Concordato, la rinuncia non blocca il Pm
La Cassazione accoglie il ricorso dei curatori
La rinuncia al concordato preventivo non impedisce al pubblico ministero di chiedere comunque la dichiarazione di fallimento se ravvisa atti di frode. La Cassazione (sentenza 27936) accoglie il ricorso dei curatori, contro il verdetto con il quale la Corte d’appello aveva revocato il fallimento di una società, dichiarato dal Tribunale, su richiesta del Pm. Iniziativa che la pubblica accusa aveva preso in sede di udienza di discussione, nella quale la società, dopo aver rinunciato al concordato, aveva presentato una nuova domanda, mettendo così in atto, ad avviso dei giudici, un abuso del potere del debitore. La Suprema corte, censura la conclusione raggiunta dalla Corte d’appello, secondo la quale la rinuncia, che non richiede l’adozione di forme particolari, sarebbe stata immediatamente efficace anche senza accettazione delle parti, facendo così venire meno la legittimazione del Pm.
La Cassazione chiarisce invece che il passo indietro della società non paralizza l’iniziativa de Pm in caso di atti di frode. È vero, sottolinea la Cassazione, che la rinuncia alla proposta di concordato ha come effetto la dichiarazione di improcedibilità ma questo non comporta in automatico la fine degli effetti della domanda. Con la conseguenza che la richiesta di fallimento da parte del Pm, dopo la rinuncia del debitore e prima della dichiarazione di improcedibilità del Tribunale, conserva la sua efficacia oltre tale dichiarazione. E si pone come valida iniziativa per una successiva dichiarazione di fallimento.