Esercizio arbitrario o estorsione, conta l’ingiusto profitto e non il movente
La Cassazione, sentenza n. 46097 depositata oggi, afferma due principi di diritto
La Cassazione traccia la differenza tra i delitti di concorso in estorsione e in quello di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, indicando come elemento dirimente, per la partecipazione del terzo, la realizzazione o meno di un ingiusto profitto con danno altrui, senza invece dare peso al semplice movente. Ed aggiungendo che il terzo risponde del reato meno grave anche nel caso in cui sia stato ingannato dal creditore.
La Seconda sezione penale, sentenza n. 46097 depositata oggi, ha così accolto con rinvio per una rivalutazione dell’elemento psicologico, il ricorso dei due imputati condannati dalla Corte di appello di Palermo a quattro anni di reclusione per concorso in estorsione aggravata per avere, su mandato della proprietaria, con violenza e minaccia, costretto di conduttori di un appartamento a lasciarlo libero (per una sola notte in quanto poi erano tornati). Il giudice di secondo grado aveva invece valorizzato l’elemento della presunta retribuzione (5mila euro), mai provato, o comunque quello del successivo profitto legato alla possibilità di avere un mandato a vendere l’immobile una volta liberatolo.
La Suprema corte ricorda che, secondo il recente orientamento delle Sezioni Unite, il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza o minaccia alle persone e quello di estorsione si differenziano tra loro in relazione all’elemento psicologico. Nel primo, l’agente persegue il conseguimento di un profitto nella convinzione non meramente astratta ed arbitraria, ma ragionevole, anche se in concreto infondata, di esercitare un suo diritto, ovvero di soddisfare personalmente una pretesa che potrebbe formare oggetto di azione giudiziaria; nel secondo, l’agente persegue il conseguimento di un profitto nella piena consapevolezza della sua ingiustizia.
Per quanto riguarda il concorso del terzo nel reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, esso è configurabile nei soli casi in cui questi si limiti ad offrire un contributo alla pretesa del creditore, senza perseguire alcuna diversa ed ulteriore finalità.
Ma deve altresì certamente escludersi che l’interesse proprio del terzo concorrente nel fatto di cui all’articolo 393 cod.pen. che vale a trasformare l’azione nella più grave condotta di estorsione possa essere individuato nel solo movente della condotta. Devono invece essere presenti un ingiusto profitto con altrui danno e cioè gli elementi costitutivi del delitto di estorsione altrimenti mancanti nella fattispecie di esercizio arbitrario.
Applicando il principio al caso in esame, la somma di 5mila euro non fu mai richiesta ai conduttori e la stessa Corte di merito la indica come “il provento di un eventuale mandato”. Essa dunque rappresentava “una possibile ma assolutamente remota e futura possibilità di guadagno, e non anche l’oggetto di una precisa pattuizione tale da determinare la più grave qualificazione giuridica”. Sul punto dunque la decisione deve essere annullata.
Ma la Cassazione va oltre e affronta l’ipotesi in cui la pretesa del proprietario sia infondata ma venga presentata coma legittima al terzo esecutore. Ebbene in questo caso “non può escludersi la possibile qualificazione giuridica dei fatti in capo al terzo quale esercizio arbitrario proprio perché lo stesso ha agito nella convinzione dell’esercizio di un diritto in capo al titolare-mandante”. Il creditore-istigatore dell’azione, invece, risponderà di estorsione.
E così nel caso in cui il proprietario locatore abbia incaricato un terzo di sfrattare con violenza e minaccia il conduttore, rappresentando al terzo medesimo l’inesistenza o comunque l’invalidità del titolo per il possesso dell’immobile, l’esecutore materiale dell’azione, che agisce nella convinzione di esercitare il diritto del proprietario, potrà rispondere ex articolo 47 secondo comma cod.pen. del delitto di cui all’articolo 393 cod.pen., mentre, il proprietario, ove attuatore dell’inganno, risponderà viceversa ex articolo 48 cod.pen. del più grave delitto di estorsione, avendo il dolo tipico dell’articolo 629 cod.pen., perché consapevole del danno altrui e del proprio ingiusto profitto.
Escluso il rilievo decisivo del movente, la Corte di appello dovrà dunque procedere ad una analisi della situazione soggettiva sottesa all’azione degli stessi, e cioè se essi appaiono avere agito nella errata rappresentazione dell’inesistenza di qualsiasi titolo delle persone offese ad occupare quell’appartamento ovvero se avessero anch’essi, al momento dell’azione criminosa, la consapevolezza dell’esistenza del titolo locatizio che legittimava la permanenza all’interno dell’immobile. Nel primo caso, i ricorrenti potrebbero essere chiamati a rispondere soltanto del delitto di esercizio arbitrario mentre, nel secondo, concorrerebbero nel fatto estorsivo del proprietario.
È dunque interessante sottolineare come vi sia la possibilità di diversità di titoli di reato in un caso di concorso nel medesimo fatto. In dottrina si è infatti affermato che “si concorre nel fatto e non nel reato”. E ancora che l’identità del fatto “non implica necessariamente l’identità del reato di cui sono chiamati a rispondere i concorrenti, dovendosi ammettere la pluralità dei titoli di reato in correlazione all’elemento psicologico di ciascun partecipe”.
Alla luce delle predette considerazioni, pertanto, il giudice del rinvio dovrà procedere ad analizzare il profilo soggettivo delle diverse condotte poste in essere dai proprietari mandanti dell’azione e dai ricorrenti esecutori materiali, tenendo ben saldi i seguenti principi di diritto:
“In caso di concorso del terzo nel delitto di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, l’interesse proprio del terzo che vale a determinare la più grave qualificazione giuridica ai sensi dell’art. 629 cod. pen. deve essere individuato in un ingiusto profitto con danno altrui senza che rilievo assuma il movente dell’azione criminosa”.
“Ai sensi della disciplina dettata dagli artt. 47 e 48 cod.pen. ove il terzo esecutore abbia posto in essere l’azione incriminata sulla base della falsa materiale rappresentazione della realtà determinata dall’inganno perpetrato dal creditore o dal titolare del diritto, del reato più grave, l’estorsione, risponde l’istigatore autore dell’inganno (ex art. 48 cod.pen.) e del fatto meno grave, l’esercizio arbitrario, risponde l’esecutore materiale ai sensi del secondo comma dell’art. 47 cod.pen.”.