Professione e Mercato

Il Tar modifica le Specializzazioni: il diritto commerciale è settore primario

Il Tar Lazio, sentenza 189/2024, ha affermato che derubricarlo a indirizzo del diritto civile è “irragionevole”

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di Francesco Machina Grifeo

Nuova bocciatura delle specializzazioni forensi. Questa volta però, a leggere il dispositivo della sentenza, il rilievo sembrerebbe limitato al mancato inserimento del diritto commerciale tra i “settori primari” di specializzazione, essendo invece stato relegato a semplice “indirizzo” del “settore” civile. Una scelta considerata “irragionevole” dal Tar Lazio, sentenza 189/2024, anche alla luce dell’“autonomia disciplinare e tematica del diritto commerciale, siccome materia di risalente e nobilissima tradizione, al pari dello stesso diritto civile moderno”.

Il tribunale amministrativo ha così accolto il ricorso proposto dall’associazione “Orizzonti del Diritto Commerciale – Associazione Italiana dei Professori Universitari di Diritto Commerciale” nei confronti del Dm giustizia 1° ottobre 2020, n. 163 (“Regolamento […] per il conseguimento e il mantenimento del titolo di avvocato specialista”) per “vizi di eccesso di potere” con il conseguente annullamento dell’atto impugnato “nei sensi e nei limiti di cui in precedenza”.

Vedremo quale sarà la lettura che nei prossimi giorni ne darà in primis il Consiglio nazionale forense e se deciderà o meno di ricorrere al Consiglio di Stato ma è probabile che sia comunque necessario un intervento adeguativo, in via amministrativa, sul Regolamento.

Ricordiamo che attualmente l’elenco dei settori primari di specializzazione è il seguente: a) diritto civile; b) diritto penale; c) diritto amministrativo; d) diritto del lavoro e della previdenza sociale; e) diritto tributario, doganale e della fiscalità internazionale; f) diritto internazionale; g) diritto dell’Unione europea; h) diritto dei trasporti e della navigazione; i) diritto della concorrenza; l) diritto dell’informazione, della comunicazione digitale e della protezione dei dati personali; m) diritto della persona, delle relazioni familiari e dei minorenni; n) tutela dei diritti umani e protezione internazionale; o) diritto dello sport.

Ad essi, il Dm impugnato, ha aggiunto una ulteriore ripartizione dei settori del diritto civile, penale e amministrativo in sottocategorie definite “indirizzi”. Per il settore del diritto civile il decreto ha individuato i seguenti indirizzi: a) diritto successorio; b) diritti reali, condominio e locazioni; c) diritto dei contratti; d) diritto della responsabilità civile, della responsabilità professionale e delle assicurazioni; e) diritto agrario; f) diritto commerciale e societario; g) diritto industriale, della proprietà intellettuale e dell’innovazione tecnologica; h) diritto della crisi di impresa e dell’insolvenza; i) diritto dell’esecuzione forzata; l) diritto bancario e dei mercati finanziari; m) diritto dei consumatori.

Per la Sezione prima però così facendo il diritto commerciale finisce “per essere irragionevolmente equiparato a materie (il diritto industriale, della proprietà intellettuale e dell’innovazione tecnologica, il diritto bancario e dei mercati finanziari, il diritto della crisi dell’impresa e dell’insolvenza) che costituiscono delle partizioni, anche e soprattutto dal punto di vista didattico e scientifico, del diritto commerciale medesimo”.

Rilevante anche il fatto che il Tar abbia riconosciuto la legittimazione a ricorrere dell’associazione in quanto l’esclusione del diritto commerciale dai settori si riflette “negativamente sullo statuto scientifico e sul rilievo didattico della disciplina”. Inoltre, ai professori universitari associati dell’ente ricorrente è impedito esser nominati nella commissione che valuta il titolo di specialista, “in quanto limitata ai professori universitari in possesso di documentata qualificazione nei settori di specializzazione, settori dai quali, come si è detto, la materia commerciale è stata esclusa”.

Successivamente il Tar rileva “l’illogicità della scelta ministeriale, nella parte in cui è stata attribuita maggiore rilevanza a materie di carattere settoriale, senza includere nell’elenco il diritto commerciale, nonostante questo abbia una risalente tradizione scientifica e rappresenti una materia “generalista”, che, a stretto rigore, “contiene” talune delle stesse materie inserite tra i settori di specializzazione (tra questi, il diritto della concorrenza)”.

Condivisibile poi anche la “perplessità” dei ricorrenti per l’inclusione nell’elenco dei settori per esempio del “diritto dello sport” (ma anche del Diritto della persona, delle relazioni familiari e dei minorenni) non raffrontabile “per rilevanza pratica e scientifica” al diritto commerciale, risolvendosi in una combinazione di elementi di diritto del lavoro e di diritto civile, oltre a profili di diritto amministrativo.

Né del resto, si è tenuto conto “dei corsi universitari in giurisprudenza o scienze giuridiche, dai quali già poteva desumersi una scala gerarchica degli insegnamenti che non poteva non essere considerata in sede di individuazione dei settori primari di specializzazione dell’avvocato”.

Se dunque, come sottolineato dai ricorrenti, la specializzazione “è funzionale ad una migliore qualità del servizio legale ”, “con riguardo al diritto commerciale, la ripartizione contenuta del decreto gravato non assolve a tali funzioni”.

“L’indicazione del diritto commerciale come mero “indirizzo” – si legge nella decisione - non consente all’avvocato specialista di qualificare correttamente le proprie competenze, posto che la sola specializzazione in “diritto civile” sarebbe generica e non permetterebbe di valorizzare l’anelata specializzazione; per altro verso, l’indicazione di tutte le discipline trattate non sarebbe possibile, considerati il limite dei tre indirizzi previsto dall’articolo 3 del d.m. n. 144/2015 e la classificazione del diritto della concorrenza come settore autonomo”. Del resto, proprio la classificazione del diritto della concorrenza come settore autonomo andrà considerata nel caso di una “promozione” del diritto commerciale a settore primario.

Infine, il Tar rileva che vi è anche un criterio giurisdizionale da valutare considerato che “le controversie di diritto commerciale sono, per lo più, oggetto della competenza delle sezioni specializzate in materia di impresa istituite presso i Tribunali e le Corti d’appello”.

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