La Cassazione conferma l’indeducibilità della differenza da recesso nelle società di capitali
Nota a Corte di Cassazione, Sez. TRI Civile, Ordinanza 23 ottobre 2024, n. 27460
La Cassazione con l’ordinanza n. 27460/2024 depositata il 23 ottobre scorso afferma che sotto il profilo fiscale la differenza da recesso, nell’ambito delle società di capitali deve qualificarsi come una remunerazione riconducibile, per il socio uscente, a reddito di capitale e, in quanto tale, rientrante nella previsione di indeducibilità di cui all’art. 109 comma 9 lett. a) del TUIR in base al quale non è deducibile dal reddito d’impresa, ogni tipo di remunerazione dovuta: “su titoli, strumenti finanziari comunque denominati, di cui all’articolo 44, per la quota di essa che direttamente o indirettamente comporti la partecipazione ai risultati economici della società emittente ..omissis..”
In altre parole, le somme o il valore normale dei beni ricevuti dai soci in caso di recesso (la differenza da recesso) si qualificano come una remunerazione, un’anticipata liquidazione di redditi futuri o di utili latenti in bilancio, che ai sensi dell’art. 47 comma 7 del TUIR, costituiscono utile per la parte che eccede il prezzo pagato per l’acquisto o la sottoscrizione delle azioni o quote annullate.
L’ordinanza n. 27460/2024 (che, da quanto risulta è la prima riferita alle società di capitali) conferma gli orientamenti di prassi dell’Agenzia delle Entrate. Infatti, la Direzione Regionale delle Entrate dell’Emilia Romagna con la risposta n. 11489 del 6 marzo 2007 aveva ritenuto che le somme corrisposte da un S.r.l. in eccedenza rispetto alla quota del patrimonio netto contabile di pertinenza del socio stesso non possono essere dedotte dalla società stessa, in quanto il recesso attiene alla sfera patrimoniale della società, la quale deve attingere, per liquidare il socio uscente, dalle proprie riserve o direttamente dal capitale e, in caso di incapienza del patrimonio netto, procedere alla propria liquidazione.
È opportuno ricordare che l’importo da liquidarsi al socio receduto da una S.r.l. deve calcolarsi, ai sensi dell’art. 2473, terzo comma, c.c., in ragione del valore di mercato della sua quota di partecipazione al patrimonio sociale nel momento del recesso, e l’ammontare normalmente risulterà, superiore al valore della corrispondente quota del patrimonio netto contabile. Tale differenza - che può derivare dal valore dell’avviamento, da plusvalenze latenti sui beni dell’azienda sociale, dalla partecipazione agli utili inerenti alle operazioni in corso alla data del recesso - è comunemente denominata “differenza da recesso”.
La somma corrisposta al socio uscente a seguito della liquidazione della sua quota si può quindi considerare costituita da due componenti:
i) la prima, consistente nel rimborso della quota di capitale sociale versata dal socio e nelle eventuali riserve, sia di utili sia di capitale, a lui distribuite;
ii) la seconda, derivante dall’eventuale maggior valore economico della società al momento del recesso rispetto al valore contabile del patrimonio netto, tale componente rappresenta la cosiddetta “differenza da recesso”» (Cass. sez. V, 14.9.2021, n. 24671).
Ai sensi dell’art. 2473 c.c., quarto comma, “Il rimborso delle partecipazioni per cui è stato esercitato il diritto di recesso…può avvenire anche mediante acquisto da parte degli altri soci...Qualora ciò non avvenga, il rimborso è effettuato utilizzando riserve disponibili o, in mancanza, corrispondentemente riducendo il capitale sociale; in quest’ultimo caso si applica l’articolo 2482 e, qualora sulla base di esso non risulti possibile il rimborso della partecipazione del socio receduto, la società viene posta in liquidazione”.
Non si ravvisa nella normativa civilistica alcuna previsione che consenta di imputare a conto economico l’onere derivante dalla corresponsione della differenza da recesso. Coerentemente il principio contabile OIC n. 28 al paragrafo 32 stabilisce che “in caso di mancato collocamento delle azioni per cui è stato esercitato il diritto di recesso, entro centottanta giorni dalla comunicazione di recesso, le azioni sono rimborsate mediante l’acquisto da parte della società utilizzando riserve disponibili. Pertanto, dopo centottanta giorni dalla comunicazione di recesso la società rileva in bilancio l’obbligo a rimborsare il socio recedente acquistando le azioni dello stesso (non acquistate da altri soci) al valore determinato secondo gli articoli 2437-ter e 2473 del Codice civile…In caso di assenza di utili e riserve disponibili il rimborso delle azioni avviene mediante riduzione del capitale o lo scioglimento (liquidazione) della società. A seguito della delibera di riduzione del capitale sociale, la società iscrive un debito nei confronti del socio receduto per un importo determinato secondo gli articoli 2437-ter e 2473 del Codice civile.”
In altre parole, il richiamato principio contabile attualmente in vigore chiarisce che, a seguito della riduzione del capitale sociale ed eventualmente anche delle riserve, sorge un debito nei confronti del socio receduto per un importo pari al valore assegnato alla partecipazione posseduta. Di fatto, quindi, la differenza da recesso non transita a conto economico, interessando solo la sfera patrimoniale della società.
Vale solo la pena di segnalare che nella versione del principio contabile del 2005 – oggi non più in vigore – si giungeva ad una diversa soluzione, ovvero, che in caso di insufficienza delle riserve, la differenza da recesso andava imputata al conto economico. In tal senso si esprime infatti una parte minoritaria di prassi (massima n. 8/2009 del Consiglio notarile dei distretti riuniti di Firenze, Pistoia e Prato) ammettendo l’iscrizione diretta della differenza a Conto economico anche nelle società di capitali (non risultano tuttavia indicazioni giurisprudenziali in merito).
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*A cura di Stefano Barelli, partner Eptalex
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