Penale

Giorgio Spangher: «Processo in tempi ragionevoli»

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di Valentina Maglione e Bianca Lucia Mazzei

«Il processo non deve per forza essere breve. Deve però avere una durata ragionevole». E per Giorgio Spangher, professore emerito di procedura penale alla Sapienza di Roma, nel misurare la «ragionevole durata» occorre valutare diverse variabili.

Quali?

Intanto, i reati non sono tutti uguali. E il loro peso è diverso da zona a zona. Un abuso edilizio a Cortina è una mostruosità. A Napoli è molto meno grave.

Questo cosa significa?

Il Codice di procedura penale del 1988 ha tentato di condizionare per legge i tempi del processo. Ma è un’illusione perché ogni reato ha una sua storia. Può capitare che il colpevole di un omicidio venga scoperto subito e che si debba indagare a lungo per individuare gli autori di un furto, che è un reato molto meno grave. Poi c’è un altro problema.

Quale?

Quello di dove si deve formare la prova. Il Codice di procedura penale è stato scritto pensando che il dibattimento fosse il luogo in cui formare la prova. Poi però la Corte costituzionale, con le sentenze del 1992, ha fatto cadere il divieto di utilizzare nel dibattimento le dichiarazioni rese nelle indagini preliminari. Una novità che ha di fatto cambiato la struttura processuale e che ha contribuito a dilatare i tempi delle indagini preliminari.

Come ridurre la durata allora?

In primo luogo eliminando i tempi morti, anche migliorando l’organizzazione del personale amministrativo, al netto delle carenze di organico. E poi adottando il principio della trasparenza dell’azione penale: occorre individuare dei criteri di priorità per le indagini. A stabilirli potrebbe essere il procuratore generale, d’intesa con gli altri procuratori del distretto. Attenzione, però: non si tratta di decidere che su alcuni reati non si indaga, ma solo che ci sono reati su cui si indaga prima.

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