Società

La cancellazione della società di persone dal Registro delle Imprese determina un fenomeno successorio senza alcuna automatica rinuncia ai crediti sociali

"Qualora all'estinzione della società, conseguente alla sua cancellazione dal registro delle imprese, non corrisponda il venir meno di ogni rapporto giuridico facente capo alla società estinta, si determina un fenomeno di tipo successorio. La cancellazione della società dal registro delle imprese, inoltre, non genera una presunzione, neppure iuris tantum, di rinuncia della società ai propri crediti (non ancora giudizialmente accertati nell'an e nel quantum)". Lo ha stabilito la Corte di Cassazione con la sentenza 27894 del 13.10.2021

di Emanuele Stabile

La S. G. & C. Snc agiva in giudizio contro la B. M. P. S. Spa per ottenere l'accertamento di alcuni suoi crediti, ma il Tribunale di Lucca rigettava la domanda. La società si estingueva in corso di causa ex art. 2272, n. 4. c.c. per mancata ricostituzione della compagine sociale nel termine e S. G., che aveva acquistato la partecipazione del socio superstite N. L. nella predetta, proponeva appello. La Corte di Appello di Firenze dichiarava inammissibile il gravame per carenza di legittimazione attiva di S. G. La Cassazione ( nella sentenza in commento n.27894 del 13.10.2021 ) , dunque, da un lato, ha dovuto stabilire se l'estinzione della società di persone determini un fenomeno successorio in capo ai soci. Dall'altro, essa ha dovuto chiarire se all'estinzione consegua una presunzione iuris tantum di rinuncia dell'ente ai propri crediti.

L'art. 2272, n. 4, c.c. annovera tra le cause di scioglimento della società semplice, applicabili anche alle altre società di persone, la mancata ricostituzione della compagine sociale entro sei mesi dal verificarsi del fatto; e l'art. 2312 c.c. disciplina la cancellazione delle Snc dal Registro delle Imprese (da ora anche "RI"). L'art. 110 c.p.c., invece, regola la successione nel processo stabilendo il subentro del successore universale nella posizione giuridica della parte processuale venuta meno.

In merito alla successione nei rapporti pendenti al momento della cancellazione dal RI, la Suprema Corte ripercorre un noto contrasto giurisprudenziale al riguardo.

Da un lato, vi era l'orientamento delle Sezioni Unite, applicabile a tutti i tipi societari in virtù di un'interpretazione sistematica dell'art. 2495 c.c., ispirata anche dal novellato art. 10 L.F., per cui "… la cancellazione di una società di capitali o cooperativa [nds, e di persone] dal registro delle imprese dopo l'esaurimento del procedimento di liquidazione determina l'estinzione della società anche se non tutti i rapporti giuridici, attivi e passivi, di cui la società era titolare al momento della cancellazione siano stati definiti" (Cass. SS. UU. 4060, 4061, 4062/2010).

Dall'altro, l'orientamento oggi prevalente è quello, sempre delle Sezioni Unite, che per le società di persone afferma: "qualora all'estinzione della società, conseguente alla sua cancellazione dal registro delle imprese, non corrisponda il venir meno di ogni rapporto giuridico facente capo alla società estinta, si determina un fenomeno di tipo successorio, in virtù del quale: a) le obbligazioni si trasferiscono ai soci, i quali ne rispondono, nei limiti di quanto riscosso a seguito della liquidazione o illimitatamente, a seconda che, pendente societate, essi fossero o meno illimitatamente responsabili per i debiti sociali; b) si trasferiscono del pari ai soci, in regime di contitolarità o di comunione indivisa, i diritti ed i beni non compresi nel bilancio di liquidazione della società estinta …" (Cass. SS. UU. 6070, 6071, 6072/2013). Tale tesi amplia un principio di diritto, che ne costituisce il fondamento, per cui la cancellazione dell'ente dal RI ha solo efficacia dichiarativa e laddove sia rimossa, anche d'ufficio, (Cass. SS. UU. 4826/2010) il diniego assoluto dell'effetto successorio è illogico.

In merito alla presunzione di rinuncia dei diritti spettanti alla società a causa della sua cancellazione dal RI, la sentenza ancora una volta analizza gli opposti orientamenti esistenti. In passato, la tesi prevalente, peraltro sostenuta anche dalla citata sentenza del 2013, stabiliva che la cancellazione di una società, titolare di un diritto, lasciasse presumere una rinuncia alla suddetta situazione giuridica.
La remissione del debito, però, è un atto negoziale che presuppone una manifestazione di volontà, accettata dal debitore, espressa o tacita, quest'ultima necessariamente univoca e concludente; requisiti da accertare con cautela.

Nel caso in esame, la mancata dichiarazione da parte del difensore di estinzione della società dimostra che non vi fosse alcuna intenzione della parte processuale di rinunciare ai propri diritti tanto che essa aveva inteso proseguire il processo.
Alla luce delle suddette considerazioni, dal menzionato fenomeno successorio in corso di causa, quindi, non deriva alcuna automatica rinuncia, neppure tacita. La sentenza, tuttavia, non chiarisce espressamente la sorte dei diritti non azionati al momento della cancellazione della società. In tal caso, ragionando a contrario si potrebbe desumere una rinuncia dell'ente, ma sarebbe (stata) opportuna una maggiore chiarezza.

In conclusione, la Corte di Cassazione ritiene che sia "… errato presumere sempre iuris et de iure, a fronte di cancellazione richiesta dal liquidatore della società ed effettuata in corso di causa, una rinuncia della stessa al diritto azionato".

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