Civile

Le istruzioni della Banca d’Italia non sono vincolanti

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di Aldo Angelo Dolmetta

Le Istruzioni di vigilanza della Banca d’Italia vanno tenute ben distinte dai regolamenti: solo questi ultimi sono fonti secondarie di diritto, le prime si limitano a «impartire direttive ai soggetti vigilati e offrire criteri di specificazione o interpretazione del dettato normativo». Lo precisa la sezione specializzata in materia d’impresa del Tribunale di Napoli (sentenza n. 8035 del 12 settembre 2019).

Il caso riguardava i requisiti per essere soci di una banca di credito cooperativo. Secondo l’articolo 34 del Testo unico bancario «è necessario risiedere, aver sede ovvero operare con continuità nel territorio di competenza della banca». Le Istruzioni della Banca d’Italia aggiungono - con nota illustrativa della formula della «continuità operativa» - che questa può ritenersi rispettata secondo plurime forme di «legame con il territorio, purché di tipo essenzialmente economico (ad esempio, la titolarità di diritti reali su beni immobili siti nella zona)». Per solito, gli statuti delle banche riproducono la norma di legge, senza l’aggiunta della Vigilanza.

Nella vicenda, un socio di una banca di credito cooperativo aveva dichiarato di recedere in quanto aveva trasferito residenza e attività fuori dal Comune di competenza della banca. La banca si era opposta perché: il socio era proprietario di un immobile (seppur «non locato e non utilizzato») nel territorio comunale; le Istruzioni della Vigilanza sono vincolanti; lo statuto va per forza letto in conformità.

La controversia finisce in tribunale, nella specie quello di Napoli.

La sentenza 8035 del settembre 2019 dà ragione al socio. Le Istruzioni di vigilanza vanno tenute ben distinte dai regolamenti: solo questi ultimi sono fonti secondarie di diritto, le prime si limitano a «impartire direttive ai soggetti vigliati e offrire criteri di specificazione o interpretazione del dettato normativo». Se non richiamate in modo espresso nel testo statutario, perciò, possono al più fornire delle linee di interpretazione, che comunque non possono entrare in contrasto con il canone della buona fede oggettiva: equiparare il mero possesso di un immobile ai fatti menzionati nell’articolo 34 significa, in realtà, «limitare il diritto di exit del socio».

La decisione merita consenso. Secondo quanto precisato dalla Corte di cassazione, le «istruzioni» della Banca d’Italia, che non prendano natura regolamentare, sono «disposizioni rivolte univocamente alle banche e all’organizzazione delle loro imprese (a livelli di amministrazione, di esecuzione e di compliance): senza alcun riflesso sul piano negoziale» (Cassazione, sentenza 28803/2019). Se non va esclusa a priori una loro funzione di ausilio interpretativo, poi, questa può tuttavia svolgersi solo nel rispetto del testo statutario, oltre che della buona fede oggettiva (nonché, a ben vedere, del principio dell’interpretatio contra proferentem di cui all’articolo 1370 del Codice civile): cosa che nella specie non avviene, tra la nozione di operatività continuativa in un territorio e la proprietà di un immobile sito nel luogo aprendosi una netta discontinuità. L’indicazione della Vigilanza ha infatti sostanza innovativa, essendo intesa a dare impulso a forme di localismo diverse e ulteriori rispetto a quello disegnato dal Testo unico bancario e caratterizzante da tempi remoti la figura delle casse rurali e artigiane.

Del resto, lo statuto delle banche è soggetto a preventivo «accertamento» da parte della stessa Vigilanza: ciò sembrerebbe escludere l’ipotesi della norma statutaria in violazione delle Istruzioni. Piuttosto è da rimarcare come l’addizione della (mera) proprietà dell’immobile nella zona di competenza della banca non manchi di creare (altri) problemi. Posto che il sopravvenuto venir meno dei requisiti di partecipazione all’ente abilita (non solo il recesso del socio, ma anche) l’esclusione del medesimo (articolo 2533 del Codice civile), è infatti da chiedersi se la banca possa procedere in tal senso (nel difetto di previsione statutaria) pur quando residui, nel socio, solo la proprietà dell’immobile ovvero quando tale circostanza sia stata l’unico aggancio territoriale presente già in sede di ammissione.

Tribunale di Napoli, sentenza n 8035 del 12 settembre 2019

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