Società

Crisi d’impresa, la scommessa di soluzioni celeri

In vigore le norme varate nel 2019 e più volte rinviate e modificate. Recepita anche la direttiva Insolvency

di Niccolò Abriani e Marina Spiotta

Con l’entrata in vigore, oggi, venerdì 15 luglio, del Codice della crisi non soltanto scompare dal nostro ordinamento il termine «fallimento» nelle sue varie declinazioni (non avremo più sezioni, giudici o curatori «fallimentari»), ma si inaugura un nuovo scenario per i risanamenti aziendali.

La netta soluzione di continuità rispetto al passato è resa evidente dalla previsione che fissa in 12 mesi la durata complessiva delle misure protettive accordabili all’impresa in crisi fino all’omologazione del quadro di ristrutturazione o all’apertura della procedura d’insolvenza.Soluzione in tempi rapidi

La regola delle misure protettive con durata massima di 12 mesi, imposta dalla direttiva Insolvency e già presente nella versione originaria del Codice, è destinata a rappresentare un convitato di pietra di ogni decisione relativa alla scelta dello strumento di ristrutturazione e al momento in cui attivarlo, sollecitando uno scarto culturale rispetto alla prassi odierna, nella quale tra la domanda prenotativa e l’omologazione del tribunale intercorre un arco temporale che va ben oltre la cornice protettiva accordabile in base alla nuova norma. In questa prospettiva acceleratoria, centrale è il ruolo degli organi di amministrazione e controllo delle società nel verificare l’adeguatezza degli assetti dell’impresa ai fini della tempestiva percezione dei segnali di crisi.

La composizione negoziata

L’abbandono della procedura di allerta inizialmente prevista dal Codice del 2019, non fa venire meno i doveri di puntuale attivazione degli strumenti di contrasto alla crisi, primo tra tutti la composizione negoziata. Sotto la direzione del professionista-esperto questo percorso costituisce la premessa per estendere più agevolmente ai creditori non aderenti gli accordi di ristrutturazione e per accedere, in caso di insuccesso, al concordato semplificato liquidatorio. Inoltre impone a banche e cessionari dei crediti bancari l’obbligo di partecipare alle trattative in modo attivo e informato, dando riscontri in tempi rapidi e impedendo di invocare l’accesso alla composizione negoziata come causa di revoca o sospensione degli affidamenti concessi.

Le due strade

Oltre a confermare la composizione negoziata, il Codice delinea una sistematica inedita sul cui sfondo si colloca il macroinsieme degli “strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza”, che ricomprende anche le procedure di risoluzione concordata della crisi puramente liquidatorie. La parte del leone è però assegnata ai quadri di ristrutturazione preventiva, categoria che rappresenta l’assoluta protagonista del Codice e nella quale rientrano il concordato preventivo con continuità aziendale, gli accordi di ristrutturazione con continuità aziendale e il nuovo piano di ristrutturazione omologato (pro). Sullo sfondo rimane il secondo sottoinsieme degli strumenti di carattere liquidatorio, rappresentati dal concordato semplificato liquidatorio, dagli accordi di ristrutturazione non in continuità (che potrebbero anche avere efficacia estesa, sia pure solo nei confronti dei creditori bancari o finanziari), dal concordato “ordinario” liquidatorio e, naturalmente, dalla liquidazione giudiziale (l’erede del fallimento cui è dedicata la metà degli articoli del Codice).

La relative priority rule

Questa bipartizione determina una divaricazione tra il concordato liquidatorio e il concordato con continuità. A quest’ultimo sono riservati quorum agevolati per l’approvazione, la sanzione di inefficacia delle clausole risolutive collegate all’avvio della procedura e la relative priority rule che permette di destinare i proventi della continuazione oltre i tradizionali limiti del rispetto della cause legittime di prelazione, indirizzando questi surplus a favore di determinati creditori, anche se quelli di rango poziore non sono stati integralmente soddisfatti, con una maggiore elasticità che permetterà di prospettare soluzioni sino ad oggi non percorribili, sebbene oggettivamente preferibili per i creditori e per gli stessi soci.

La distinzione è ulteriormente accentuata dai diversi requisiti di accesso: nel concordato liquidatorio si conferma la soglia minima di soddisfazione dei creditori chirografari e l’obbligo di apportare risorse aggiuntive tali da incrementare l’attivo a disposizione dei creditori; nel concordato con continuità, per contro, va verificata unicamente l’assenza di pregiudizio per i creditori, perdendo ogni rilievo la circostanza che vi siano beni non strategici da liquidare o che il numero dei dipendenti destinati a rimanere in organico sia inferiore alla metà di quelli originari.

La prova sul campo

Soltanto la prassi potrà saggiare l’effettiva utilità e rilevanza delle novità. Si pensi al “non spossessamento attenuato” che connota il nuovo piano di ristrutturazione omologato, permettendo una più agevole gestione dell’impresa durante il percorso di ristrutturazione, in contrapposizione allo “spossessamento attenuato” che caratterizza, sin dalla fase prenotativa, concordato preventivo e accordi di ristrutturazione, dove rimane necessaria l’autorizzazione giudiziale per gli atti di straordinaria amministrazione e altre operazioni indicate dalla legge.

Non meno rilevanti sono le evoluzioni che ciascuno dei quadri di ristrutturazione preventiva potrà avere nelle crisi dei gruppi di società, che da oggi potranno essere affrontate con procedure unitarie o tra loro coordinate caratterizzate da regole innovative, con inedite possibilità di trasferimenti di risorse intragruppo, sulle quali saranno quasi sempre competenti i tribunali nei quali ha sede la sezione specializzata in materia di imprese. Restano alcuni temi sul tappeto, a partire dalla formazione dei magistrati impegnati in questa materia, che la Commissione Pagni ha ritenuto opportuno rinviare per una più approfondita riflessione anche a seguito di interlocuzioni con il Csm e la Scuola Superiore della Magistratura. Rimangono altresì alcuni tasselli per completare il nuovo quadro normativo, come l’aggiornamento del decreto dirigenziale emanato a settembre 2021 per l’operatività della composizione negoziata. Se non può escludersi che nei prossimi due anni (questo il tempo concesso dalla legge 20/2019) il Codice subirà ancora qualche aggiustamento, la cornice normativa è ormai chiara.

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