Le modifiche al Codice della proprietà industriale: il ribaltamento del principio del “Professor’s privilege” e i risvolti pratici
La riforma prevede la diretta attribuzione della titolarità delle invenzioni realizzate dal personale di ricerca in ambito universitario alla struttura (pubblica o privata) di appartenenza - Solo in caso di dimostrato disinteresse da parte dell’Università, alla relativa brevettazione, la titolarità passerà ai ricercatori
In data 8 agosto 2023 è stata pubblicata in Gazzetta Ufficiale la legge n. 102 del 24 luglio 2023 che modifica il Codice della Proprietà Industriale, d.lgs. 10 febbraio 2005, n. 30, entrata in vigore in data 23 agosto 2023.
La riforma interviene sotto molteplici aspetti, tra i quali spiccano il rafforzamento della tutela delle indicazioni geografiche e delle denominazioni di origine attraverso il divieto di registrazione di marchi evocativi, usurpativi o imitativi, e il ribaltamento del c.d. Professor privilege.
Tale seconda innovazione risulta certamente la maggiormente incisiva, se non altro in quanto si pone in una prospettiva del tutto nuova rispetto al sistema cui l’Italia era ormai tradizionalmente abituata.
La riforma prevede la diretta attribuzione della titolarità delle invenzioni realizzate dal personale di ricerca in ambito universitario alla struttura (pubblica o privata) di appartenenza: solo in caso di dimostrato disinteresse da parte dell’Università alla relativa brevettazione, infatti, la titolarità delle stesse passerà ai ricercatori.
Restano, tuttavia, alcuni dubbi interpretativi con riguardo alla possibilità che l’Università non resti inerte a causa di un proprio disinteresse all’invenzione, ma per ragioni strategiche, ad esempio nell’ipotesi in cui la stessa ritenga maggiormente utile uno sfruttamento del trovato in regime di segreto .
Nell’ipotesi contraria, invece, ossia quella in cui l’Università depositi la domanda di brevetto, ma poi decida di non sfruttarla, non è chiaro se l’inventore possa vantare qualche diritto nei confronti dell’opera di cui, tutto sommato, resta l’effettivo inventore.
Tenuto conto di tali incertezze, per cui si auspica un intervento celere armonizzato a livello nazionale, la riforma ha comunque il pregio di invertire finalmente, come la dottrina auspicava da tempo, il modello del Professor’s privilege , che ci collocava, insieme alla Svezia, tra i pochissimi Paesi che, per ragioni marcatamente ideologiche, adottava un modello di titolarità dei risultati della ricerca universitaria di tipo “individuale”, anziché il più diffuso modello “istituzionale” . Le ragioni di tale scelta si basavano sulla convinzione, progressivamente contraddetta da una serie di analisi empiriche e di dati statistici, che gli Atenei non fossero in grado di generare e gestire i trovati di proprietà intellettuale.
La ratio della modifica si rinviene nella volontà di rendere più semplice, e quindi auspicabilmente più celere, il trasferimento tecnologico, in un ambito, come quello della tutela brevettuale, nel quale il tempo gioca un fattore fondamentale, innovando il sistema previgente che sacrificava la necessità di completare detto processo prima della naturale scadenza della tutela del diritto.
La ricerca, in ogni caso, resta atto del ricercatore, cui continua ad essere riconosciuta la paternità inventiva dell’opera e tutti i diritti morali nascenti dall’inventore, ma, ai sensi del novellato art. 65 C.p.i., l’Università – o altro ente pubblico di ricerca –, coerentemente con la disciplina generale di cui all’art. 64 C.p.i., acquisisce i diritti nascenti dall’invenzione.
La scelta adottata finora dall’Italia, che senz’altro penalizzava la ricerca, addossando sul ricercatore, sotto la falsa luce dell’attribuzione personale del diritto di privativa, la responsabilità – anche economica – di tenere in vita i propri brevetti, oggi si ribalta a favore delle Università, che potranno contribuire a uno sfruttamento economico efficiente sui mercati come operatori economici paritari nei rapporti con imprese private e investitori, disponendo di fondi adeguati e supportando lo sviluppo della tecnologia brevettata prima della relativa divulgazione.
Se questa riforma si è posta finalmente in parallelo rispetto alla media europea, con riguardo al sostegno delle scoperte dei ricercatori italiani, auspichiamo che, parallelamente, questa riforma persegua anche l’obiettivo di colmare, almeno in parte, l’immane divario tra i riconoscimenti e le premialità assicurate ai ricercatori europei, rispetto a quelli italiani, che restano tra i meno remunerati dell’Unione, con i più lenti avanzamenti di carriera e con la più bassa qualità del lavoro percepita. A tal fine servirà, come anticipato, un cospicuo intervento in fase applicativa, con la redazione di linee guida che attribuiscano automatiche premialità per gli inventori, migliorandone le condizioni di lavoro.
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(*) A cura di Ilaria Frascarolo, Senior Associate Eptalex