Civile

Il difetto di motivazione dell'avviso di accertamento non è sanabile dall'ufficio in corso di causa

E' quanto ha disposto la <span id="U401193263813P5B" style="font-weight:normal;font-style:normal;">Corte di Cassazione nell'Ordinanza n. 11284 del 07/04/2022</span>

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di Giuseppe Durante*

E' da ritenere inammissibile una motivazione "postuma" dell'ufficio impositore finalizzata a colmare sub judice un preesistente difetto di motivazione dell'avviso di accertamento che ha omesso elementi imprescindibilii per assicurare al contribuente l'esercizio del diritto di difesa di cui all'art.24 della Costituzione.

E' quanto ha disposto la Corte di Cassazione nell'Ordinanza N°11284 del 07/04/2022 . L'avviso di accertamento ha indubbia natura di atto amministrativo recettizio, in quanto tale, deve contenere ex se tutti gli elementi sufficienti per supportare l'obbligo della motivazione espressamente previsto dall'art.7 della L.n°212/2000.

E' preclusa, pertanto, all'ufficio impositore la possibilità di sanare in corso di causa il difetto di motivazione dell'atto impositivo, ritenendo la Corte che la mancata specificazione di elementi applicativi fondamentali per la quantificazione dell'imposta di registro, determina inevitabilmente una lesione dei diritti del contribuente, in deroga espressa a quanto disposto dallo Statuto dei diritti del contribuente (L.n°212/2000).

Una motivazione postuma finalizzata ad integrare il contenuto sostanziale di un atto impositivo non può dirsi sufficiente per ripristinare o meglio sanare una deroga normativa che si è già concretizzata e consumata al punto da avere già leso l'esercizio del diritto di difesa così come lamentato dal contribuente sub judice.

IL FATTO

La questione impositiva di cui si tratta, rinviene, nel caso di specie, dalla impugnazione di un avviso di liquidazione con cui l'Agenzia delle entrate territorialmente competente richiedeva il pagamento di un importo pari ad euro ventimila a titolo di imposta di regsitro riferita, quest'ultima, ad un decreto ingiuntivo del 16/10/2010 emesso dal Tribunale di Palermo e riconducibile alla registrazione di un atto giudiziario.

Nel caso di specie, parte ricorrente lamentava il difetto di motivazione dell'atto impugnato poiché lo scarno contenuto motivazionale dello stesso, non consentiva al contribuente di individuare i presupposti di fatto nonché le ragioni giuridiche che avevano legittimato l'emnissione dell'avviso di liquidazione da parte dell'ufficio impositore.

In sede di prime cure, la CTP adita acccoglieva le ragioni del ricorrente, ritenendo configurabile il difetto di motivazione dell'atto impugnato. L'AdE proponeva appello in sede di gravame, ritenendo l'ufficio, di avere ottemperato agli obblighi motivazionali così come previsti ex lege. Tuttavia, le ragioni mosse dall'ufficio in appello, venivano respinte anche dalla CTR adita che confermava il giudicato di prime cure.

Nei termini di legge l'Avvocatura Generale dello Stato proponeva ricorso per cassazione; in particolare, con il primo motivo di ricorso, si denunciava la violazione e falsa applicazione del DPR n°131/1986, art.54 in relazione all'art.360 comma 1 n.3) cpc per avere la CTR adita considerato che i presupposti della tassazione del decreto ingiuntivo richiesto alla Banca erano accertabili, utilizzando la minima diligenza del contribuente, trattandosi di un procedimento giudiziario già noto allo stesso contribuente, non sussistendo profili problematici in ordine alla quantificazione dell'imposta.

Con il secondo motivo di ricorso l'Avvocuatura ricorrente denunciava la violazione e falsa applicazione del DPR n°131/1986 artt.40,22,6 in relazione all'art.360 comma 1 n°3 per non avere la CTR considerato che l'importo richiesto dall'ufficio del registro era da riferirsi alla tassazione con aliquota proporzionale del 3% oltre agli interessi maturati. Per cui, erano ben definiti i criteri e gli elementi che avevano determinato la quantificazione dell'imposta in oggetto.

Il principio espresso dalla Corte di Cassazione nell'Ordinanza N°11284 del 07/04/2022

Con riferimento alla questione impositiva (imposta di registro) in commento i Giudici di Palazzaccio hanno ritenuto infondate le ragioni mosse dall'Avvocatura Generale dello Stato, confermando, nel caso de qua, il difetto di motivazione dell'avviso di liquidazione su imposta di registro, così come emesso dall'ufficio impositore.

In particolare, la Corte adita ha precisato che sebbene non sussista un obbligo di allegazione della sentenza o, come nel caso di specie, del decreto ingiuntivo sottoposto a registrazione, l'obbligo di motivazione di cui alla L.n°212/2000, art.7 impone, comunque, la necessità per l'ufficio che emette l'atto, di fare in modo che il contribuente individui la base imponibile nonché l'aliquota tariffaria applicata dall'ufficio del registro, sia pure all'esito di una operazione di mero calcolo matematico e senza margini di incertezza.

La stessa Corte di Cassazione, proprio con riferimento ad una casistica analoga a quella di cui si tratta (Cass. Sen.n°26340/2021) ha avuto modo di segnalare che la mancata indicazione di elementi applicativi fondamentali determina inevitabilmente una lesione dei diritti del contribuente, anche e soprattutto, in considerazione del fatto che, nel caso di specie, la sentenza tassata presentava vari capi di condanna, con importi risarcitori differenti, a seconda della parte di responsabilità accertata in capo a ciascuno, e sulla base di un rapporto di solidarietà almeno apparentemenmte limitato ai convenuti ritenuti responsabili per la stessa quota parte.

Per cui, è senza dubbio necessario che l'ufficio provveda ad esplicare con chiarezza già in fase di redazione dell'avviso di liquidazione, i criteri di calcolo adottati per la quantificazione dell'imposta di registro, in modo da assicurare al contribuente la possibilità di contestare la congruità dell'importo richiesto, potendo pertanto il soggetto destinatario dell'atto impositivo, assolvere all' esercizio del diritto di difesa ex art.24 Cost.

Di indubbia rilervanza è altresì un altro principio palesato dagli Ermellini nella vicenda giudiziaria in questione. In particolare, i giudici di Palazzaccio hanno escluso la possibilità per l'ufficio del registro di sanare in corso di causa il difetto di motivazione dell'avviso di liquidazione come sostenuto dall'AdE nei propri scritti difensivi. In particolare, ha disposto la Corte di cassazione adita nel giudizio di legittimità in commento che il giudice di appello ha correttamente ritenuto inammissibile la motivazione postuma dell'ufficio così come formalizzata in pendenza del giudizio tributario; situazione che si verifica, allorquando, l'Amminstrazione finanziaria cerca di colmare le lacune preesistenti contenute nell'avviso di liquidazione che non contiene ex se i presupposti di fatto nonché le ragioni giuridiche che hanno legittimato l'emissione dell'atto impositivo da parte dell'ufficio.

La Corte ha altresì precisato che non può l'ufficio impositore disattendere elementi conoscitivi imprescindibili che devono essere necessariamente indicati ab origine dall'ufficio impositore nell'atto opposto, giustificativi della pretesa erariale azionata dall'Amminstrazione finanziaria, assicurando pertanto quel grado di determinatezza ed intellegibilità che permette al contribuente "un esercizio non difficoltoso del proprio diritto di difesa costituzionalmente garantito".

I giudici di Palazzaccio confermando un orientamento giurisprudenziale già espresso ex ante hanno ribadito la necessità imprescindibile previste espressamente ex lege, di motivare sufficientemente l'avviso di liquidazione, facendo salva la possibilità per il soggetto destinatario dell'atto impositivo, di conoscere in pieno le ragioni che ne hanno llegittimato l'emissione, non potendo l'ufficio, in caso di carenza motivazionale dell'avviso di liquidazione dell'imposta di registro, integrare il contenuto dell'avviso, in pendenza del giudizio tributario.

E' consentito all'AdE nell'ambito di una giusta dialettica processuale, al fine di incidere sul convincimento del giudicante, illustrare in udienza unicamente i fatti e le questioni oggetto di causa.

CONCLUSIONI

La Corte, nel caso di specie, ha confermato un orientamento già palesato in altre pronunce e finalizzato ad ottemperare pedissequamente uno dei principi fondamentali disposti dallo Statuto dei diritti del contribuente (L.n°212/2000) recepito in toto dalle leggi speciali che disciplinano i singoli tributi.

La ratio della posizione assunta dagli Ermellini nel caso de qua è riconducibile, se vogliamo, alla natura stessa dell'avviso di accertamento o dello stesso avviso di liquidazione oggetto della contesa, nella vicenda tributaria di cui si discute.

Si tratta di un atto amministrativo di natura recettizia che in quanto tale, deve contenere in se, già al momento della sua emissione da parte dell'ufficio, tutti gli elementi sufficienti e idonei per assicurare al soggetto destnatario dell'atto stesso, l'esplicazione dell'esercizio del dirirtto di difesa costituzionalmente previsto dal più volte richiamato art.24 Cost. Molte volte ci siamo interrogati in dottrina su quando può dirsi sufficientemente motivato un atto impositivo, al punto tale da poter suffragare, quest'ultimo, la previsione normativa di cui al richiamato art.7 della L.n°212/2000 , facendo salvo l'esercizio del diritto di difesa del contribuente.

Più volte, la stessa Corte di Cassazione ha precisato che un avviso di accertamento o più in generale un atto impositivo può dirsi sufficientemente motivato nel momento in cui contiene in se tutti gli elementi idonei a rendere edotto il contribuente in ordine al an e al quantum della pretesa tributaria, consentendo al contribuente destinatario dell'atto, di poter validamente esercitare il proprio diritto di difesa. Trattandosi di un precetto normativo generale che impone all'ufficio impositore di osservare l'obbligo motivazionale, nel momento stesso in cui provvede alla redazione formale dell'atto impositivo, a nulla vale il tentativo postumo dell'ufficio, di porre rimedio ad una possibile carenza motivazionale dell'atto amministrativo di narura recettizia, allorquando, è stato già attivato il giudizio tributario.

La motivazione postuma integrata dall'AdE in pendenza del giudizio tributario non è sufficiente a ripristinare una deroga che si è già concretizzata, inficiando ciò, irrimediabilmente, la legittimità dell'atto impositivo emesso dall'ufficio in deroga espressa a quanto disposto dal più volte richiamato art.24 Cost.

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*A cura del Prof.avv. Giuseppe Durante, Docente a contratto Facoltà di Economia dell'Università LUM "G. Degennaro" di Bari - Tributarista - Partner 24 ORE


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