Civile

La Procura Generale prende posizione sulla pretesa nullità delle fideiussioni ABI

Dalla declaratoria di nullità di una intesa tra imprese per lesione della libera concorrenza non deriva la nullità (a catena) di tutti i contratti di fideiussione posti in essere dalle imprese aderenti all'intesa, né la nullità (derivata) delle singole clausole sanzionate: i contratti a valle mantengono inalterata la loro validità e possono dare luogo alla specifica azione di risarcimento dei danni da parte dei fideiussori nei confronti degli istituti di credito

di Lorenzo Crocini*

Nell'ampia casistica giudiziaria in tema di validità delle fideiussioni predisposte dalle banche sulla scorta del noto modello ABI, già sanzionato nel 2005 per violazione della disciplina antitrust, le conclusioni depositate dalla Procura Generale presso la Corte di Cassazione all'udienza dello scorso 23 novembre 2021, dinanzi alle Sezioni Unite, costituiscono un solido approdo e promettono una svolta definitiva.

Con ordinanza del 30.04.2021, il Presidente della Prima Sezione della Corte aveva rimesso gli atti del ricorso n. 20438/2016 R.g. al Primo Presidente per l'eventuale assegnazione alle SS. UU., ponendosi come evidente "la necessità di una rimeditazione dei principi enunciati dalla giurisprudenza di legittimità in tema di nullità dei contratti stipulati in conformità di intese restrittive della concorrenza ".

A seguito del provvedimento n. 55/2005 con cui la Banca d'Italia aveva accertato che le clausole n. 2, 6 e 8 del modello di fideiussione ABI, se applicate in modo uniforme, sono in contrasto con l'art. 2 comma 2 lett. a) della legge n. 287/1990, integrando una illecita intesa restrittiva del mercato, tre diverse opzioni ricostruttive erano emerse nella giurisprudenza di merito rispetto alla validità dei singoli contratti stipulati dagli istituti a valle dell'intesa:

(i) un indirizzo fondato sulla sanzione di nullità integrale del contratto di garanzia (art. 1418 comma 1 c.c., nullità per violazione di norma imperativa, con ulteriori specificazioni attinenti l'illiceità della causa del negozio);
(ii) un indirizzo più rispettoso del principio di conservazione degli atti (art. 1419 c.c., nullità parziale);
(iii) un indirizzo che limitava al rimedio risarcitorio la tutela esperibile da parte del cliente – garante.

Dinanzi alle SS.UU. della Corte Suprema è stata dunque discussa la questione della sorte giuridica dei contratti di fideiussione riproducenti il modello anticoncorrenziale, al fine di verificare se, affermata l'esistenza dell'intesa vietata "a monte", essa riverberi automaticamente i propri effetti sui contratti stipulati "a valle".

Orbene, la Procura Generale, dopo avere passato in rassegna gli opposti orientamenti che a più riprese si sono fronteggiati sul tema, generando una situazione che la stessa Procura non esita a definire di "confusione", afferma a chiare lettere che solo la tesi dell'esperibilità del rimedio risarcitorio nell'ambito dei singoli contratti di fideiussione appare compatibile con il quadro giuridico di matrice eurounitaria e con la legislazione nazionale: "uno stringente automatismo, come già osservato, non trova giustificazioni nella legislazione e non sembra controvertibile che l'art. 2 comma 3 della legge n. 287 restringa la nullità al campo delle intese: sulla base del noto canone dell'interpretazione letterale (per la cui rilevanza, da ultimo, S.U. 09.09.2021 n. 24413) non residuano significativi margini di dubbio sulla limitazione della nullità alle sole intese "a monte".

I contratti fra la singola impresa (partecipante all'intesa vietata) ed il cliente sono comunque espressione dell'autonomia privata dei contraenti e l'avere inserito all'interno del contratto alcune clausole estratte dal programma anticoncorrenziale non appare circostanza sufficiente a privare il successivo contratto "a valle" di una autonoma ragion d'essere e della sua validità" (conclusioni P.G., pagg. 8 e 9).

Nell'iter argomentativo della Procura assume centrale rilevanza la distinzione concettuale tra contratti esecutivi di un'intesa anticoncorrenziale, da un lato, e contratti meramente consecutivi all'intesa, dall'altro lato: tra questi ultimi e l'intesa a monte non può essere rinvenuto, nel diritto positivo, alcun nesso giuridico che possa determinare la traslazione del vizio genetico.

Il Procuratore prosegue, infatti, rilevando come non sia configurabile una nullità testuale per violazione di norma imperativa (art. 1418 comma 1 c.c.), in difetto di un disposto che si applichi direttamente agli elementi stessi del contratto; d'altra parte, non sarebbe ipotizzabile alcuna nullità derivata poiché difetta qualunque presupposto di collegamento negoziale e di coordinamento dei diversi negozi giuridici con la finalità, comune alle parti, di realizzare una alterazione del mercato: "Va osservato che il consumatore finale non è parte dell'intesa anticoncorrenziale e stipula il contratto per un proprio interesse, in genere coincidente con il fine tipico dell'operazione posta in essere" (pag. 9 primo cpv.).

Le clausole dei contratti impugnati, pertanto:
- sono valide poiché manca una norma che ne prescriva la nullità;
- non viziano la causa complessiva del contratto "a valle", poiché l'effetto anticoncorrenziale è il portato della sola intesa "a monte" (e quindi non è predicabile una causa illecita);
ed inoltre:
- gli oggetti dei due negozi (intesa anticoncorrenziale e contratto "a valle") rimangono autonomi e diversi;
- tra l'intesa e il contratto "a valle" non sussiste alcun nesso di strumentalità necessaria né collegamento negoziale in senso tecnico.

La Procura sostiene, quindi, autorevolmente, che l'unica forma di tutela ammessa nell'ordinamento europeo e in quello nazionale, per come resi manifesti dal diritto positivo, a fronte di intese anticoncorrenziali "o di altre violazioni dell'art. 2 della legge n. 287/1990", sia quella risarcitoria, "… da attuare sia nelle forme dell'iniziativa individuale (attraverso l'estensione pretoria della legittimazione attiva all'azione ex art. 33 Legge n. 287/1990 ad utenti consumatori, sancita da Cass. S.U. 04.02.2005 n. 2207), sia sotto forma di azione collettiva introdotta con l'entrata in vigore dell'art. 140-bis Dlgs. n. 206/2005 la quale, non a caso, è espressamente limitata "all'accertamento della responsabilità per la condanna al risarcimento del danno e alle restituzioni" ed a ristoro "del pregiudizio derivante agli stessi consumatori ed utenti da pratiche commerciali scorrette o da comportamenti anticoncorrenziali".

L'organo requirente stigmatizza poi "l'erroneità di una ricostruzione giurisprudenziale che amplia le tutele, spingendosi ben oltre il dato normativo nella introduzione di tutele reali atipiche con il fine esclusivo di garantire l'astratta correttezza dei contratti (esulando così dal profilo economico e dal principio di autonomia privata) per affiancare al rimedio tipico (nullità dell'intesa) forme di nullità derivata atte a travolgere (in parte o per intero) i contratti a valle".

La Procura Generale ha quindi concluso per l'accoglimento del seguente principio di diritto: "Dalla declaratoria di nullità di una intesa tra imprese per lesione della libera concorrenza, nella specie per effetto del provvedimento n. 55 del 2005 della Banca d'Italia, non deriva la nullità (a catena) di tutti i contratti di fideiussione posti in essere dalle imprese aderenti all'intesa, né la nullità (derivata) delle singole clausole sanzionate: i contratti a valle mantengono inalterata la loro validità e possono dare luogo alla specifica azione di risarcimento dei danni da parte dei fideiussori nei confronti degli istituti di credito – previo accertamento incidentale della nullità dell'intesa ed a condizione che sia fornita la prova di un possibile danno derivante dalle condizioni contrattuali deteriori che il fideiussore non avrebbe accettato in mancanza della intesa".

L'opera della Procura appare orientata, come in innumerevoli altri casi, a rimuovere le gravi forzature sedimentate in una prassi curiale non sempre aderente ai canoni di interpretazione della legge, ricostruendo con precisione il quadro normativo applicabile e il perimetro delle tutele che ne discendono.

Le conclusioni esposte, benché possiedano carattere processualmente interlocutorio, si pongono quindi come un elemento di sicuro e immediato impatto nell'ampio contenzioso pendente, in ragione della fermezza dell'analisi condotta, della chiarezza e della coerenza sistematica dei risultati raggiunti.

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*A cura dell'Avv. Lorenzo Crocini, Partner 24 ORE Avvocati

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