I minori hanno diritto ad avere un rapporto stabile con l’ex compagna della propria madre
I minorenni hanno diritto di mantenere un rapporto significativo con l'ex compagno/a omosessuale del proprio genitore anche dopo la fine del rapporto che legava i due adulti. Al contempo, però, l'ex compagno/a non ha la legittimazione ad agire per ottenere la relativa pronuncia, non potendo far valere un diritto che è proprio dei minorenni. Sono questi, in estrema sintesi, i più rilevanti principi di diritto affermati dal tribunale civile di Palermo in un decreto depositato lo scorso 14 aprile.
Il fatto - Il tribunale di Palermo era stato adito da una donna, che, cessata la stabile convivenza con la sua ex compagna, aveva chiesto una pronuncia con cui si determinassero i tempi e le modalità di frequentazione tra lei stessa ricorrente e i due figli della sua ex.
La ricorrente aveva esposto:
•che, nel corso della relazione sentimentale durata otto anni, la sua ex compagna aveva avviato, con il suo sostegno morale ed economico, l'iter per la procreazione assistita di tipo eterologo, conclusosi con la gravidanza e la nascita di due gemelli;
•che i bambini erano stati accuditi e accompagnati nella loro crescita da entrambe le donne, che in passato avevano chiesto al tribunale per i minorenni di Palermo una pronuncia con cui venisse affermata una sua potestà analoga a quella genitoriale (la domanda era stata, però, respinta tanto in primo quanto in secondo grado);
•di essersi sempre fatta carico, quasi in via esclusiva, delle spese familiari;
che la relazione affettiva con la convenuta era poi venuta meno, il che aveva reso assai difficile la sua frequentazione con i minori.
In vista della pronuncia che regolamentasse i suoi rapporti con i bambini, la ricorrente ha chiesto la nomina di un consulente tecnico d'ufficio per la verifica dell'esistenza di una significativa relazione affettiva con i minorenni stessi.
La competenza del tribunale ordinario - Il tribunale affronta, innanzitutto, le questioni di rito. La prima delle quali riguarda la propria competenza funzionale rispetto a quella del tribunale per i minorenni, che, secondo la convenuta (madre dei gemelli), era il giudice naturale a trattare la domanda, vertendosi in materia di provvedimenti da emettere nell'interesse di minori.
Il giudice siciliano prende le mosse dall'esegesi dell'articolo 38 delle disposizioni di attuazione del codice civile, che costituisce la norma generale sulla competenza del giudice specializzato minorile. Il decreto afferma che, a seguito delle riforme operate dalla legge 219/2012 e dal Dlgs 154/2013, «il quadro normativo sul riparto di competenze tra tribunale per i minorenni e tribunale ordinario è radicalmente mutato, essendo state drasticamente ridimensionate le competenze civili del primo». E, nel caso in esame, «non viene in rilievo nessuna delle ipotesi di competenza del giudice minorile come nominativamente individuate» dallo stesso articolo richiamato. Ciò perché la ricorrente non ha chiesto un provvedimento diretto alla decadenza dalla responsabilità genitoriale o a sanzionare condotte pregiudizievoli della convenuta nei confronti dei figli («ciò che indubbiamente radicherebbe la competenza in capo al tribunale per i minorenni»). Piuttosto, è stata avanzata una domanda finalizzata al riconoscimento di diritti fondamentali dei minori in base all'articolo 337-ter del codice civile; e il fatto che dall'accoglimento della domanda possa derivare «una qualche compressione delle scelte genitoriali non comporta che oggetto del giudizio diventino condotte pregiudizievoli del genitore che meritano la limitazione o l'ablazione della sua potestà». Di conseguenza - conclude Il tribunale sul punto - la vicenda va ricondotta nell'alveo della clausola residuale contenuta nell'articolo 38 delle disposizioni di attuazione del codice civile, per il quale «sono emessi dal tribunale ordinario i provvedimenti relativi ai minori per i quali non è espressamente stabilita la competenza di una diversa autorità giudiziaria».
La competenza per territorio - Al momento della proposizione della domanda, i bambini e la madre risiedevano in un comune che ricade nel circondario di un tribunale diverso da quello adito. Così la convenuta ha eccepito la competenza per territorio di quel tribunale, osservando che, relativamente ai provvedimenti diretti a intervenire sulle modalità di esercizio della responsabilità genitoriale, ci si deve rivolgere al giudice del luogo in cui il minore vive o si trova di fatto al tempo in cui è proposto il ricorso.
Nel respingere l'eccezione, il decreto ricorda che con la sentenza 21750/2012, pronunciata per l'individuazione del tribunale per i minorenni competente per territorio in un caso relativo all'affidamento di un figlio naturale, la Cassazione ha dato rilievo alla dimora abituale del minore nel momento della proposizione del ricorso, ritenendo privi di rilievo la mera residenza anagrafica o eventuali trasferimenti contingenti o temporanei. In base a tale principio (applicato al caso di specie, «trattandosi di materie e di ipotesi sostanzialmente analoghe»), il tribunale di Palermo afferma quindi la propria competenza per territorio: ciò perché la ricorrente aveva provato che, nonostante il formale cambio di residenza della convenuta e dei bambini, costoro vivevano abitualmente in un comune che ricade nel circondario del tribunale di Palermo, e in quello stesso comune continuavano a frequentare quotidianamente la scuola in cui erano iscritti già prima del trasferimento anagrafico.
Quella è, dunque, la residenza abituale dei bambini (giacché la loro residenza anagrafica «non corrisponde affatto al luogo di stabile dimora degli stessi»); quello è, di conseguenza, il comune di riferimento per determinare la competenza per territorio.
La legittimazione ad agire della ricorrente - Il tribunale di Palermo esamina quindi la questione della legittimazione ad agire, che costituisce una delle condizioni dell'azione. Legittimazione che, vista dalla prospettiva della parte attrice, consiste nel potere di promuovere il giudizio. Il decreto afferma che «la ricorrente non è titolare del diritto potestativo di ottenere una decisione nel merito»: ciò perché ella «non è né genitore biologico né genitore adottivo», e dunque non può far valere, in giudizio, diritti che appartengono ai minori (tra cui quello azionato, relativo alla possibilità dei bambini di incontrare persone con cui hanno creato relazioni affettive stabili). Infatti, «il vigente sistema legislativo non detta alcuna disciplina con riferimento ai diritti che l'ex convivente (etero o omosessuale) del genitore biologico di figli minori potrebbe vantare nei confronti di questi ultimi né conferisce alcuna legittimazione ad agire per conto e nell'interesse di soggetti minori con cui appunto non sussiste un rapporto genitoriale». In altri termini, nel nostro ordinamento non v'è, allo stato, «alcuna previsione che riconosca potestà e responsabilità genitoriali al c.d. “genitore sociale”».
Il ruolo del Pm - Di conseguenza, il tribunale dichiara il difetto di legittimazione attiva della ricorrente. Tuttavia, il decreto prosegue nell'esame del merito della questione sollevata dalla ricorrente medesima, dal momento che il pubblico ministero (interveniente necessario in base all'articolo 70 del codice di procedura civile) «ha fatto propria la domanda della ricorrente».
Nel caso in esame, il giudizio era dunque stato incardinato, sicché il Pm ha potuto insistere per l'accoglimento della domanda già proposta. Quid iuris per il caso in cui, invece, il giudice non sia stato adito? A nostro avviso, l'ex compagno/a potrebbe rivolgersi al pubblico ministero per sollecitarlo a richiedere al giudice la nomina di un curatore speciale che inizi il giudizio innanzi al tribunale: ciò in base all'articolo 321 del codice civile, che - com'è stato osservato in dottrina - «non limita la designazione del curatore speciale al profilo patrimoniale», sicché «l'atto da compiersi può dunque essere anche di natura non patrimoniale» (così Giovanni Campese, «Il giudice tutelare e la protezione dei soggetti deboli», pag. 111).
Il merito - È provato, secondo il tribunale, che la ricorrente, la convenuta e i figli di quest'ultima avevano formato «un nucleo familiare di fatto»; ciò perché, in passato, le due donne si erano rivolte al tribunale per i minorenni di Palermo affinché alla ricorrente fossero riconosciuti «poteri e doveri corrispondenti alla potestà genitoriale nei confronti dei minori». Inoltre, nell'atto introduttivo del giudizio proposto innanzi al giudice specializzato, le donne avevano dichiarato di essere unite da una stabile relazione affettiva e di aver vissuto insieme con la prole, «condividendo ogni decisione inerente la vita, la salute e l'educazione dei bambini», e dunque «dando vita a un nucleo familiare» con una propria dimora.
Tale situazione di fatto era stata confermata da quanto emerso nel corso delle operazioni svolte dai consulenti d'ufficio, i quali avevano attestato che a entrambi i bambini doveva «essere stata prospettata una visione di identità familiare e una storia della loro generatività» che doveva aver compreso entrambe le donne. Secondo i consulenti, dunque, è evidente «una profonda significatività affettiva» tra i bambini e la ricorrente, che dai gemelli stessi era riconosciuta «come appartenente al loro sistema familiare nucleare in una posizione di seconda mamma». Sicché sarebbe «significativamente pericoloso per i bambini una interruzione o una discontinuità del legame tra loro» e la ricorrente; una tale interruzione, infatti, «potrebbe avere effetti nefasti sulla loro continuità affettiva e narrativa», sino a determinare «profonde ripercussioni sulla evoluzione della loro identità psichica»; piuttosto, la ricorrente potrebbe «costituire con la sua affettività una risorsa positiva per i bambini».
Secondo il tribunale, va dunque «assolutamente preservato - in funzione del preminente interesse dei minori - il solido rapporto esistente tra loro e la persona che, sin dalla loro nascita, ha svolto il ruolo sostanziale di genitore (c.d. genitore sociale)». Un rapporto «che, a prescindere dall'inquadramento giuridico, nulla ha di diverso rispetto a un vero e proprio vincolo genitoriale».
La disciplina sovranazionale - Quali le norme di diritto su cui, secondo il tribunale, si fonda il diritto dei minorenni a mantenere stabili rapporti con la ricorrente?
Il decreto fa riferimento tanto a disposizioni esistenti in ambito sovranazionale (disposizioni a cui il nostro ordinamento si conforma in base agli articoli 11 e 117, primo comma, della Costituzione), quanto alla «relativa evoluzione giurisprudenziale che, proprio in ambito sovranazionale, ha portato alla compiuta elaborazione del principio noto come “best interest of the child”». E, dunque:
•la «Dichiarazione dei Diritti del Fanciullo», nel cui preambolo si legge che «il fanciullo, a causa della sua immaturità fisica e intellettuale, ha bisogno di una particolare protezione e di cure speciali, compresa una adeguata protezione giuridica, sia prima che dopo la nascita»;
la «Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea» (cosiddetto Carta di Nizza), che all'articolo 24 (intitolato «Diritti del bambino») dispone che «in tutti gli atti relativi ai bambini, siano essi compiuti da autorità pubbliche o da istituzioni private, l'interesse superiore del bambino deve essere considerato preminente», e quindi aggiunge che «ogni bambino ha diritto di intrattenere regolarmente relazioni personali e contatti diretti con i due genitori, salvo qualora ciò sia contrario al suo interesse»;
•ancora, la giurisprudenza della Corte Edu. L'articolo 8 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo prevede (genericamente) che «ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare», e dunque non contiene un espresso riferimento all'interesse del minorenne. «Tuttavia, tale lacuna è stata via via colmata dalla giurisprudenza della Corte Edu che - prosegue il decreto di Palermo - ha lodevolmente recuperato il principio in questione»: infatti, la stessa Corte ha più volte «affermato che il rispetto della propria vita familiare e personale contempla anche il diritto dei genitori e dei figli - ma anche di altri soggetti uniti da relazioni familiari de facto - a mantenere stabili relazioni, soprattutto in caso di crisi della coppia, precisando al riguardo che occorre assicurare prevalenza al superiore interesse dei minori, anche a rischio di pregiudicare il diritto di uno dei genitori».
In particolare, con sentenza del 22 aprile 1997, la Corte di Strasburgo ha riconosciuto valore giuridico a rapporti familiari di fatto (nel caso di specie: tra un partner e i figli dell'altro), valorizzando argomenti a favore dell'esistenza degli aspetti tipici di un regime familiare in presenza di un'effettiva cura e assistenza dei minori da parte degli adulti con essi conviventi. Sicché «l'esistenza di una “vita familiare” ex articolo 8 Cedu è una questione - conclude il tribunale di Palermo - che va vagliata e accertata in fatto, in quanto essa non si limita ai rapporti fondati sul matrimonio e sulla filiazione legittima ma può comprendere altre relazioni familiari de facto, purché - oltre all'affetto generico - sussistano altri indici di stabilità, attuale o potenziale, quale potrebbe essere quello di una filiazione naturale o di una convivenza avutasi per un tempo significativo e poi cessata». In questa prospettiva, la determinazione del carattere familiare delle relazioni di fatto deve tener conto di una serie di elementi, quali il tempo vissuto insieme e la qualità delle relazioni, nonché il ruolo assunto dall'adulto nei confronti del bambino e la percezione che quest'ultimo ha dell'adulto.
La disciplina interna - Quanto alla normativa nazionale, il tribunale richiama gli articoli 337-bis e 337-ter del codice civile, relativi ai rapporti tra genitori e figli, articoli ritenuti «il solo riferimento per le controversie genitoriali, di separazione, divorzio o interruzione di convivenza tra persone anche non sposate».
Secondo il giudice siciliano, in particolare, dalla normativa in questione è possibile desumere i seguenti principi:
•nella materia in discussione, occorre aver riguardo alla «prevalenza dell'interesse del figlio, specie se minore, su ogni altro interesse giuridicamente rilevante che vi si ponga in contrasto». Ciò si ricava dal fatto che, anche nei procedimenti relativi ai figli nati fuori del matrimonio (articolo 337-bis), il giudice deve adottare «i provvedimenti relativi alla prole con esclusivo riferimento all'interesse morale e materiale di essa» (articolo 337-ter, comma 2) per realizzare il diritto del minore «di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori, di ricevere cura, educazione, istruzione e assistenza morale da entrambi e di conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale» (articolo 337-ter, comma 1);
•l'interesse della prole può esser perseguito «anche attraverso una restrizione, se ritenuto necessario, dei diritti e libertà degli altri soggetti coinvolti».
Ebbene, la necessità di garantire il superiore interesse dei minori, posto a fondamento della norma di cui all'articolo 337-ter del codice civile, nonché di interpretare la norma in conformità all'elaborazione giurisprudenziale della Cedu nell'applicazione dell'articolo 8, impone di procedere - secondo il tribunale di Palermo - a un'esegesi dello stesso articolo del codice «volta a estendere l'ambito applicativo della stessa sino a delineare un concetto allargato di bigenitorialità e di famiglia, ricomprendendo per tale via anche la figura del genitore sociale, ossia di quel soggetto che ha instaurato con il minore un legame familiare de facto significativo e duraturo». Ciò che assume rilievo determinante è, dunque, la circostanza che un nucleo familiare esiste con riguardo alla posizione del figlio, «non dovendosi invece dare risalto alla circostanza che sia venuto meno il vincolo affettivo che legava il genitore sociale a quello biologico». Infatti, «quando il rapporto instauratosi tra il minore e il genitore sociale è tale da fondare l'identità personale e familiare del bambino stesso, questo rapporto deve essere salvaguardato, alla pari di quanto riconosce oggi l'articolo 337-ter ai figli nei confronti dei genitori biologici».
Né, secondo il tribunale, coglierebbe nel segno un'eventuale obiezione circa l'inidoneità di un individuo omosessuale allo svolgimento di compiti genitoriali. Ciò perché «le acquisizioni delle scienze di settore, principalmente la neuropsichiatria infantile e la psicologia dell'età evolutiva, hanno evidenziato - si legge nel decreto - che la qualità dell'attaccamento dei figli e del loro sviluppo cognitivo e relazionale non dipende dalla compresenza di genitori di sesso diverso ma dalla pregnanza della relazione affettivo-genitoriale».
Peraltro, anche i giudici Strasburgo - aggiunge il tribunale - «non solo hanno ricondotto le coppie di fatto omosessuali nell'alveo della nozione di “vita familiare” da tutelare ai sensi dell'articolo 8 della Cedu, ma hanno altresì ricompreso in tale nozione anche il legame verticale che si stabilisce tra i conviventi omosessuali e la prole di uno di essi, pronunciandosi da ultimo in favore della cosiddetta second-parent adoption, ossia l'adozione, da parte del partner omosessuale, dei figli dell'altro partner, così da aprire direttamente la strada al riconoscimento delle funzioni genitoriali svolte dall'adulto non genitore omosessuale nella famiglia ricomposta».
Sotto questo specifico profilo, mette conto di evidenziare che già nel 2013 la Corte suprema aveva esaminato, nella sentenza n. 601 dell'11 gennaio, il ricorso con cui il padre di un minorenne censurava la statuizione di inammissibilità di uno dei suoi motivi di appello, con cui si era lamentato del fatto che il tribunale non aveva approfondito se la famiglia in cui era inserito lo stesso minorenne, famiglia composta da due donne legate da una relazione omosessuale, fosse idonea sotto il profilo educativo a garantire l'equilibrato sviluppo del bambino. In quel caso, il giudice di legittimità aveva ritenuto, a sua volta, che anche quel motivo di ricorso in cassazione fosse inammissibile, dal momento che l'uomo non aveva effettuato «alcuna specificazione delle ripercussioni negative, sul piano educativo e della crescita del bambino, dell'ambiente familiare in cui questi viveva presso la madre». In quella sentenza, la Corte suprema aggiungeva che, a fondamento della doglianza del ricorrente, erano poste non certezze scientifiche o dati di esperienza, «bensì il mero pregiudizio che (fosse) dannoso per l'equilibrato sviluppo del bambino il fatto di vivere in una famiglia incentrata su una coppia omosessuale»; sicché - così concludeva la Cassazione - si dava «per scontato ciò che invece (era) da dimostrare, ossia la dannosità di quel contesto familiare per il bambino, che dunque correttamente la Corte d'appello (aveva) preteso fosse specificamente argomentata».
La decisione del tribunale di Palermo - Al termine dell'articolato ragionamento sin qui riassunto, il tribunale di Palermo conclude che va quindi garantito il diritto dei minori «di mantenere un rapporto stabile e significativo» con la ricorrente. Secondo il giudice siciliano, non si tratta di riconoscere un diritto ex novo in capo ai minori ma solo di «garantire una tutela giuridica a uno stato di fatto già esistente da anni, nel superiore interesse dei bambini, i quali hanno trascorso i primi anni della loro vita all'interno di un contesto familiare che vedeva insieme la madre biologica» con la ricorrente medesima, «che essi percepiscono come riferimento affettivo primario al punto tale da rivolgersi spesso a lei con il termine “mamma”».
Il decreto prevede quindi i tempi in cui, durante l'anno scolastico e poi nel periodo natalizio e in quello estivo, i gemelli potranno stare con la ricorrente.
Interesse superiore del fanciullo: un work in progress - La decisione del tribunale di Palermo costituisce un altro “step” del percorso di tutela dell'interesse «dei soggetti individuati come più deboli - per ragioni legate alla loro stessa struttura fisica o anche solo per retaggio culturale» (così Andreina Occhipinti, «Tutela della vita e dignità umana», pag. 24, in cui, a proposito delle leggi di riforma del diritto minorile, si parla di «una diversa considerazione degli interessi del minore»). Del resto, la già citata «Dichiarazione dei Diritti del Fanciullo», nel declinare i doveri degli Stati e i diritti dei minori, per ben nove volte fa esplicito riferimento all'«interesse superiore del fanciullo».
Peraltro, proprio l'interesse preminente del minore è stato richiamato nella motivazione dell'ordinanza 6-10 novembre 2014 (sul n. 5 del 24 gennaio 2015 di questa Rivista, pagine 21 e seguenti), con cui il tribunale per i minorenni di Bologna ha sollevato la questione di legittimità costituzionale degli articoli 35 e 36 della legge 184/1983 nella parte in cui non consentono al giudice di valutare se risponda all'interesse del minore adottato all'estero il riconoscimento della sentenza straniera che abbia pronunciato la sua adozione in favore del coniuge del genitore omosessuale, anche a prescindere dal fatto che il matrimonio abbia prodotto effetti in Italia: nel caso esaminato dal tribunale emiliano, infatti, era stato contratto negli Usa il matrimonio tra le due donne - la madre biologica e quella adottiva - e dunque era inesistente il presupposto di un matrimonio riconosciuto e riconoscibile dalla legge italiana (articolo 44, lettera b), della legge 184/1983).
Il percorso dell'azione di tutela dell'interesse del minore è, dunque, un incessante work in progress, sicuramente destinato a ulteriori sviluppi anche attraverso le decisioni dei giudici nazionali e sovranazionali.
Tribunale di Palermo – Sezione I civile – Decreto 14 aprile 2015