L’autore dell’abuso non ha titolo contro l’ingiunzione a demolire beni acquisiti dal Comune
Il permesso di costruire rilasciato in sanatoria per manufatti in aree vincolate deve comunque essere accompagnato dall’autorizzazione paesaggistica per conformità alla disciplina urbanistica ed edilizia
Con due sentenze entrambe massimate la Cassazione penale affronta il tema degli abusi edilizi e di come evitare le conseguenze da essi derivanti, sotto i due diversi profili dell’interesse a impugnare l’ordine di demolizione dell’opera acquisita al patrimonio comunale e della possibilità di conseguire in sanatoria il titolo abilitativo non posseduto al momento dell’esecuzione del manufatto illegale in zona vincolata.
Con la sentenza n. 24990/2025 la Cassazione penale ha negato in radice che sussistesse in capo all’autore dell’abuso l’interesse a impugnare l’ingiunzione del pubblico ministero a demolire il bene ormai acquisito dal Comune. E, soprattutto, la decisione nega qualsiasi vantaggio - a chi è stato condannato - di poter sfruttare l’inerzia della parte pubblica al fine di non ottemperare all’ordine di demolizione impartito con la sentenza del giudice penale. Anzi, al contrario, la Corte fa rilevare che il tempo trascorso tra l’ordine del giudice non eseguito dal condannato e l’ingiunzione spiccata dal Pm non può che portare a negare la preminenza dell’esigenza abitativa propria o di un terzo proprio per aver avuto a disposizione un lungo periodo per potersi procacciare un’altra abitazione.
Comunque, nel caso specifico, il ricorrente intendeva anche “sfruttare” - contro l’ingiunzione a demolire - l’acquisizione da parte del Comune già avvenuta con la manifestazione d’interesse dell’ente locale a mantenere il manufatto per destinarlo ad abitazione popolare. E, con il ricorso, l’autore dell’illecito riteneva che la destinazione fosse soddisfatta dalla presenza nell’abitazione abusiva di altra persona inizialmente condannata col ricorrente per l’abuso.
Ma come chiarisce la Cassazione, in primis, il ricorrente non aveva titolo per chiedere sospensione o revoca dell’ingiunzione. Infatti, a seguito dell’acquisizione comunale del manufatto il privato che lo ha realizzato è spogliato della qualificazione giuridica di proprietario e di qualsiasi altro diritto reale sul bene. Da cui consegue la mancanza di interesse ad agire che è il presupposto dell’azione giudiziale che risulta quindi posta in violazione del comma 4 dell’articolo 568 del Codice di procedura penale. Titolare dell’azione sarebbe il Comune che comunque potrebbe porsi in posizione di contrasto con la demolizione non solo con l’interesse manifestato al mantenimento del bene, ma con la specifica delibera consiliare che ne stabilisca la specifica destinazione. Delibera che però nel caso concreto non era stata mai ancora adottata. Infine, l’argomento che la la casa abusiva fosse stata destinata ad abitazione della persona condannata insieme al ricorrente, non costituisce alcun impedimento al ripristino dello stato dei luoghi proprio in considerazione che l’ampio lasso di tempo decorso tra ordine e ingiunzione a demolire non può essere sfruttato dall’autore del reato e depone per la sussistenza della possibilità di trovare altra soluzione abitativa per la persona che occupa l’abuso non ancora demolito.
Con la seconda sentenza - la n. 24980 - la Corte di cassazione penale spiega che il permesso a costruire concesso in sanatoria deve avere la doppia conformità alla disciplina urbanistica a quella edilizia quando le opere abusivamente realizzate insistono in zona vincolata. Inoltre, trattandosi di opere cementizie è necessario il rispetto della disciplina “delle opere di conglomerato cementizio armato, normale e precompresso ed a struttura metallica”, dettata dalla seconda parte del testo unico dell’edilizia. Da cui deriva l’insanabilità delle violazioni per il mancato deposito preventivo del progetto che, nel caso specifico, non era stato neanche predisposto al fine di realizzare una cisterna interrata per la raccolta dell’acqua piovana e le relative opere di canalizzazione.
Il ricorrente riteneva di poter contrastare la condanna subita solo per aver presentato istanza di sanatoria dell’opera illecita. Ma, per giurisprudenza costante, solo l’esame positivo del giudice sulla possibilità che l’istanza sia accolta blocca le conseguenze della condanna. E nel caso specifico, la Cassazione ha ritenuto insuperabile l’abuso realizzato con l’eventuale ottenimento del permesso in sanatoria in quanto non basta la corrispondenza alla disciplina urbanistica per sanare l’abuso, in assenza di autorizzazione che superi il vincolo violato cui è sottoposta una specifica area del territorio. L’opera, infatti, per essere realmente sanata deve comunque rispettare la disciplina edilizia, compreso il vincolo paessaggistico imposto che, a differenza di quello antisismico, non è superabile con il solo titolo sanante.