La kafala non è adozione ma il minore è un familiare
La kafala non può essere equiparata all'adozione perché manca il rapporto di filiazione e, quindi, il minore sottoposto a tutela non può incluso tra i discendenti diretti. In ogni caso, una coppia di cittadini Ue, residenti in un altro Stato membro, ha diritto a fare entrare sul territorio dello Stato membro di residenza il minore in affidamento attraverso la kafala in quanto familiare di un cittadino dell'Unione, a meno che non sussistano motivi di ordine pubblico o abuso di diritto o frode. Lo ha affermato l'Avvocato generale della Corte di giustizia dell'Unione europea, Campos Sánchez-Bordona, nelle conclusioni relative alla causa C-129/18, depositate ieri.
Il caso
La vicenda che ha portato al rinvio pregiudiziale d'interpretazione ha al centro una coppia di nazionalità francese, residente nel Regno Unito, che aveva avuto in affidamento in Algeria, con la formula della kafala, una minore di nazionalità algerina. La coppia non poteva avere figli e aveva fatto ricorso alla kafala. Il marito era poi rientrato in patria, ma la domanda di ingresso della minore era stata respinta dall'ufficiale responsabile per il rilascio delle autorizzazioni all'ingresso. Il Tribunale di primo grado inglese aveva respinto il ricorso non considerando la minore come persona legalmente adottata o come familiare. La Corte di appello aveva condiviso questa posizione anche in base alla direttiva 2004/38 sul diritto dei cittadini dell'Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri. La Corte suprema, prima di decidere, ha chiesto aiuto agli eurogiudici.
L’avvocato generale della Corte Ue
Sulla vicenda è così intervenuto l'Avvocato generale della Corte Ue, le cui conclusioni non sono vincolanti anche se in genere seguite dalla Corte. Prima di tutto, ad avviso di Sánchez-Bordona, è necessario chiarire se la minore possa essere considerata come “discendente diretta” di un cittadino dell'Unione in base all'articolo 2, punto 2, lettera c) della direttiva, situazione che, naturalmente, aprirebbe le porte all'ingresso nel Regno Unito. La kafala – osserva l'Avvocato generale – varia nei diversi ordinamenti anche se sussiste “un filo conduttore comune” dovuto alle radici coraniche. In Algeria, la kafala è temporanea e revocabile e coloro che hanno la tutela del minore non sono legati da un rapporto di filiazione o di adozione. Un insieme di elementi che conduce l'Avvocato generale a escludere un'equiparazione tra l'istituto della kafala e quello dell'adozione, per di più vietata in Algeria, anche perché la tutela legale permanente “non rende il minore posto sotto tutela un discendente diretto (per adozione) del suo tutore”.
Di conseguenza, per l'Avvocato generale, la minore legata ai coniugi dalla kafala non va considerata come discendente diretta e, quindi, non va applicata la disciplina a lei più favorevole prevista dalla direttiva, che permette ai discendenti diretti di età inferiore a 21 anni di ottenere in maniera automatica “il diritto di entrare e soggiornare nello Stato membro in cui risiedono i loro ascendenti cittadini dell'Unione.
Quest'interpretazione, se impedisce il ricorso più agevole all'ingresso del minore in quanto discendente diretto, non esclude in via generale l'ingresso, se il minore è considerato come “altro familiare” secondo la direttiva. Spetta così alle autorità nazionali accertare se si tratti di altro familiare in grado di avvalersi dell'articolo 3 della direttiva che impone agli Stati membri di agevolare l'ingresso e il soggiorno dei familiari, tenendo conto del principio dell'interesse superiore del minore affermato nella Convenzione di New York sui diritti del fanciullo del 1989, che deve essere considerato in ogni valutazione relativa al minore. E questo – scrive l'Avvocato generale – anche nel procedimento nel quale è stata decisa la tutela o la custodia.