Penale

Giudicato penale nel processo tributario: la Cassazione esclude ogni automatismo

Il giudice tributario può legittimamente fondare il proprio convincimento sulle prove acquisite nel giudizio penale purché proceda ad una propria ed autonoma valutazione degli elementi probatori

di Alessandra Martuscelli*, Enrico Di Fiorino**


Con la recentissima pronuncia in commento, la Cassazione civile, sezione tributaria, ha ribadito il principio di diritto, ormai divenuto tralatizio, per il quale "non può essere attribuita autorità di cosa giudicata alla sentenza penale irrevocabile emessa in materia di reati fiscali, anche se i fatti esaminati siano i medesimi".

Si è altresì specificato che "il contribuente assolto in sede penale per non aver commesso il fatto o perché il fatto non sussiste può comunque essere ritenuto responsabile ai fini fiscali quando l'atto impositivo si fondi su indizi validi, i quali sarebbero insufficienti ai fini di un giudizio di responsabilità penale ma idonei ai fini di quello tributario".

Nel caso di specie, l'Agenzia delle Entrate aveva proposto ricorso avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Campania che, confermando la sentenza del giudice di primo grado, aveva rigettato l'appello dell'Ufficio avverso l'annullamento dell'avviso di accertamento notificato al contribuente, con il quale era stato rideterminato il suo reddito di partecipazione nella società, quale socio di fatto.

In particolare, la CTR si era limitata a confermare le statuizioni di primo grado, invocando la pregiudiziale penale che aveva escluso la prova del coinvolgimento del contribuente nella compagine sociale. Gli Ermellini hanno cassato la sentenza e rinviato il giudizio alla Commissione Tributaria Regionale della Campania, in diversa composizione, evidenziando alcuni principi che meritano di essere ripercorsi.

In primo luogo, si è evidenziato come "la sentenza penale irrevocabile di assoluzione dal reato tributario, emessa con la formula "perché il fatto non sussiste", non spiega automaticamente efficacia di giudicato nel processo tributario, ancorché i fatti accertati in sede penale siano gli stessi per i quali l'Amministrazione Finanziaria ha promosso l'accertamento nei confronti del contribuente, ma può essere presa in considerazione come possibile fonte di prova dal giudice tributario, il quale, nell'esercizio dei propri poteri di valutazione, deve verificarne la rilevanza nell'ambito specifico in cui detta decisione è destinata ad operare" (Cass. Pen., sez. V, n. 5820/2007; Cass. Civ., sez. trib., n. 10578/2015; Cass. Civ., sez. trib., n. 17258/2019).

La Corte ricorda, inoltre, che "la motivazione di una sentenza può essere redatta per relationem rispetto a quella di un'altra decisione, anche se non passata in giudicato, purché riproduca i contenuti mutuati e li renda oggetto di un'autonoma valutazione critica, così consentendo la verifica della compatibilità logico - giuridica del rinvio" (Cass. Civ., sez. VI, n. 5209/2018).

Da ultimo, la Suprema Corte precisa che "l'imputato assolto in sede penale, anche con formula piena, per non aver commesso il fatto o perché il fatto non sussiste, può essere ritenuto responsabile fiscalmente qualora l'atto impositivo risulti fondato su validi indizi, insufficienti per un giudizio di responsabilità penale, ma adeguati, fino a prova contraria, nel giudizio tributario" (cfr. Cass. Pen., sez. II, n. 8129/2012; Cass. Civ., sez. VI, n. 16262/2017; Cass. Civ., sez. VI, n. 28174/2017).

Il rapporto tra procedimenti

Tanto premesso in ordine al caso in esame e ai principi espressi, appare utile ripercorrere – in termini più generali – l'evoluzione della disciplina dei rapporti tra processo penale e procedimento tributario.

Per oltre cinquanta anni, tali rapporti sono stati regolati sulla base della c.d. pregiudiziale tributaria: l'azione penale poteva aver corso solo dopo che l'accertamento dell'imposta e della relativa sovraimposta fosse divenuto definitivo a norma delle leggi regolanti tale materia.

Tale criterio, finalizzato a subordinare l'instaurazione del processo penale alla definizione del procedimento tributario, se da un lato scongiurava la possibilità di un contrasto di giudicati in ordine agli stessi fatti, dall'altro si traduceva in una evidente compromissione dell'autonomia valutativa del giudice penale.

Del resto, tale vincolatività fu dichiarata incostituzionale (cfr. sentenza n. 88/1982) per violazione sia del diritto di difesa sia del principio di parità del trattamento, oltre che dell'art. 101, secondo comma Cost., volto a garantire l'indipendenza funzionale, in base al quale il giudice è soggetto soltanto alla legge.

Il sistema della pregiudiziale venne definitivamente abbandonato con la c.d. legge "manette agli evasori" (legge n. 516/1982). In particolare, con l'art. 12 della predetta legge si è previsto che "in deroga a quanto disposto dall'articolo 3 c.p.p., il processo tributario non può essere sospeso; tuttavia la sentenza irrevocabile di condanna o di proscioglimento pronunciata in seguito a giudizio relativo a reati previsti in materia di imposte sui redditi e di imposta sul valore aggiunto ha autorità di cosa giudicata nel processo tributario per quanto concerne i fatti materiali che sono stati oggetto del giudizio penale". Si consacrava così, per quanto attiene alla relazione tra giudizio tributario e processo penale, il principio di autonomia e di separazione delle giurisdizioni: la sentenza di condanna o di proscioglimento avrebbe potuto avere autorità nel processo tributario con riferimento ai fatti materiali oggetto del giudizio penale, senza però che il processo tributario venisse sospeso.

Da ultimo, i rapporti tra le due differenti giurisdizioni hanno trovato una compiuta disciplina nel d.lgs. n. 74/2000, con cui il legislatore ha nuovamente disciplinato i rapporti tra procedimento penale e processo tributario alla luce del principio di specialità, riconfermando il principio della piena e reciproca autonomia tra i due sistemi, e l'esclusione di qualsiasi rapporto di pregiudizialità.

Con la predetta novella, infatti, è stato abrogato esplicitamente il menzionato art. 12 e vietata la sospensione del procedimento tributario in pendenza di un procedimento penale (così l'art. 20 d.lgs. n. 74/2000).

L'art. 654 c.p.p. e l'efficacia del giudicato penale

Oggi, come noto, la norma che disciplina l'efficacia del giudicato penale nel procedimento tributario è l'art. 654 c.p.p., ai sensi del quale la sentenza penale irrevocabile di assoluzione o di condanna fa stato nel processo civile ed amministrativo (nonché tributario) solo nei confronti di soggetti che abbiano formalmente partecipato al processo penale (limite soggettivo), sempre che i fatti ivi accertati siano stati ritenuti rilevanti ai fini della decisione penale e purché la legge civile non ponga limitazioni alla prova della posizione soggettiva controversa (limiti oggettivi).

Proprio la differente connotazione, in punto di raccolta e valutazione delle prove, ha condotto la dottrina e la giurisprudenza ad affermare il principio della non automatica efficacia vincolante del giudicato penale sul processo tributario, anche qualora i fatti esaminati siano gli stessi.

Le limitazioni alla prova pongono, dunque, il problema (di natura fisiologica, stante l'accoglimento del principio guida del doppio binario) del possibile contrasto tra giudicati.
In materia, il Ministero delle Finanze, nella propria circolare n. 154/2000, aveva ammesso la possibilità che il giudicato penale facesse stato nel processo tributario nella sola ipotesi in cui la pronuncia del giudice penale non avesse – nel caso specifico – impiegato prove non ammesse nel processo tributario (fra tutti, si consideri che l'art. 7, comma 4 d.lgs. n. 546/1992 statuisce che "non sono ammessi il giuramento e la prova testimoniale").

Tale tentativo di salvare l'efficacia del giudicato penale in sede tributaria, attraverso l'analisi del singolo caso, non appare condivisibile, incontrando un ostacolo proprio nella lettera dell'art. 654 c.p.p. Si deve, tuttavia, riconoscere come appaiono condivisibili le ragioni, logiche e di opportunità, per cui potrebbe essere riconosciuta efficacia vincolante ad una decisione del magistrato penale, laddove il giudizio si sia fondato esclusivamente su mezzi di prova di natura documentale.

Gli orientamenti della Corte di Cassazione

In ogni caso, come più volte specificato dagli Ermellini "il risultato raggiunto in sede penale non rappresenta qualcosa di completamente avulso dal gravame tributario" (cfr. Cass. Civ., sez. trib., n. 12577/2000). Il giudice tributario, infatti, può legittimamente fondare il proprio convincimento sulle prove acquisite nel giudizio penale, purché proceda ad una propria ed autonoma valutazione degli elementi probatori.

Al riguardo, si deve evidenziare che la struttura e la finalità del contenzioso tributario, volto ad accertare la sussistenza e l'entità dell'obbligazione tributaria, di spiccata rilevanza pubblicistica, mal si conciliano con un'efficacia vincolante del giudicato conseguito in sede penale, che può essere valutato, dunque – ai fini del libero convincimento del giudice ex art. 116 c.p.c. – solo come elemento a carattere presuntivo ed indiziario, necessariamente da porsi a confronto, come anticipato, con tutti gli elementi probatori acquisiti agli atti (sul punto: Cass. Civ., sez. trib., n. 19786/2011).

In altri termini, il giudice tributario non può passivamente rilevare l'esistenza di una sentenza penale definitiva in materia di reati fiscali, recependone acriticamente le conclusioni assolutorie ma deve – nell'esercizio dei propri poteri di valutazione della condotta delle parti e del materiale probatorio acquisito agli atti – procedere all'apprezzamento del contenuto della decisione, ponendola a confronto con gli elementi di prova acquisiti al giudizio.

Tanto è vero che la Corte di Cassazione, in un'ottica di sempre maggiore responsabilizzazione del giudice tributario, si è spinta fino ad affermare che "anche la sentenza di patteggiamento ex art. 444 c.p.p. costituisce indiscutibile elemento di prova per il giudice tributario il quale, ove intenda disconoscere tale efficacia probatoria, ha il dovere di spiegare le ragioni per cui l'imputato avrebbe ammesso una sua insussistente responsabilità ed il giudice penale abbia prestato fede a tale ammissione" (per tutte: Cass. Civ., sez. trib., n. 24587/2010).

Peraltro, il quadro probatorio complessivo emerso in sede penale potrà costituire fonte di prova sotto un profilo meramente oggettivo dell'accertamento dei fatti materiali: di conseguenza, non sarà invece vincolante per il giudice tributario la valutazione espressa del giudice penale sulla qualificazione giuridica dell'atto in termini di invalidità (sub specie di annullabilità o nullità del provvedimento amministrativo).

L'efficacia del giudicato tributario nel giudizio penale

Infine, sempre con riferimento all'interconnessione tra i due procedimenti in esame, è utile osservare come – allo stesso modo – il giudice penale non sia vincolato alle determinazioni assunte dall'amministrazione finanziaria e dal giudice tributario.

Per esempio, ai fini del superamento della soglia di punibilità per i reati tributari, si è affermato come il giudice possa legittimamente avvalersi dell'accertamento, anche induttivo, dell'imponibile compiuto dagli uffici finanziari (cfr. Cass. Pen, sez. III, n. 32490/2018), potendo tale accertamento rappresentare un valido elemento di indagine per stabilire, anche in sede penale, se vi sia stata evasione e se questa abbia raggiunto le soglie di punibilità previste dalla legge.

Tuttavia, questo è possibile, sempre che il giudice proceda ad un'autonoma valutazione degli elementi indicati, potendo egli rilevare il quantum evaso con le (diverse) regole del rito penale, compresa la prova testimoniale, attraverso una verifica che può, quindi, anche contraddire quella raggiunta dinanzi al giudice tributario (cfr. Cass. Pen., sez. III, n. 12050/2020).

D'altra parte, il giudicato tributario potrà valere come uno degli elementi valutabili dal giudice penale, alla luce dell'art. 238-bis c.p.p., il quale consente l'acquisizione di sentenze irrevocabili come prova documentale nell'ambito del processo penale e la loro conseguente valutazione critica, alla luce degli artt. 187 e 192, comma terzo c.p.p. Per quanto attiene alle sentenze non definitive, è invece opportuno far riferimento ad una pronuncia del Supremo Collegio secondo cui "le sentenze, come qualsiasi atto valutativo, possono considerarsi documenti ed essere utilizzati come prova, solo per i fatti documentali in esse rappresentati e non per il fatto documentato" (cfr. Cass. Pen., sez. III, n. 10258/1999).

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