Responsabilità amministrativa per danno erariale, riserva di amministrazione e insindacabilità delle scelte discrezionali
Il contributo è tratto dal Dossier Diritto "Responsabilità amministrativa per danno erariale e contratti derivati", agg. Marzo 2022, a cura della Redazione PlusPlus24 Diritto
Il contributo è tratto dal Dossier Diritto "Responsabilità amministrativa per danno erariale e contratti derivati" , agg. Marzo 2022, a cura della Redazione PlusPlus24 Diritto
L'illecito contabile
L'illecito contabile, avente - storicamente - il proprio referente normativo nell'articolo 82 del regio decreto 18 novembre 1923, n. 2440, si compone, dal punto di vista strutturale, dell'elemento oggettivo (consistente in un comportamento umano - indifferentemente - commissivo od omissivo, cui sia riconducibile, in virtù di un nesso di causalità, un danno alla Pubblica Amministrazione) e dell'elemento soggettivo (consistente nel requisito psicologico).
Il bene giuridico leso è costituito dal patrimonio pubblico, nel cui ambito rientra anche «l'insieme di beni ed utilità economicamente apprezzabili, che siano a disposizione e in uso alla collettività, e nei cui confronti lo Stato o l'ente territoriale assume l'obbligo di tutela».
Il danno c.d. erariale costituisce, tradizionalmente, il presupposto dell'azione di responsabilità amministrativa e, nel contempo, l'oggetto della pretesa risarcitoria, intendendosi tale, in termini generali, il depauperamento che il patrimonio dell'Erario subisce in ragione della condotta illecita del pubblico agente.
Con due importanti decisioni risalenti agli anni 70 del secolo scorso la Prima Sezione Giurisdizionale della Corte dei conti ha fornito una nozione di danno erariale non più nel «senso ragionieristico di turbativa degli elementi del conto patrimoniale», ma nel senso di «danno pubblico» collettivo, da intendersi come «turbativa di quei beni che appartengono alla collettività organizzata dello Stato».
La tutela delle risorse pubbliche è stata attuata mediante il riconoscimento della responsabilità c.d. amministrativa, la cui cognizione è riservata al Giudice contabile, fonte di un'obbligazione risarcitoria di contenuto patrimoniale gravante sul soggetto cui è demandata la gestione di dette risorse e discendente ex lege dalla produzione di un danno a carico dello Stato o di altro ente od organismo pubblico, che sia causalmente riconducibile ad azioni od omissioni commesse nell'esercizio, da parte dell'agente, dei propri obblighi di servizio.
In ragione del sempre più frequente operare della Pubblica Amministrazione al di fuori degli schemi del regolamento di contabilità di Stato e tramite soggetti in essa non organicamente inseriti si è assistito - con riguardo alla dimensione della giurisdizione contabile - a una progressiva valorizzazione del dato oggettivo della provenienza pubblica delle risorse rispetto alla natura del soggetto danneggiante, il quale - sulla base di principi di diritto ormai assurti a ius receptum - può essere pubblico o privato, interno o esterno all'apparato della Pubblica Amministrazione (Cfr. ex multis Cass. civ., Sez. Un., 1 marzo 2006, n. 4511, 22 settembre 2014, n. 19891 e 27 dicembre 2017, n. 30978.).
Ne è conseguita un'estensione della categoria dei soggetti passibili di responsabilità amministrativa per danno erariale tale da includere anche soggetti non ricompresi nell'apparato amministrativo, rispetto ai quali l'elemento costitutivo-strutturale del rapporto di servizio, rectius della relazione funzionalizzata di servizio è configurabile tutte le volte in cui il soggetto, persona fisica o giuridica, benché estraneo all'apparato amministrativo pubblico, si trovi a essere investito, anche de facto, dello svolgimento, in modo continuativo, di una determinata attività in favore del soggetto pubblico, con conseguente inserimento nell'organizzazione di quest'ultimo e assunzione di vincoli e obblighi funzionali ad assicurare il perseguimento delle esigenze generali, cui l'attività medesima, nel suo complesso, è preordinata (Cfr. ex multis Cass. civ., Sez. Un., n. 3165, 3 luglio 2009, 9 febbraio 2011, n. 15599 e 22 settembre 2014, n. 19891.).
La profilazione del soggetto ritenuto passibile, nonostante l'estraneità rispetto alla Pubblica Amministrazione, di responsabilità amministrativa per danno erariale, sostanzialmente assimilabile all'intraneus, è stata opera della Corte regolatrice della giurisdizione, secondo il cui pacifico orientamento deve trattarsi di un soggetto che - a prescindere dalla relativa natura privatistica, ritenuta irrilevante - sia incaricato di svolgere, nell'interesse del soggetto pubblico e con risorse di pertinenza del medesimo, un'attività o un servizio pubblico in sua vece, incarico che ne comporta l'inserimento nell'apparato organizzativo della Pubblica Amministrazione, del cui operato diviene compartecipe.
Il titolo giuridico attributivo dell'attività gestoria è ritenuto - al pari della natura del soggetto affidatario dell'incarico - irrilevante, potendo consistere, indifferentemente, «in un rapporto di pubblico impiego o di servizio, in una concessione amministrativa, in un contratto e perfino mancare del tutto, potendo il relativo rapporto modellarsi secondo gli schemi generali previsti e disciplinati dalla legge, ovvero discostarsene in tutto o in parte» (Cass. civ., Sez. Un., 30 agosto 2019, n. 21871. Conformi ex multis Cass. civ., Sez. Un., 12 aprile 2019, n. 10376, 1 aprile 2020, n. 7640 e 14 settembre 2020, n. 19086.).
La configurabilità dell'extraneus in termini di «"agente dell'amministrazione pubblica", in ragione del temporaneo rapporto di servizio pubblico», ne comporta - in caso di danno riconducibile alla violazione degli obblighi afferenti all'attività di gestione al medesimo demandata - l'assoggettamento all'azione erariale di responsabilità, rientrante nella competenza giurisdizionale della Corte dei conti ( Cfr. Cass. civ., Sez. Un., 10 gennaio 2019, n. 486.).
La riserva di amministrazione e l'insindacabilità delle scelte discrezionali
Con riferimento alla responsabilità dei soggetti sottoposti alla giurisdizione della Corte dei conti l'articolo 1 della legge 14 gennaio 1994, n. 20 sancisce «l'insindacabilità nel merito delle scelte discrezionali».
Il merito amministrativo, quale oggetto di apposita riserva (c.d. riserva di amministrazione), attiene alla «scelta alla stregua di criteri di opportunità - e, quindi, di parametri non giuridici - delle modalità di azione della Pubblica Amministrazione in vista della realizzazione degli interessi affidati dalla legge alle sue cure» ( Cass. civ., Sez. Un., 2 aprile 2007, n. 8097.).
La previsione dell'esimente della discrezionalità, inserita in sede di modifica del citato articolo, è intesa a salvaguardare dal sindacato della Corte dei conti l'esercizio, da parte dei pubblici amministratori, del potere discrezionale a essi attribuito e costituisce (manifesta) espressione del bilanciamento tra gli interessi riconosciuti dall'ordinamento e l'esigenza di evitare un'indebita compressione delle prerogative riconosciute alle Autonomie territoriali.
Quanto all'ubi consistam dell'esimente e al connesso rischio di travalicamento, da parte della Corte dei conti, dei limiti esterni alla propria giurisdizione, secondo la giurisprudenza di legittimità l'articolo 1 della legge n. 20 del 1994 deve essere posto in correlazione con i principi generali dell'attività amministrativa sanciti dall'articolo 1 della legge 7 agosto 1990, n. 241, tra i quali spiccano, per l'indubbio rilievo, i criteri di economicità e di efficacia, ai quali l'agire amministrativo deve ispirarsi (Cfr. ex multis Cass. civ., Sez. Un., 6 marzo 2020, n. 6462): il criterio di economicità, inteso quale diretta attuazione del canone costituzionale ed eurounitario di buona amministrazione, vincola la Pubblica Amministrazione all'uso accorto e immune da sprechi delle risorse pubbliche, traducendosi nell'obbligo di perseguimento degli obiettivi assegnati con il minor dispendio di mezzi personali, finanziari e procedimentali; il criterio di efficacia indica il rapporto tra risultati ottenuti e obiettivi prestabiliti ed esprime l'esigenza che la Pubblica Amministrazione adotti tutte le misure che appaiono idonee al conseguimento dei propri fini.
I criteri di economicità e di efficacia «costituiscono specificazione del più generale principio sancito dall'art. 97 Cost. e assumono rilevanza sul piano della legittimità (non della mera opportunità) dell'azione amministrativa» (Cass. civ., Sez. Un., 29 settembre 2003, n. 14488. Conforme ex multis Cass. civ., Sez. Un., 13 maggio 2020, n. 8848.).
La riserva di amministrazione, intesa come «preferenza tra alternative, nell'ambito della ragionevolezza, per il soddisfacimento dell'interesse pubblico» ( Cass. civ., Sez. Un., 28 giugno 2018, n. 17121.), ove le scelte discrezionali da valutare siano state compiute da soggetti sottoposti alla giurisdizione contabile, «non comporta che esse siano sottratte ad ogni possibilità di controllo, e segnatamente a quello della conformità alla legge che regola l'attività amministrativa» (Cass. civ., Sez. Un., 22 novembre 2019, n. 30527.): alla Corte dei conti compete non solo la verifica della compatibilità delle scelte amministrative con i fini pubblici, ma anche il controllo di ragionevolezza sulle modalità di attuazione della scelta discrezionale in termini di rapporto tra costi sostenuti e obiettivi conseguiti ( Cfr. ex multis Cass. civ., Sez. Un., n. 1448/2003 cit., 2 aprile 2007, n. 8097, 9 luglio 2008, n. 18757, 13 giugno 2011, n. 12902, 23 gennaio 2012, n. 831 e 15 marzo 2017, n. 6820.).
Il sindacato della Corte dei conti «deve estendersi alle singole articolazioni dell'agire amministrativo, escludendone soltanto quelle in relazione alle quali la legge attribuisce all'amministrazione - riconducendone l'agire discrezionale al principio di legalità - una scelta elettiva fra diversi comportamenti, negli stretti limiti di tale attribuzione» ( Cass. civ., Sez. Un., 28 marzo 2006, n. 7024.).
Pertanto, il Giudice contabile non travalica il limite esterno della propria giurisdizione in tutte le ipotesi in cui lo scrutinio verta non sull'opportunità o sulla convenienza di una determinata scelta amministrativa, ma sull'economicità di un atto amministrativo avente effetti sull'attività di spesa della Pubblica Amministrazione, dovendo le scelte elettive dei pubblici amministratori conformarsi ai criteri di legalità, nonché «a quelli giuridici di economicità (ottimizzazione dei risultati in relazione alle risorse disponibili), di efficacia (idoneità dell'azione amministrativa alla cura effettiva degli interessi pubblici da perseguire, congruenza teleologi[c]a e funzionale) e di buon andamento» ( Cass. civ., Sez. Un., 28 giugno 2018, n. 17121.).
La responsabilità amministrativa degli intermediari finanziari e degli amministratori pubblici tra giurisdizione contabile e riserva di amministrazione
• La posizione degli intermediari finanziari
La Corte regolatrice della giurisdizione ha delineato, mediante l'enunciazione di principi di diritto oramai assurti a ius receptum, un quadro caratterizzato da un esito dicotomico: al fine dell'individuazione della natura (amministrativa o privatistica) della responsabilità imputabile agli intermediari finanziari e dell'Autorità giudiziaria (contabile od ordinaria) dotata della relativa competenza giurisdizionale assume rilevanza dirimente il dato dell'abdicazione nel senso della rinuncia, seppur momentanea, dell'ente territoriale alle proprie funzioni.
Per il radicamento della giurisdizione del Giudice contabile è ritenuto imprescindibile l'elemento dell'investitura dell'intermediario di una funzione pubblicistica, investitura idonea a comportare un effetto sostanzialmente sostitutivo delle valutazioni e delle decisioni demandate all'ente territoriale in ordine alle scelte di gestione del debito pubblico e di negoziazione di contratti in strumenti di finanza derivata.
Ne consegue la declinatoria, da parte della Corte dei conti, della propria giurisdizione nei casi di (accertata) insussistenza di una relazione funzionalizzata di servizio tra l'intermediario e l'ente territoriale in virtù della quale possa ritenersi avvenuto l'inserimento funzionale - benché temporaneo - dell'intermediario all'interno del processo decisionale di competenza dell'ente pubblico ( Cfr. C. conti, Sez. reg. giur. Basilicata, 20 gennaio 2022, n. 2.).
La pretesa risarcitoria azionata dal P.M. contabile, ove attinente a profili (non di natura erariale, ma) privatistici, in quanto collegata a una condotta causativa di danno posta in essere in violazione di obblighi contrattuali o precontrattuali, si inserisce nell'ambito di una relazione negoziale tra le parti, la quale, in quanto tale, è foriera di una responsabilità diversa da quella amministrativa, rientrante nella competenza giurisdizionale (non della Corte dei conti, ma) dell'Autorità giudiziaria ordinaria.
Come efficacemente statuito di recente dai Giudici contabili, al fine dell'affermazione della giurisdizione contabile è necessaria «un'investitura di funzioni pubbliche per lo svolgimento in modo continuativo di un'attività retta da regole proprie dell'azione amministrativa» ovvero, in altri termini, «una relazione funzionale tra la società e l'amministrazione pubblica che implichi la partecipazione del soggetto privato alla gestione di risorse pubbliche e il suo conseguente assoggettamento ai vincoli e agli obblighi volti ad assicurare la corretta gestione di quelle risorse» ( C. conti Basilicata n. 2/2022 cit.)
• La posizione degli amministratori pubblici
Ferma restando la doverosità per il Giudice contabile dell'apprezzamento dell'adeguatezza - rispetto ai fini di interesse pubblico perseguiti - degli strumenti utilizzati dai pubblici amministratori, la Corte dei conti ha di recente proceduto all'enucleazione dei parametri tramite i quali circoscrivere l'ambito applicativo della riserva di amministrazione di cui all'articolo 1, comma 1, della legge n. 20 del 1994 e ritenuto che la norma de qua «non impedisce il vaglio degli atti compiuti dal convenuto sotto l'aspetto funzionale della loro congruenza rispetto ai fini imposti in via generale o specifica dal legislatore» ( C. conti Basilicata n. 2/2022 cit.) e «non preclude, nel giudizio contabile, la valutazione delle scelte discrezionali che, eccedendo i limiti della ragionevolezza, sconfinino nell'arbitrio e siano perciò viziate d'illegittimità per eccesso di potere» (C. conti Basilicata n. 2/2022 cit.).
In realtà, detta disposizione «consente la piena sindacabilità delle scelte discrezionali quando si sia agito in contrasto con prescrizioni dell'ordinamento e l'opzione scelta disattenda in modo palese canoni di razionalità e di adeguatezza funzionale» ( C. conti Basilicata n. 2/2022 cit.).
In estrema sintesi, al Giudice contabile compete la valutazione sul modo di attuazione della scelta amministrativa del decisore politico: esula dall'ambito della riserva di amministrazione l'azione di responsabilità con la quale si faccia valere la mala gestio nell'attuazione delle modalità operative adottate a valle delle scelte (insindacabili) del decisore politico.
Permane, cioè, «il sindacato sulla ragionevolezza e sulla congruità della scelta amministrativa», dovendo essere esclusa la responsabilità degli amministratori pubblici esclusivamente nell'ipotesi in cui abbiano tenuto «una condotta rispondente a criteri di sufficiente ponderazione e razionalità, rilevabili dalla comune esperienza amministrativa» ( C. conti Basilicata n. 2/2022 cit.): nel caso in cui «non siano ravvisabili profili di manifesta irrazionalità, abnormità, illogicità, incoerenza o incongruenza, la scelta amministrativa non è censurabile in sede contabile» ( C. conti Basilicata n. 2/2022 cit.).