Deaccessioning e l'Italia
In Italia attualmente è vigente il Codice dei beni culturali e del Paesaggio, il quale è l'evoluzione della precedente normativa emanata nel 1939 e della definizione di demanio culturale prevista nel codice civile del 1942.
Il recente dibattito riguardante la richiesta di restituzione di opere e manufatti artistici particolarmente pregiati (si pensi ai marmi del Partenone e ai bronzi di Benin) da parte dei cd. paesi di origine nei confronti di paesi ex colonialisti quali il Regno Unito e la Francia ha sollevato delicate questioni non solo morali ed etiche ma anche di puro diritto civile.
D'altra parte, anche in Italia, è sempre più avvertita l'esigenza che le collezioni museali possano non solo essere arricchite con nuove acquisizioni ma anche essere "liberate" di opere che, per esempio per motivi storico – artistici o per dubbi legati alle attribuzioni o alla provenienza, sono ritenute non più meritevoli di appartenere ai patrimoni museali.
L' attuale situazione sanitaria collegata alla pandemia e la conseguente crisi economica, inoltre, ha spinto numerose istituzioni museali, soprattutto statunitensi, a considerare l'ipotesi delle dismissioni, anche in relazione all'alternativa tra tutela dei dipendenti e dei posti di lavoro e tutela dei patrimoni.
Negli Stati Uniti e in altri paesi di common law, le dismissioni sono possibili in quanto gran parte delle collezioni sono detenute in trust fund e in particolare nelle Charities.
Questo significa in particolare che l'alienazione e la cessione può avvenire, sempre che, in applicazione della dottrina del cy-près e della publi trust theory, il ricavato della vendita sia destinato all'acquisizione di nuove opere per la collezione. Ciò comunque non ha impedito abusi ed eccessi, che hanno richiesto dei correttivi.
Al contrario, nei paesi di civil law attualmente il principale problema consiste nel fatto che i beni culturali appartengono al demanio dello stato e sono dichiarati inalienabili dalla legislazione vigente. L'origine di questa concezione si fa risalire al periodo della rivoluzione francese, quando si è consolidata la nozione di beni pubblici ed è sorta l'esigenza della tutela del patrimonio artistico nazionale.
In Italia attualmente è vigente il Codice dei beni culturali e del Paesaggio, il quale è l'evoluzione della precedente normativa emanata nel 1939 e della definizione di demanio culturale prevista nel codice civile del 1942.
Questo codice definisce agli articoli 2 e 10 la nozione di patrimonio culturale includendo non solo i beni di appartenenza pubblica tradizionalmente ascritti al demanio culturale (quali ad esempio gli immobili e i monumenti di riconosciuto pregio artistico e le collezioni presso le pinacoteche e i musei pubblici) ma anche i beni mobili e immobili che presentano interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico appartenenti allo Stato e agli enti territoriali che siano opera di autore non più vivente e la cui esecuzione risalga a oltre settant'anni; questi beni, dunque, appartengono al demanio anche prima della procedura amministrativa che accerta la loro "culturalità". Sono infine considerati culturali anche i beni privati cd. "vincolati" ossia di cui si sia accertata la valenza culturale.
Tutti questi beni, dunque, hanno un regime di circolazione assai restrittivo e in certi casi sono considerati inalienabili.
In Francia, dove la situazione dell'appartenenza dei beni culturali è analoga, sono state presentate varie proposte di legge per rendere possibile, in determinate situazioni, la vendita delle opere appartenenti al demanio, proposte che però non hanno trovato attuazione. Più recentemente, il Presidente Macron ha dichiarato che avrebbe restituito opere appartenenti al Regno di Benin, con la conseguenza che sarà necessario procedere alla sdemanializzazione di queste opere.
D'altra parte, diverse associazioni museali, tra le quali l'ICOM attraverso il Codice Etico, da tempo hanno preso in considerazione il tema delle dismissioni, cercando un punto di equilibrio tra le varie esigenze ma in generale biasimando l'utilizzo dei proventi delle cessioni per coprire i costi di funzionamento dei musei; più recentemente tuttavia associazioni quali l'American Alliance of Museums (AAM) e la Association of Art Museum Directors (AAMD) hanno preso posizione riguardo al fenomeno delle cessioni in relazione alla attuale crisi sanitaria e economica derivante dalla pandemia.
Quest'ultima associazione, in particolare, ha dichiarato che per due anni non emanerà sanzioni nei confronti di musei che useranno i proventi delle cessioni per coprire le spese legate al funzionamento dei musei stessi.
In Italia è da tempo dibattuto il tema della dismissione e privatizzazione del patrimonio immobiliare pubblico al fine di ridurre il debito pubblico e varie iniziative, anche legislative, si sono succedute a riguardo; il tema del deaccessioning tuttavia, sembra discostarsi da questa prospettiva e va correttamente inquadrato nell'ambito della tutela stessa del patrimonio culturale, della sua sopravvivenza e della sua valorizzazione, nonché nell'ambito di una concezione di arte e cultura, rispettosa della produzione artistica di paesi ex colonie, da molti considerata più moderna.
*Marta Cenini, professore e avvocato, DLA Piper