Penale

Concorrenza, c’è il reato se le minacce ostacolano le scelte dell’imprenditore

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di Patrizia Maciocchi

L’illecita concorrenza con violenza e minaccia, scatta quando gli atti, commessi nell’esercizio di un’attività commerciale, industriale o comunque produttiva, sono tali da contrastare od ostacolare la libertà di autodeterminazione dell’impresa concorrente. Questa la decisione, presa dalle Sezioni unite della Corte di cassazione, anticipata da un’informazione provvisoria, in attesa delle motivazioni . A rimettere gli atti al Supremo consesso era stata la terza sezione penale per dirimere un contrasto segnalato più volte dal massimario.

I dubbi riguardavano il perimetro applicativo dell’articolo 513-bis del Codice penale. Le Sezioni unite sono state chiamate a chiarire se la norma reprime solo le condotte tipicamente concorrenziali, come disegnate dall’articolo 2598 del Codice civile, “rafforzate” dalla violenza o dalla minaccia, oppure se il raggio d’azione si estende anche agli atti intimidatori comunque idonei ad impedire al concorrente di autodeterminarsi nella propria attività imprenditoriale.

Secondo un primo indirizzo, basato su un’interpretazione letterale, l’elemento oggettivo del reato starebbe nella sola repressione delle condotte illecite tipicamente concorrenziali e competitive, come il boicottaggio, lo storno dei dipendenti, il rifiuto di contrattare ecc. Azioni tutte commesse con violenze e minacce utili a inibire la normale dialettica imprenditoriale. Mentre non rientrerebbero nella fattispecie le intimidazioni finalizzate a ostacolare e contrastare la libera concorrenza di altri, ma al di fuori dell’attività concorrenziale. È il caso, ad esempio di un’aggressione diretta ai beni dell’imprenditore “rivale” o della sua persona, rispetto ai quali sono configurabili reati diversi da quello analizzato dai giudici.

Una tesi che guarda alla ratio della norma di tutela della libera concorrenza.

Per il secondo orientamento invece è sufficiente l’uso della violenza e della minaccia, tale da impedire al concorrente di autodeterminarsi nello svolgere la sua attività commerciale, industriale o comunque produttiva. Il delitto c’è dunque, ed è questa la tesi abbracciata dalle Sezioni unite, con tutti i comportamenti attivi e impeditivi dell’altrui concorrenza, commessi da un imprenditore con violenza o minaccia che falsano il mercato e consentono di raggiungere, in danno al minacciato, posizioni di vantaggio sul libero mercato, che non dipende dalla sue capacità operative. Una conclusione che fa leva sull’intento del legislatore di reprimere le forme di intimidazione legate ala criminalità organizzata specialmente di stampo mafioso, per un altro verso l’interpretazione fa leva sul Codice civile che, oltre ai casi tipici di concorrenza sleale parassitaria o attiva, contiene una norma di chiusura secondo la quale sono concorrenza sleale tutti i comportamenti contrari ai principi di correttezza professionale che danneggiano le altre aziende. Da qui l’inserimento nella fattispecie esaminata non solo delle condotte tipicamente concorrenziali, ma anche tutte le intimidazioni che hanno lo scopo di ostacolare la libertà di concorrenza.

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