Il divieto di custodia cautelare sotto i tre anni vale anche per i reati ostativi se il condannato dimostra di non avere collegamenti con la criminalità organizzata
Ma secondo la Cassazione la dimostrazione può ritenersi anche implicita sulla base anche della personalità del reo e dalle modalità della condotta
In tema di misure cautelari personali, in base all’interpretazione letterale del combinato disposto degli articoli 275-bis Cpp e 4-bis della legge n. 354/1975 sull’ordinamento penitenziario, il divieto di applicazione della custodia in carcere valevole – salvo eccezioni per particolari delitti – per soggetti condannati a pena inferiore ai tre anni di pena detentiva, opera anche nei procedimenti per rapina aggravata, benché rientrante nel catalogo dei reati ostativi, qualora non vi siano collegamenti del condannato con la criminalità organizzata, terroristica o eversiva. Il relativo onere della prova grava sull’istante, trattandosi di un fatto positivo a vantaggio del condannato, ma l’insussistenza di detti collegamenti può essere implicitamente dedotta dalle modalità della condotta o dalla personalità degli autori.
Così la Seconda sezione penale della Cassazione, con la sentenza n. 32593/2021, depositata il 1° settembre, con cui ha accolto il ricorso di un’indagata minorenne, raggiunta da cautela carceraria in quanto gravemente indiziata del reato di concorso in rapina aggravata, che si era vista respingere dal locale Tribunale della libertà dei minori la richiesta di sostituzione della massima misura di rigore con una meno gravosa, in ragione della natura ostativa (articolo 4-bis della legge sull’Ordinamento penitenziario) del reato per il quale era stata frattanto condannata, anche se a pena inferiore a tre anni (nella specie, un anno e dieci mesi di reclusione).
Nel caso di specie – scandiscono gli Ermellini di Piazza Cavour – sono proprio le modalità dei fatti e la personalità degli autori a rendere palese l’assenza di qualsiasi collegamento di tale genere, trattandosi invero di rapina impropria commessa da parte di minorenni, ai danni di un supermercato, con la sottrazione di beni detenuti all’interno di tale struttura, in assenza dell’uso di armi od altri oggetti atti ad offendere. Ne deriva che il giudice del procedimento cautelare, ai fini della valutazione dell’esistenza del divieto di mantenimento della custodia in carcere per soggetti condannati per il reato di rapina aggravata a pena inferiore a tre anni, deve esaminare quegli elementi che, ove chiaramente dimostrativi dell’assenza di qualsiasi collegamento con il crimine organizzato, determinano la sussistenza del divieto di cui all’articolo 275, comma 2-bis, del Cpp.
Il divieto di cui all’articolo 275, comma 2-bis del Cpp: la regola e le eccezioni
Il dictum in commento si appunta sulla corretta esegesi del contenuto dispositivo dell’articolo 275, comma 2-bis, secondo e terzo periodo, del Codice di procedura penale, recante una condizione negativa che – per quel che qui rileva – esclude, di regola, l’applicazione della custodia cautelare in carcere quando sia irrogata una pena inferiore a tre anni di reclusione («... Salvo quanto previsto dal comma 3 e ferma restando l’applicabilità degli articoli 276, comma 1-ter, e 280, comma 3, non può applicarsi la misura della custodia cautelare in carcere se il giudice ritiene che, all’esito del giudizio, la pena detentiva irrogata non sarà superiore a tre anni…»).
Vi sono però una serie di eccezioni, fondate sulla particolare gravità di taluni delitti. Il suddetto divieto di custodia cautelare non si applica quando si procede per i reati previsti dall’articolo 4-bis dell’ordinamento penitenziario – i cosiddetti reati ostativi, tra cui la rapina aggravata (come nel caso di specie) – ed altresì ove non sussistano le condizioni per applicare gli arresti domiciliari per assenza dei luoghi di espiazione domestica (…«Tale disposizione non si applica nei procedimenti per i delitti di cui agli articoli 423-bis, 572, 612-bis, 612-ter e 624-bis del Cp, nonché all’articolo 4-bis della legge 261uglio 1975, n. 354, e successive modificazioni, e quando, rilevata l’inadeguatezza di ogni altra misura, gli arresti domiciliari non possano essere disposti per mancanza di uno dei luoghi di esecuzione indicati nell’articolo 284, comma 1, del presente codice»).
Origine e applicazione, anche in executivis, della norma
Il comma in questione era stato aggiunto dall’ articolo 4 della legge n. 332/1995 , che originariamente aveva una portata assai più ridotta, poiché conteneva solamente il divieto (contenuto nell’attuale primo periodo) di applicazione della custodia cautelare qualora il giudice ritenga la concedibilità del beneficio della sospensione condizionale della pena, quindi entro il limite di due anni di pena detentiva (tre anni nel caso di minorenni). I periodi successivi sono stati introdotti con l’articolo 8 del Dl n. 92/2014, convertito, con modificazioni, in legge n. 117/2014; da ultimo, poi, l’ articolo 16 della legge n. 69/2019 (cd. Codice rosso) – a decorrere dal 9 agosto 2019 – ha integrato il catalogo dei reati rientranti tra le eccezioni, prevedendo la non operatività del divieto di carcerazione nei procedimenti per i delitti più gravi o di violenza personale, il cd. Revenge porn, di cui all’articolo 612-ter del Cp, che colpisce la diffusione senza consenso di immagini sessualmente esplicite.
La norma in questione, nella sua interezza, trova applicazione non soltanto in fase genetica di irrogazione della misura ma – costituendo una regola di valutazione della proporzionalità cui deve attenersi il giudice della cautela – anche nel corso della sua esecuzione, sicché la misura non può essere neppure mantenuta qualora sopravvenga – come nel caso di specie – una sentenza di condanna, quantunque non definitiva, a pena inferiore al suddetto limite di tre anni (Cassazione, Sezione feriale, n. 26542/2020, Ced 279632, in cui la Sc ha precisato che i principi di proporzionalità ed adeguatezza devono essere costantemente verificati, al fine di attuare la minor compressione possibile della libertà personale, non potendo prevalere le valutazioni compiute in fase cautelare rispetto alla pronuncia adottata in fase di merito; Cassazione, sezione V penale, n. 4948/2021, Ced 280418).
La ratio di questa estensione giurisprudenziale risiede – come rammenta la sentenza in commento – nella considerazione che non si giustificherebbe la protrazione della custodia cautelare in carcere nei confronti di soggetti autori di fatti per i quali sia stata irrogata una pena assai mite ed ai quali potranno anche essere concessi i benefici penitenziari.
Il dictum: il rinvio all’articolo 4-bis Op
Poiché il comma 2-bis in esame richiama – nel terzo periodo, a fini eccettuativi – i delitti di cui all’articolo 4-bis Op, è a tale disposizione – secondo la Corte regolatrice – che occorre fare rifermento per l’individuazione del catalogo dei reati ostativi al divieto di mantenimento della custodia in carcere anche in caso di irrogazione di pena inferiore a tre anni. Orbene, in proposito, il comma 1-ter dell’articolo 4-bis prevede che: «1-ter. I benefici di cui al comma 1 possono essere concessi, purché non vi siano elementi tali da far ritenere la sussistenza di collegamenti con la criminalità organizzata, terroristica o eversiva, ai detenuti o internati per i delitti di cui agli articoli 575, 600-bis, secondo e terzo comma, 600-ter, terzo comma, 600-quinquies, 628, terzo comma, e 629, secondo comma, del codice penale…»). Quindi – conclude la sentenza in esame – in tema di benefici penitenziari per i soggetti condannati per il delitto di rapina aggravata, gli stessi possono essere concessi purché non sussistano elementi per affermare il collegamento con il crimine organizzato.
Di qui l’inedito principio di diritto enunciato dalla Cassazione in base alla stessa interpretazione letterale del combinato disposto delle due norme al vaglio (articoli 275, comma 2-bis del Cpp e 4-bis Op): il divieto di applicazione (e mantenimento, secondo la consolidata giurisprudenza) della custodia cautelare in carcere opera anche per la rapina aggravata ove sia intervenuta condanna inferiore a tre anni, quando non vi siano elementi tali da fare ritenere la sussistenza di collegamenti con la criminalità organizzata, terroristica o eversiva; conseguentemente, in linea generale, è onere dell’istante provare che, intervenuta una condanna a pena inferiore a tre anni per il delitto di rapina aggravata, scatta il divieto di mantenimento della custodia carceraria in assenza di elementi atti a dimostrare il collegamento con il crimine organizzato. «Tale dimostrazione, che incombe certamente sull’istante trattandosi di fatto positivo a vantaggio del medesimo condannato, può però ritenersi implicita in quei fatti di rapina che per le loro modalità esecutive, per la personalità degli autori, per la natura dei beni sottratti, per l’assenza di armi od altri oggetti atti ad offendere, dimostrino ex se l'assenza di collegamenti con il crimine organizzato. Deve cioè essere ritenuto che la contestazione dell’aggravante può in alcuni casi particolari, come quello delle persone riunite, non escludere la scarsa offensività del fatto, l’assenza di collegamenti con la criminalità organizzata e perciò l'applicazione dell’articolo 275 del Cpp nella parte in cui impone il divieto di mantenimento della custodia in carcere nei confronti di soggetti condannati a pena inferiore a 3 anni».