Società

L'insinuazione al passivo fallimentare del credito sopravvenuto

L'insinuazione del credito sorto successivamente alla declaratoria del fallimento non può avvenire sine die, ma è soggetta al rispetto di un limite temporale

di Rossana Mininno


La disciplina del fallimento è improntata al principio della par condicio creditorum, in virtù del quale il recupero dei crediti avviene in regime di concorsualità con la necessaria partecipazione in contraddittorio di tutti i creditori.

È, altresì, caratterizzata dalla esclusività del rito speciale di accertamento del passivo: la declaratoria del fallimento comporta la cristallizzazione della massa passiva per cui tutti i crediti esistenti nei confronti del soggetto fallito devono essere accertati nell'ambito del procedimento appositamente previsto e disciplinato dal Capo V del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, dedicato alla regolamentazione delle operazioni di formazione e di verifica dello stato passivo.

Come chiarito dai Giudici di legittimità, «i creditori hanno diritto di soddisfarsi sul ricavato della liquidazione dell'attivo solo in proporzione delle rispettive ragioni, fatti salvi i diritti di prelazione, ed i rispettivi crediti devono essere accertati unitariamente, quali che siano i relativi titoli e le domande cui possono dar luogo» (Cass. civ., Sez. I, 24 novembre 2011, n. 24847).

La sentenza dichiarativa del fallimento introduce un giudizio nuovo rispetto alla - già definita - fase prefallimentare (Cass. civ., Sez. I, 16 maggio 2019, n. 13271), dando avvio a un'ulteriore fase del processo concorsuale, diretta - in via esclusiva - alla individuazione, quantificazione e graduazione dei crediti esistenti nei confronti del fallito: il procedimento di formazione e verifica dello stato passivo ha natura giurisdizionale e decisoria ed è strutturato sullo schema del processo di cognizione, fatti salvi gli adattamenti necessari in virtù del carattere sommario della cognizione (Cass. civ., Sez. I, 11 dicembre 2003, n. 18935).

Il detto procedimento è strutturato con modalità tali da garantire la partecipazione e il contraddittorio di tutti i soggetti che vantino pretese creditorie da far valere sul patrimonio acquisito all'attivo, partecipazione che costituisce per il creditore un adempimento necessario e imprescindibile, rectius un onere per poter ottenere, in sede di distribuzione dell'attivo, il soddisfacimento della pretesa creditoria vantata.

A tale verifica sono soggetti - indistintamente - tutti i creditori, a prescindere dal rango del credito vantato (id est, chirografario o privilegiato), i quali, al precipuo fine di soddisfarsi sul ricavato della liquidazione dei beni del fallito, devono proporre domanda di insinuazione al passivo fallimentare: solo con l'ammissione i creditori da ‘concorsuali' diventano ‘concorrenti' e acquisiscono il diritto a concorrere alla ripartizione dell'attivo.

La domanda di insinuazione di un credito si propone con ricorso, i cui termini di presentazione sono stabiliti dagli articoli 93 e 101 del regio decreto n. 267 del 1942: la domanda di ammissione al passivo deve essere trasmessa almeno trenta giorni prima dell'udienza fissata per l'esame del progetto di stato passivo (domanda c.d. tempestiva); se trasmessa oltre detto termine e non oltre quello di dodici mesi dal deposito del decreto di esecutività dello stato passivo, la domanda si considera tardiva; in caso di particolare complessità della procedura il termine di dodici mesi dal deposito del decreto di esecutività dello stato passivo può essere prorogato dal Tribunale fino a diciotto mesi.

Oltre il termine di dodici mesi dal deposito del decreto di esecutività dello stato passivo, eventualmente prorogato a diciotto mesi, la domanda tardiva è ammissibile a condizione che non siano esaurite tutte le ripartizioni dell'attivo fallimentare e che l'istante provi che il ritardo è dipeso da causa a lui non imputabile: in tal caso la domanda si considera ultra-tardiva o super-tardiva.

La domanda di insinuazione tardiva di un credito non preclude agli organi della procedura il compimento di ulteriori attività processuali, ivi compresa la chiusura del fallimento per l'integrale soddisfacimento dei creditori ammessi o per l'esaurimento dell'attivo, né comporta l'obbligo per il curatore di accantonare una parte dell'attivo a garanzia del creditore tardivamente insinuatosi, stante la mancata inclusione di tale fattispecie tra le ipotesi - tassative (cfr. ex multis Cass. civ., Sez. VI, 2 settembre 2014, n. 18550) - di accantonamento previste dall'articolo 113 del regio decreto n. 267 del 1942.

Per quanto attiene al trattamento dei crediti sorti nel corso della procedura fallimentare (c.d. sopravvenuti) - intendendosi tali «i crediti che vengono a maturare le condizioni di partecipazione al passivo fallimentare dopo la sentenza dichiarativa di fallimento» (Cass. civ., Sez. I, 10 luglio 2019, n. 18544) - la giurisprudenza di legittimità si è costantemente e pacificamente pronunciata nel senso della non assoggettabilità ai termini decadenziali previsti dall'articolo 101, primo e ultimo comma, del regio decreto n. 267 del 1942 dell'insinuazione dei crediti il cui momento genetico sia collocabile temporalmente all'interno della procedura fallimentare (cfr. ex multis Cass. civ., Sez. I, 31 luglio 2015, n. 16218).

Con la recente ordinanza n. 2308 pubblicata in data 2 febbraio 2021 i Giudici della Sesta Sezione civile della Corte di cassazione - chiamati a pronunciarsi sulla questione del trattamento dei crediti c.d. sopravvenuti e del termine applicabile alla relativa insinuazione al passivo - hanno chiarito che la tesi giuridica secondo la quale «i crediti sorti successivamente alla declaratoria di fallimento possano essere insinuati al passivo sine die, non essendo soggetti ad alcun termine di decadenza», è da ritenersi «superata dal prevalente orientamento di questa Corte (da ultimo Cass. 3872/2020, Cass. 18544/2019), in base a quale:

i) «l'insinuazione al passivo dei crediti sorti nel corso della procedura fallimentare non è soggetta al termine di decadenza previsto dall'art. 101, co. 1 e 4, l.f.» (v. Cass. 16218/2015, 20310/2018, 1391/2019, 13461/2019, 18544/2019, 28799/2019);

ii) «in questi casi non è possibile ritenere che i crediti così sorti rimangano pivi di un adeguato spazio temporale per la presentazione dell'insinuazione, non costituendo a ciò rimedio adeguato (Cass. 16218/2015) l'opinione secondo cui, "costituendo il carattere sopravvenuto del credito stesso ragione di non imputabilità del ritardo dell'insinuazione, quest'ultimo sarebbe comunque ammissibile ai sensi dell'ultimo comma dell'art. 101 legge fall."»;

iii) «tale insinuazione tuttavia incontra comunque un limite temporale, da individuarsi – in coerenza e armonia con l'intero sistema di insinuazione che è attualmente in essere e sulla scorta dei principi costituzionali di parità di trattamento di cui all'art. 3 Cost. e del diritto di azione in giudizio di cui all'art. 24 Cost. – nel termine di 1 anno, espressivo dell'attuale sistema in materia», decorrente «dal momento in cui si verificano le condizioni di partecipazione al passivo fallimentare» (Cass. 3872/2020), o «dalla maturazione del credito» (Cass. 18544/2019)».

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