Civile

Gli illeciti fiscali non bloccano l’esdebitazione

L’ordinanza 15359/2023 della Cassazione: il giudice non può escludere la meritevolezza solo in base a una gestione aziendale connotata da violazioni tributarie

di Patrizia Maciocchi

Gli illeciti fiscali commessi dalla società molto prima del fallimento non precludono l’esdebitazione. Il giudice non può, infatti, escludere il requisito della meritevolezza solo sulla base di una gestione aziendale connotata da illeciti tributari. La Cassazione (ordinanza 15359/2023) accoglie il ricorso di un socio illimitatamente responsabile di una Snc, contro il fallimento dichiarato dal Tribunale - e confermato dalla Corte d’Appello - che aveva considerato non possibile l’esdebitazione per l’assenza del requisito di meritevolezza e per l’irrisoria percentuale di soddisfazione dei creditori, ferma al 2% per i soli privilegiati.

Ma la Suprema corte dà ragione fallito su entrambi i punti. Gli illeciti fiscali contestati - che risalivano a sette e nove anni prima di un fallimento non aperto su ricorso dell’Amministrazione finanziaria - non rientrano nel perimetro tracciato dalla legge fallimentare. La norma (articolo 142 primo comma), quanto alla meritevolezza, tipizza le condotte che precludono l’accesso all’istituto. Il semaforo rosso scatta per la distrazione dell’attivo o l’esposizione di passività inesistenti, per il dissesto cagionato o aggravato rendendo difficile la ricostruzione del patrimonio e per il ricorso abusivo al credito. Lo stesso articolo considera preclusive le condanne per bancarotta fraudolenta o per i delitti contro l’economia pubblica, l’industria e il commercio o compiuti nell’esercizio dell’attività di impresa, salvo riabilitazione. Nello specifico, per i «gravi e perduranti illeciti tributari», non erano state riscontrate responsabilità personali del ricorrente, né richiamate ulteriori sanzioni del curatore o del comitato dei creditori per assenza di cooperazione con gli organi della procedura.

La Suprema corte ricorda che la direttiva Ue Insolvency (2019/1023) lascia una via strettissima per derogare alle ipotesi indicate. In nome del favor debitoris e del discharge of debt, che impronta il diritto dell’Unione, il margine di manovra degli Stati membri per negare o limitare l’accesso all’esdebitazione, si riduce a condotte personali dell’imprenditore «disoneste o in malafede ai sensi del diritto nazionale», o a casi ben definiti.

Quanto alla percentuale di soddisfazione dei creditori, la valutazione di irrisorietà fatta in sede di merito, è il frutto di un raffronto tra il solo attivo distribuito e il passivo totale dei fallimenti (società e tre soci) senza tenere conto del valore dell’attivo fallimentare acquisito, superiore al realizzato, e ancora di più di quello che restava per il pagamento dei privilegiati, con somme molto alte consumate in prededuzione in una procedura che era durata 13 anni. E la Suprema corte, conti alla mano, invita a considerare che, combinando in modo diverso i parametri, la percentuale del 2% individuata dalla Corte d’Appello, può lievitare fino 30 per cento.

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