Irragionevole escludere i lavoratori-amministratori di sostegno dalle misure di assistenza a parenti disabili, come il trasferimento per avvicinamento
La sentenza 1396/2023 della Sezione Lavoro della Corte d'Appello di Roma offre una dettagliata interpretazione dei contenuti della Direttiva 2000/78/CE, sulla parità di trattamento in materia di occupazione e condizioni di lavoro, successivamente recepita dall'ordinamento italiano
La sentenza 1396/2023 della Sezione Lavoro della Corte d'Appello di Roma offre una dettagliata interpretazione dei contenuti della Direttiva 2000/78/CE, sulla parità di trattamento in materia di occupazione e condizioni di lavoro, successivamente recepita dall'ordinamento italiano con il D.Lgs. 216/2003.
In generale, per "parità di trattamento si intende l'assenza di qualsiasi discriminazione, sia diretta (ove le differenze si fondano sui classici coefficienti di rischio, quali la religione, le convinzioni personali, gli handicap, l'età e l'orientamento sessuale), sia indiretta (ove condotte apparentemente neutre determinano situazioni sfavorevoli per i soggetti portatori di detti fattori).
Come ben evidenziato dal Collegio romano, la direttiva europea "stabilisce un quadro generale" e "fissa standard minimi comuni", in materia, lasciando al Legislatore nazionale il compito di dare piena attuazione al principio di parità di trattamento, attraverso la predisposizione di misure idonee a sventare ogni possibile discriminazione.
Ciò posto, occorre concentrare l'attenzione sul decreto di attuazione, il cui art. 3 ricalca l'ambito applicativo già tracciato dalla Direttiva, includendovi il settore pubblico e privato, il lavoro autonomo e dipendente, l'accesso al lavoro, ai vantaggi sociali e fiscali, l'occupazione e le condizioni di lavoro. Dopo aver ribadito quanto già specificato nelle norme della direttiva, il Legislatore nazionale ha voluto sottolineare che, nello svolgimento di una prestazione lavorativa, le differenze di trattamento "dovute a caratteristiche connesse" ai sopracitati fattori di rischio (a loro volta intesi come elementi essenziali e determinanti) non sono qualificabili come atti discriminatori quando sono giustificati da uno scopo legittimo e rispondono ai principi di proporzionalità e di ragionevolezza.
La sentenza della Corte d'Appello di Roma n. 1396/2023 si occupa di un'ipotesi di discriminazione per disabilità nelle condizioni di lavoro.
La vicenda trae origine da un ricorso ex art. 414 c.p.c., proposto da una docente che, nominata amministratore di sostegno di un familiare, si è vista negare dall'Amministrazione scolastica il (diritto di precedenza al) trasferimento in un altro istituto, più vicina alla residenza del congiunto.
Nel disciplinare il sistema delle precedenze, il punto IV dell'art. 13 del CNNI sulla mobilità del personale scolastico per l'anno 2019/2020 si occupa (anche) di chi "esercita legale tutela del disabile in situazione di gravità". Nel caso di specie, il Ministero dell'Istruzione ha proposto un'interpretazione restrittiva dell'inciso "tutela legale", ricomprendendovi soltanto le ipotesi di tutela e di curatela, ma non quelle di amministrazione di sostegno, in palese violazione di norme imperative inderogabili, che riconoscono (anche se non in maniera assoluta, come lascia intendere il sintagma "ove possibile" ex art. 33 c. V della Legge 104/1992) al lavoratore che assiste un familiare handicappato il diritto di scegliere una sede di lavoro più vicina.
Nel confermare la sentenza del Tribunale, la Corte d'Appello di Roma ha evidenziato ancora meglio l'irragionevolezza e l'arbitrarietà dell'esclusione dei lavoratori-amministratori di sostegno dall'accesso alle misure di assistenza ai parenti (ed affini) disabili, quali il trasferimento per avvicinamento.
La soluzione proposta dalla sentenza 1396/2023 poggia su incontestabili osservazioni logico-giuridiche: innanzitutto, il Collegio rammenta la modifica apportata all'art. 3 del D.Lgs. 213/2003 da parte del D.L. 76/2013 conv. L. 99/2013, che ha inserito un c. III bis. La nuova disposizione si preoccupa di assicurare l'attuazione dei principi di parità di trattamento dei lavoratori disabili e di uguaglianza con gli altri prestatori d'opera, affidando a tutti i datori di lavoro il compito di adottare "accomodamenti ragionevoli".
Premessa la portata "generale ed ampia" delle disposizioni dettate in materia e l'esigenza di una loro applicazione "effettiva", come riconosciuto dalla copiosa giurisprudenza europea, la Corte d'Appello di Roma ha approfondito il concetto di discriminazione diretta connessa alla disabilità, richiamando nuovamente la Corte di Giustizia e la decisione del 2008 C-303/06. Secondo tale ultima pronuncia, infatti, il divieto di discriminazione diretta di cui alla Direttiva 78/2006 deve trovare concreta applicazione non soltanto nei confronti del disabile, ma anche nei confronti del lavoratore (normodotato) che lo assiste.
Poiché l'obiettivo principale è quello di offrire a entrambi i soggetti la più ampia tutela possibile, non sorprende che sia i giudici europei che quelli romani concordino nel ritenere doveroso "disapplicare disposizioni nazionali non conformi a detto principio e a disattendere le eventuali interpretazioni contrarie" (così, la decisione del 2016 C-441/14).
Sulla base di questi presupposti, il Collegio romano ha preso in esame l'istituto dell'amministrazione di sostegno ex artt. 404 e segg. c.c. e che oggi rappresenta, senza ombra di tutto, la principale forma di protezione dei soggetti fragili. Specie a seguito della riforma intervenuta con Legge 6/2004, l'amministrazione di sostegno è uno strumento più flessibile, rispetto all'interdizione e all'inabilitazione, potendosi adeguare alle esigenze del singolo beneficiario senza compromettere eccessivamente la sua autonomia.
Cionondimeno, come giustamente messo in evidenza nella sentenza 1396/2023, "è indubbio che l'amministrazione di sostegno integri una norma di "tutela legale" a rilevanza pubblicistica" e questo si deduce facilmente dalle norme procedurali che disciplinano la nomina dell'amministratore.
È chiaro, dunque, che escludere l'amministratore di sostegno dalle garanzie assicurate a tutori e curatori costituisce una scelta irragionevole e arbitraria, ponendosi in evidente contrasto con gli obiettivi e con i principi predisposti dalla Direttiva 2000/78/CE e dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia e che il Legislatore Nazionale e i giudici italiani sono stati chiamati ad applicare concretamente.