Civile

Gli accordi di ristrutturazione non sono procedure concorsuali

di Sergio Locoratolo

La Cassazione ha recentemente affermato che gli accordi di ristrutturazione vanno considerati come una vera e propria «procedura concorsuale» (sentenze 1182/2018 e 9087/2018).

La Suprema corte ha però anche definito in modo innovativo la nozione di procedura concorsuale, fissandone i requisiti essenziali:

- esistenza di un’ interlocuzione con l’autorità giudiziaria, con finalità quantomeno “protettive” (nella fase iniziale) e di controllo (nella fase conclusiva);

- coinvolgimento formale di tutti i creditori quantomeno a livello informativo;

- una qualche forma di pubblicità.

L’assimilazione dell’accordo di ristrutturazione a una procedura concorsuale deriverebbe inoltre da una sostanziale parificazione del predetto accordo al concordato preventivo, quasi in un rapporto di interscambiabilità e/o fungibilità legittimata dalla legge.

Sul punto occorre però rilevare che mentre il concordato preventivo è più volte definito dalla legge fallimentare come procedura (articoli 161, 163, 181 ), l’articolo 182-quater sempre della legge fallimentare utilizza il termine “procedura” solo con riferimento al concordato preventivo e non all’accordo.

I tre requisiti
La nuova elaborazione della Cassazione ha inoltre quasi totalmente superato i tre requisiti (universalità oggettiva, universalità soggettiva e rispetto della par condicio creditorum) su cui si basava la tradizionale nozione di “procedura concorsuale”. E non potrebbe essere diversamente, dal momento che, negli accordi di ristrutturazione, il criterio della universalità oggettiva è ampiamente derogabile, potendo il debitore non utilizzare integralmente il proprio patrimonio per soddisfare i creditori. Quanto, poi, alla par condicio, non vi è alcuna norma che ne imponga l’obbligo. Il punto è che gli accordi di ristrutturazione hanno diversa natura non solo rispetto alle procedure concorsuali previste dalla legge fallimentare, ma anche rispetto a quelle ad essa estranee, come l’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi.

Tutte queste procedure, infatti, contemplano il primato del controllo dell’autorità (giudiziaria e/o amministrativa) e non possono che fondarsi sul principio della parità di trattamento dei creditori. È la struttura stessa di tali procedimenti, organizzati per fasi connesse e consequenziali, a pretendere l’applicazione necessaria del principio della par condicio. Queste procedure, infatti, si sviluppano lungo un percorso standardizzato, nel quale la soddisfazione di “tutti” i creditori con “tutto” il patrimonio dell’imprenditore si realizza attraverso scansioni rigidamente disciplinate.

Gli accordi di ristrutturazione
Negli accordi di ristrutturazione, invece, l’autorità giudiziaria si limita a verificare la legittimità dei singoli atti negoziali, il raggiungimento delle maggioranze e a certificare l’esistenza delle risorse patrimoniali atte a soddisfare integralmente i soli creditori “estranei”. I singoli accordi conclusi dal debitore sono rimessi alla mera volontà e agli interessi delle parti.

La discrezionalità assoluta concessa all’imprenditore sembra quindi negare in radice agli accordi di ristrutturazione la qualifica di procedura “concorsuale”, ovvero di procedura che regolamenta l’equa e proporzionale ripartizione del patrimonio. Sembra, dunque, più appropriato continuare a definire l’accordo di ristrutturazione come un mero strumento negoziale di composizione della crisi, piuttosto che onerarlo della ben più impegnativa e complessa qualifica di procedura concorsuale.

* Docente di Diritto commerciale all’Università di Foggia e componente del comitato tecnico-scientifico dell’Istituto per il governo societario (Igs)

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