudizio di idoneità del Modello Organizzativo, cfr. Tribunale Trani sez. Molfetta cit. secondo cui "il giudice deve valutarne in primo luogo l'idoneità, accertando se l'analisi dei rischi sia stata integrale, se le procedure tracciate spieghino la loro utilità sul piano preventivo e se il sistema sia caratterizzato dai meccanismi correttivi, affidati ad un organismo di controllo munito anche di poteri disciplinari efficaci". "Una volta stabilito che il modello adottato sia effettivamente idoneo, la valutazione deve essere spostata sulla fase della implementazione, ossia della attuazione e della verifica della sua concreta efficacia". In senso conforme, Trib. Milano ord. 9 novembre 2004 (ud. 20 settembre 2004).
[5] Il riferimento è tratto dalle Linee Guida per la costruzione di modelli di organizzazione, gestione e controllo – Parte Generale, ed. giugno 2021, p. 42.
[6] V. Linee Guida cit., p. 48: "Nell'ambito di questo procedimento di revisione dei processi e funzioni a rischio, è opportuno identificare i soggetti sottoposti all'attività di monitoraggio, tra cui possono rientrare anche coloro che siano legati all'impresa da meri rapporti di parasubordinazione (ad esempio gli agenti) o da altri rapporti di collaborazione, come i partner commerciali, nonché i dipendenti ed i collaboratori di questi ultimi. Sotto questo profilo, per i reati colposi di omicidio e lesioni personali commessi con violazione delle norme di tutela della salute e sicurezza sul lavoro, i soggetti sottoposti all'attività di monitoraggio sono tutti i lavoratori destinatari della stessa normativa".
[7] Sul tema v. Linee Guida cit., p. 73, secondo cui "un modello potrà dirsi attuato in modo efficace solo quando azionerà l'apparato disciplinare per contrastare comportamenti prodromici al reato".
[8] Sul punto, cfr. Cass. Pen. Sez. Un., 2 luglio 2008, n. 26654, secondo cui "il criterio d'imputazione del fatto all'ente è la commissione del reato "a vantaggio" o "nell'interesse" del medesimo ente da parte di determinate categorie di soggetti. V'è quindi una convergenza di responsabilità, nel senso che il fatto della persona fisica, cui è riconnessa la responsabilità anche della persona giuridica, deve essere considerato "fatto" di entrambe, per entrambe antigiuridico e colpevole, con l'effetto che l'assoggettamento a sanzione sia della persona fisica che di quella giuridica s'inquadra nel paradigma penalistico della responsabilità concorsuale. Pur se la responsabilità dell'ente ha una sua autonomia, tanto che sussiste anche quando l'autore del reato non è stato identificato o non è imputabile, è imprescindibile il suo collegamento alla oggettiva realizzazione del reato, integro in tutti gli elementi strutturali che ne fondano lo specifico disvalore, da parte di un soggetto fisico qualificato".
[9] Cfr. sul tema Cass. Pen. Sez. Un., 18 settembre 2014, n. 38343: "in tema di responsabilità da reato degli enti, i criteri di imputazione oggettiva, rappresentati dal riferimento contenuto nell'articolo 5 del Decreto Legislativo n. 231 del 2001 all'interesse o al vantaggio, sono alternativi e concorrenti tra loro, in quanto il criterio dell'interesse esprime una valutazione teleologica del reato, apprezzabile ex ante, cioè al momento della commissione del fatto e secondo un metro di giudizio marcatamente soggettivo, mentre quello del vantaggio ha una connotazione essenzialmente oggettiva, come tale valutabile ex post, sulla base degli effetti concretamente derivati dalla realizzazione dell'illecito".
Ancora, Cass. Pen. Sez. IV, 27 giugno 2019, n. 28097 che ha ribadito che "in tema di responsabilità degli enti derivante da reati colposi di evento commessi in violazione della normativa antinfortunistica, i criteri di imputazione oggettiva rappresentati dall'interesse e dal vantaggio ricorrono allorquando l'autore del reato abbia violato la normativa cautelare con il consapevole intento di conseguire un risparmio di spesa per l'ente, indipendentemente dal suo effettivo raggiungimento, o qualora abbia violato sistematicamente le norme antinfortunistiche, ricavandone oggettivamente un qualche vantaggio per l'ente, sotto forma di risparmio di spesa o di massimizzazione della produzione, indipendentemente dalla volontà di ottenere il vantaggio stesso".
V. altresì Trib. Bari sez. I, 1 giugno 2021, n. 1718 secondo cui "è necessario che le persone fisiche che hanno causalmente contribuito al verificarsi dell'evento lo abbiano fatto per assicurare un vantaggio all'ente, mentre nel caso in cui la violazione della normativa antinfortunistica nasca dal comportamento negligente di un dipendente che non perseguiva alcun obiettivo identificabile nel profitto o nel risparmio di spesa per la società, la persona fisica potrà essere ritenuta responsabile di omicidio colposo, ma ciò non determinerà una conseguente responsabilità amministrativa dell'Ente".
[10] In merito alla distinzione tra ATI di tipo "verticale" e "orizzontale", v. Cons. Stato Sez. V, 7.12.2017, n. 5772, secondo cui: "la distinzione tra a.t.i. orizzontali e a.t.i. verticali poggia sul contenuto delle competenze portate da ciascuna impresa raggruppata ai fini della qualificazione a una determinata gara: in linea generale, l'a.t.i. orizzontale è caratterizzata dal fatto che le imprese associate (o associande) sono portatrici delle medesime competenze per l'esecuzione delle prestazioni costituenti l'oggetto dell'appalto, mentre l'a.t.i. verticale è connotata dalla circostanza che l'impresa mandataria apporta competenze incentrate sulla prestazione prevalente, diverse da quelle delle mandanti, le quali possono avere competenze differenziate anche tra di loro, sicché nell'a.t.i. di tipo verticale un'impresa, ordinariamente capace per la prestazione prevalente, si associa ad altre imprese provviste della capacità per le prestazioni secondarie scorporabili".
[11] Il riferimento è a Cass. Pen. Sez. Un. 2 luglio 2008, n. 26654.
[12] V. Cass. Pen. Sez. Un. 2 luglio 2008, n. 26654, secondo cui "nel caso in esame, viene in considerazione un raggruppamento temporaneo di imprese, nel quale il legame tra le medesime si sostanzia in un rapporto contrattuale basato su un mandato con rappresentanza, gratuito e irrevocabile, conferito collettivamente da più imprese ad altra "capogruppo-mandataria" legittimata a compiere, nei rapporti con la stazione appaltante, ogni attività giuridica connessa all'appalto e produttiva di effetti giuridici direttamente nei confronti delle imprese mandanti sino all'estinzione del rapporto. Non costituendo l'associazione temporanea un nuovo e autonomo soggetto giuridico, ciascuna delle imprese che vi partecipano conserva la propria autonomia anche se, sotto il profilo civilistico, tutte sono solidalmente responsabili nei confronti dell'appaltante. Gli effetti positivi del rapporto d'appalto sono voluti e perseguiti non dall'una o dall'altra società coinvolta nell'operazione, ma da tutte le società del gruppo".
[13] Sul tema, cfr. Linee Guida cit., p. 48: "Nell'ambito di questo procedimento di revisione dei processi e funzioni a rischio, è opportuno identificare i soggetti sottoposti all'attività di monitoraggio, tra cui possono rientrare anche coloro che siano legati all'impresa da meri rapporti di parasubordinazione (ad esempio gli agenti) o da altri rapporti di collaborazione, come i partner commerciali, nonché i dipendenti ed i collaboratori di questi ultimi".
[14] Sul tema v. Tribunale Trani sez. Molfetta cit. che ha affermato che "il controllo dei rischi non può esaurirsi nell'ambito della struttura organizzativa ed aziendale della società in questione, ma deve essere esteso anche all'osservanza delle medesime regole da parte dei soggetti che entrano, direttamente o indirettamente, in contatto. Vista l'impostazione del depositato modello organizzativo e gestionale verso uno schema essenzialmente ed esclusivamente diretto a prevenire infortuni dei propri dipendenti o di soggetti presenti nel proprio ambiente, deve constatarsi che nel medesimo atto non sia stata prevista alcuna specifica procedura per assicurare il passaggio di informazioni sui rischi dei prodotti pericolosi nelle relazioni commerciali con altre società che potrebbero essere chiamate, anche per il tramite di altri affidatari, ad operare servizi di qualunque genere nell'interesse della medesima società". Tali principi, applicati alla fattispecie concreta posta all'esame del Tribunale hanno condotto ad affermare che "Non consta la basilare previsione di protocolli operativi atti a garantire una attività di controllo preventivo dell'esistenza dei presidi antinfortunistici e del loro corretto uso negli impianti aziendali di terzi… non risulta neanche la previsione di strumenti atti a garantire simili risultati di generale sicurezza sul lavoro, ad esempio con l'obbligo di inserimento di clausole contenenti sanzioni contrattuali a carico di terzi che potrebbero essere inadempimenti rispetto agli obiettivi comuni prefissi oppure con l'adozione negoziale di poteri ispettivi sull'andamento delle attività nelle aziende esterne, onde verificare direttamente l'osservanza delle norme di prevenzione, specificamente concernenti il lavoro affidato. Difettano per un verso una specifica responsabilizzazione per tali importanti profili e, per altro verso, l'identificazione puntuale dei soggetti deputati al rispetto di regole precauzionali e dunque assoggettabili a sanzioni disciplinari da parte dell'organismo di vigilanza".
[15] V. Linee Guida cit., p. 74, secondo cui "per rendere vincolanti nei confronti dei terzi contraenti i principi etico-comportamentali attesi e legittimare l'applicazione di eventuali misure in caso di loro violazione o mancata attuazione, occorre inserire nel contratto apposite clausole, volte a prevedere la dichiarazione della controparte di astenersi dal porre in essere comportamenti che possano integrare una fattispecie di reato contemplata dal decreto 231, nonché l'impegno a prendere visione delle misure definite dall'ente (ad es. Modello, Codice Etico), al fine di promuovere anche l'eventuale definizione di ulteriori e più efficaci strumenti di controllo".
[16] V. Linee Guida cit., p. 74: "Ė, in ogni caso, opportuno precisare che, qualora si richiedano alla controparte comportamenti o condotte previsti dal proprio modello organizzativo, è fondamentale che tali prescrizioni siano messe a conoscenza della controparte. Non è infatti pensabile richiedere a terzi di attenersi a principi e misure non debitamente oggetto di pubblicità".
[17] V. Linee Guida cit., p. 74: "La clausola, così come sopra strutturata, potrebbe essere utilmente integrata con la previsione di rimedi (quali ad esempio la sospensione o la risoluzione del contratto) volti a sanzionare le violazioni degli obblighi assunti".

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