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Contratti a consumo: la previsione di costi extrainteressi a carico del consumatore può essere clausola abusiva

Sta al giudice nazionale verificare se la non corrispondenza alle prestazioni rese dal mutuante crea un indebito squilibrio

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di Paola Rossi

La Cgue, con la sentenza sulla causa C-321/22, ha ribadito in primis che in base alla direttiva sulle clausole abusive nei contratti con i consumatori scatta l’illegittimità delle stesse se si determina un significativo squilibrio tra diritti e obblighi delle parti contraenti in danno del consumatore.

Il caso a quo
Il caso a quo sottoposto al giudizio della Corte Ue proviene dal giudice polacco chiamato a dirimere la lite instaurata da tre persone alle quali, in base alla stipula di contratti a consumo, veniva imposto di corrispondere, oltre alla somma presa a prestito maggiorata degli interessi, anche spese e commissioni aggiuntive. Tali costi “extrainteressi” del credito venivano contestati come molto elevati, essendo pari a diverse decine di punti percentuali degli importi erogati a prestito. Da ciò i ricorrenti chiedevano che fossero dichiarate abusive e quindi prive di effetti le clausole che stabilivano tali importi aggiuntivi extrainteressi. Inoltre, due di tali contratti, prevedevano che i rimborsi del credito fossero da corrispondere esclusivamente in contanti a un agente del mutuante presso il domicilio dei mutuatari. Anche tale clausola veniva impugnata come abusiva.

Il rinvio pregiudiziale
Il giudice a quo ha domandato alla Cgue se le clausole relative ai costi di credito extrainteressi possano essere qualificate come abusive per il solo fatto che questi siano manifestamente eccessivi rispetto alla prestazione fornita dal professionista. E, infine, se il contratto possa persistere in caso vengano dichiarate nulle le disposizioni che impongono un rimborso in presenza presso il domicilio del consumatore.

L’interpretazione della Cgue
Nella sua risposta, la Corte ricorda che una clausola contrattuale è considerata abusiva se determina un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi delle parti contraenti, a danno del consumatore. E dice che un tale squilibrio può derivare dal solo fatto che i costi extrainteressi posti a carico del consumatore siano manifestamente sproporzionati rispetto all’importo concesso in prestito e ai servizi forniti in cambio alla concessione e alla gestione di un credito.
Ma, in linea generale, il carattere abusivo delle singole clausole può essere valutato solo nel caso in cui queste non mirino a definire l’oggetto principale del contratto o a riferirsi alla perequazione del prezzo o della remunerazione rispetto ai servizi forniti. E, in caso di risposta negativa, il giudice nazionale deve valutare se la legislazione nazionale gli consenta, in quanto normativa che garantisce un livello di tutela più elevato,di procedere a una siffatta valutazione.

Conclude la Cgue spiegando infine, che qualora il giudice nazionale invalidi una clausola che imponga il rimborso presso il domicilio del consumatore perché ciò consente al mutuante di esercitare una pressione illegittima, il contratto può essere giudicato ineseguibile ossia interamente nullo. Se però l’elemento abusivo di una clausola siffatta è separabile dal resto del suo contenuto la sua soppressione può bastare a ristabilire l’equilibrio reale tra le parti del contratto. E in tal caso il consumatore potrà scegliere qualsiasi metodo di pagamento tra quelli ammessi dal diritto nazionale.

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