Interessi di mora, legittima la "clausola di salvaguardia"
Nei contratti bancari è legittima l'introduzione della clausola di salvaguardia destinata a limitare l'applicazione di interessi di mora che oltrepassino il "tasso soglia" che, tuttavia, non esclude di per sé l'imputazione di interessi usurari, con la conseguenza che compete al soggetto obbligato (banca) la prova dell'adempimento.
E' quanto ha recentemente stabilito la Suprema Corte di Cassazione (sezione III – sentenza 26286/2019) intervenendo sul tema, sempre rilevante, della verifica della conformità degli interessi di mora rispetto ai tassi soglia e della correlata clausola di salvaguardia, con la quale l'istituto di credito si obbliga contrattualmente a non applicare tassi eccedenti rispetto ai limiti tempo per tempo vigenti.
Trattasi di clausola, ad evidenza, destinata ad operare in favore della banca, piuttosto che del cliente, posto che assicurando che gli interessi non oltrepassino mai la soglia dell'usura cosiddetta "oggettiva", previene il rischio che il tasso convenzionale sia dichiarato nullo e che nessun interesse sia dovuto alla banca, con un effetto che non esprime profili di contrarietà a norme imperative.
La stessa clausola, tra l'altro, non presenta carattere elusivo, dal momento che il principio d'ordine pubblico che governa la materia è rappresentato dal divieto di praticare interessi usurari e non già dalla sanzione che consegue alla violazione del divieto stesso.
L'effetto che si produce, quindi, consiste nella "contrattualizzazione" di quello che è un divieto di legge, con le inevitabili conseguenze dal punto di vista del riparto dell'onere della prova: così procedendo, infatti, alla logica della violazione della norma imperativa si sovrappone quella dell'inadempimento contrattuale, con la conseguente traslazione dell'onere della prova in capo all'obbligato e, quindi, dell'istituto di credito.
Il principio di diritto - Ecco perché, sulla base del ragionamento descritto, la Suprema Corte giunge a fissare il principio di diritto a cui deve uniformarsi il giudice del rinvio, secondo cui in tema di rapporti bancari, l'inserimento di una clausola "di salvaguardia" trasforma il divieto legale di pattuire interessi usurari nell'oggetto di una specifica obbligazione contrattuale a carico della banca.
Quest'ultima, infatti, si impegna a non applicare mai, nel corso del rapporto di finanziamento, interessi in misura superiore a quella massima consentita dalla legge, con la conseguenza che – di fronte all'eventuale contestazione di sforamento – spetterà alla banca l'onere della prova di aver regolarmente adempiuto all'impegno assunto.
Fermo quanto sopra, la pronuncia è altresì rilevante in quanto legittima l'assunzione, ai fini della determinazione della soglia per gli interessi di mora, della maggiorazione del 2,1% oggetto di rilevazione da parte della Banca d'Italia che, ovviamente, comporta un aumento del "tetto".
Per individuare la soglia usuraria degli interessi di mora sarà, quindi, sufficiente sommare al "tasso soglia" degli interessi corrispettivi il valore medio degli interessi di mora, maggiorato nella misura prevista sempre dalle disposizioni antiusura.
Naturalmente, in caso di sforamento, si determina la configurazione della cosiddetta "usura oggettiva" con la conseguente nullità della clausola ai sensi dell'articolo 1815 del codice civile; sanzione, quest'ultima, che si sovrappone al rimedio della reductio ad aequitatem, comunque possibile per gli interessi convenzionali di mora, dal momento che essi assolvono alla funzione di una clausola penale, in quanto consistono nella liquidazione preventiva e forfettaria del danno da ritardato pagamento.
Corte di Cassazione – Sezione III – Sentenza 17 ottobre 2019 n. 26286