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Condominio, soltanto annullabile la delibera che viola i criteri di ripartizione delle spese

Lo hanno chiarito le Sezioni unite, sentenza n. 9839 depositata oggi, affermando che la nullità consegue solo se la delibera modifica anche per il futuro i criteri legali

di Francesco Machina Grifeo

Non è nulla ma soltanto annullabile la delibera condominiale che ripartisca le spese in modo difforme rispetto alle previsioni codicistiche senza tuttavia modificare "in astratto e per il futuro i criteri legali di ripartizione delle spese". Lo hanno stabilito le Sezioni unite, sentenza n. 9839 depositata oggi, respingendo il ricorso di un condomino contro il decreto ingiuntivo emesso nei suoi confronti per il pagamento di un terzo dei lavori di rifacimento del lastrico solare (in sua proprietà di cui però contestava l'uso esclusivo).

Per la Cassazione, dunque, trattandosi di deliberazioni meramente annullabili, il ricorrente avrebbe dovuto esercitare l'azione di annullamento nei modi e nei tempi previsti dall'articolo 1137 cod. civ. (e cioè impugnando la delibera e chiedendone l'annullamento nel termine perentorio di trenta giorni). Invece, non avendo esercitato l'azione di annullamento, mediante la proposizione di apposita domanda riconvenzionale nel giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo, i giudici di merito correttamente hanno ritenuto non scrutinabile la dedotta invalidità.

La Corte territoriale, prosegue la Cassazione, pur emanando un dispositivo corretto ha però errato nel ritenere non sindacabili in toto le delibere sotto il profilo della nullità e della annullabilità. «Nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo emesso per la riscossione di contributi condominiali – spiega infatti la Cassazione -, il giudice può sindacare sia la nullità, dedotta dalla parte o rilevata d'ufficio, della deliberazione assembleare posta a fondamento dell'ingiunzione, sia l'annullabilità di tale deliberazione, a condizione che quest'ultima sia dedotta in via di azione - mediante apposita domanda riconvenzionale di annullamento contenuta nell'atto di citazione in opposizione - ai sensi dell'art. 1137, secondo comma, cod. civ. nel termineperentorio ivi previsto, e non in via di eccezione».

Del resto, spiega la sentenza, diversi elementi depongono in questo senso. In primis, l'opposizione a decreto ingiuntivo apre un ordinario giudizio di cognizione sulla domanda proposta dal creditore il cui oggetto non è dunque limitato alle condizioni di validità ed ammissibilità ma si estende all'accertamento dei fatti costitutivi del diritto in contestazione. In secondo luogo, vi sono ragioni di economia processuale che spingono ad evitare la moltiplicazione dei giudizi.

È invece inammissibile, continua il principio di diritto, "l'eccezione con la quale l'opponente deduca l'annullabilità della deliberazione assembleare posta a fondamento dell'ingiunzione, senza chiedere una pronuncia di annullamento di tale deliberazione", e tale inammissibilità va rilevata e dichiarata d'ufficio dal giudice. L'eccezione infatti paralizza solo la domanda altrui senza sollecitare la cancellazione delle delibera così però portando ad una risultato "in contrasto con le esigenze di funzionamento del condominio", e rendendo, nel caso di riparto delle spese, "impossibile la gestione della contabilità".

Passando alla diversa questione del tipo di invalidità che inficia le decisioni condominiali, la Cassazione ricorda che la preoccupazione del Legislatore è stata quella di garantire la "certezza dei rapporti giuridici di una entità così complessa" arrivando ad un favor verso la stabilità delle delibere condominiali che sono valide finché non rimosse dal giudice, non prevedendosi neppure ipotesi di nullità (1137 c.c.) delle stesse, perché così verrebbero esposte ad azioni senza limiti di tempo. Ciò tuttavia non vuol dire che la categoria sia da ritenersi completamente espunta conservando "una estensione del tutto residuale", rispetto alla annullabilità, per quelle ipotesi di "vizi talmente radicali da privare la deliberazione di cittadinanza nel mondo giuridico".

Così, con un ulteriore principio di diritto, la Suprema corte ha chiarito che "sono affette da nullità, deducibile in ogni tempo da chiunque vi abbia interesse, le deliberazioni dell'assemblea dei condomini che mancano ab origine degli elementi costitutivi essenziali, quelle che hanno un oggetto impossibile in senso materiale o in senso giuridico - dando luogo, in questo secondo caso, ad un "difetto assoluto di attribuzioni" - e quelle che hanno un contenuto illecito, ossia contrario a "norme imperative" o all''ordine pubblico" o al "buon costume".

"Al di fuori di queste ipotesi – prosegue la sentenza -, le deliberazioni assembleari adottate in violazione di norme di legge o del regolamento condominiale sono semplicemente annullabili e l'azione di annullamento deve essere esercitata nei modi e nei termine di cui all'art. 1137 cod. civ.»;

Tornando dunque al punto controverso, per il massimo consesso di legittimità «sono nulle le deliberazioni con le quali, a maggioranza, siano stabiliti o modificati i generali criteri di ripartizione delle spese previsti dalle legge o dalla convenzione, da valere per il futuro, trattandosi di materia che esula dalle attribuzioni dell'assemblea previste dall'art. 1135, numeri 2) e 3), cod. civ. e che è sottratta al metodo maggioritario».
«Sono, invece, meramente annullabili le deliberazioni aventi ad oggetto la ripartizione in concreto tra i condomini delle spese relative alla gestione delle parti e dei servizi comuni adottate senza modificare i criteri generali previsti dalla legge o dalla convenzione, ma in violazione degli stessi, trattandosi di deliberazioni assunte nell'esercizio delle dette attribuzioni assembleari, che non sono contrarie a norme imperative, cosicché la relativa impugnazione va proposta nel termine di decadenza previsto dall'art. 1137, secondo comma, cod. civ.».

Infine, i giudici, con un ulteriore principio, affermando che: «La mancata comunicazione alla parte costituita, a cura del cancelliere - ai sensi dell'art. 176, secondo comma, cod. proc civ -, dell'ordinanza istruttoria pronunciata dal giudice fuori dell'udienza provoca la nullità dell'ordinanza stessa e la conseguente nullità, ai sensi dell'art, 159 cod. proc. civ., degli atti successivi dipendenti, a condizione che essa abbia concretamente impedito all'atto il raggiungimento del suo scopo, nel senso che abbia provocato alla parte un concreto pregiudizio per il diritto di difesa». «Se la parte invece abbia comunque avuto conoscenza dell'udienza fissata per la prosecuzione del processo ed abbia partecipato ad essa senza dedurre specificamente l'eventuale pregiudizio subito per il diritto di difesa e senza formulare istanze dirette ad ottenere il rinvio dell'udienza, la nullità deve ritenersi sanata per raggiungimento dello scopo dell'atto, ai sensi dell'art. 156, terzo comma, cod. proc. civ.».

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