Penale

Con la riforma penale un forte «filtro» sul patteggiamento

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di Alessandro Diddi

La riforma penale (legge 103/2017) ha dato un ulteriore giro di vite ai già angusti limiti per accedere in Cassazione. Dal 3 agosto del 2017 le doppie conformi di proscioglimento non possono più essere impugnate in sede di legittimità, se non nei casi previsti dall’articolo 608, comma 1-bis, del Codice di procedura penale (eccesso di potere del giudice, inosservanza o erronea applicazione della legge penale o violazione di norme processuali a pena di nullità, inutilizzabilità, inammissibilità e decadenza) e la possibilità per la “parte” di sottoscrivere personalmente gli atti di ricorso è stata abolita (613 Cpp).

Un’altra previsione, che ha già trovato molteplici applicazioni, è quella che introduce ulteriori limiti alla ricorribilità per Cassazione delle sentenze di patteggiamento. A seguito della riforma, infatti, le sentenze ex articolo 444 Cpp possono essere impugnate per Cassazione solo per motivi attinenti all’espressione della volontà dell’imputato, al difetto di correlazione tra la richiesta e la sentenza, all’erronea qualificazione giuridica del fatto o all’illegalità della pena o della misura di sicurezza (articolo 448, comma 2-bis, Cpp).

Le recenti pronunce della Suprema corte chiamate ad attuare il nuovo regime hanno utilizzato il dettato delle norme per sostenere (sulla base del principio del ubi voluit dixit) l’impossibilità di eccepire dinanzi alla Corte la mancata motivazione in ordine alla sussistenza delle cause di proscioglimento ex articolo 129 Cpp, nonostante la loro obbligatoria rilevabilità, ai sensi dell’articolo 444 Cpp, da parte del giudice del merito.

Orientamenti rigorosi
Peraltro, anche in relazione ai motivi rispetto ai quali il ricorso sarebbe a stretto rigore ammissibile (perché rientrante nel perimetro del nuovo articolo 448, comma 2-bis), le prime applicazioni assecondano orientamenti rigorosi.

Così, con riguardo al controllo sulla corretta qualificazione giuridica del fatto – che costituisce il fulcro attorno al quale di regola si sviluppa la funzione nomofilattica esercitata dalla Corte di cassazione – si è osservato che non può trovare ingresso nel giudizio di legittimità la generica denuncia dell’erronea qualificazione giuridica, in quanto essa può essere rilevata solo se dipendente da errori valutativi (di diritto) causati da evidenti sviste del giudice e risultanti in maniera palese dal provvedimento impugnato (si veda la sentenza di Cassazione 15553/2018).

Anche in relazione al sindacato sulla formazione del consenso dell’imputato, la Corte (si veda la sentenza 15557/2018) ha ritenuto incensurabile l’accordo raggiunto tra Pm e difensore, anche qualora tale accordo non rispecchi quanto richiesto dall’imputato (come nel caso in cui l’accordo non recepisca la richiesta di concessione nella massima estensione delle circostanze attenuanti generiche).

L’impatto sui processi
Il nuovo corso inciderà sulla speditezza dei processi, soprattutto se si considera che le cause di inammissibilità dei ricorsi, in queste ipotesi, ai sensi del comma 5-bis (sempre introdotto dalla legge Orlando) dell’articolo 610, sono rilevate senza formalità di procedura: il che significa che la Corte decide senza contraddittorio, fuori udienza e con decisione avverso la quale potrà essere proposto, ricorrendone le condizioni, ricorso straordinario ex articolo 625-bis Cpp.

È significativo che le decisioni richiamate configurino la compressione dell’area del controllo demandato alla Cassazione quale conseguenza inevitabile dell’ammissione di responsabilità implicita nella richiesta di patteggiamento (ricostruzione, quest’ultima, per la verità, mai pacifica in letteratura).

Ancora, sempre secondo la Corte, l’applicazione concordata della pena postula anche la rinuncia dell’imputato a far valere eventuali nullità, diverse da quelle relative alla richiesta di patteggiamento e al consenso a essa prestato (sentenza 17434/2018) e ad eccepire il mancato riconoscimento della particolare tenuità del fatto (sentenza 43874/2016).

L’impostazione seguita dalla Corte consegue l’obiettivo del restringimento del perimetro cognitivo del giudizio di legittimità a favore della complessiva efficienza del sistema. Tale apprezzabile risultato, tuttavia, finisce col disconoscere la portata oggettiva della garanzia posta dalla Costituzione a fondamento dell’incondizionata ricorribilità per violazione di legge di tutte sentenze.

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